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Diffamazione: le Rp stanno a guardare?

02/07/2015

Giovanni Landolfi

La Camera ha appena approvato il disegno di legge sulla diffamazione, che tocca questioni quotidiane della pratica delle relazioni pubbliche, dalle media relations alla tutela della reputazione, dal diritto all'oblio alle rettifiche. Eppure i comunicatori sono i grandi assenti dal dibattito sulla riforma. Ma c'è ancora tempo per farsene carico.

Il 24 giugno la Camera ha approvato il disegno di legge sulla diffamazione. Ne hanno discusso in tanti, salvo i comunicatori, che pure sono i primi a misurarsi quotidianamente con queste norme. Perché siamo così distratti su un tema centrale per la tutela della reputazione di persone e aziende? Certo il contesto non aiuta: se ricordate, la questione è scoppiata 3 anni fa, quando un giornalista, Alessandro Sallusti, fu condannato e arrestato per omesso controllo e diffamazione contro un giudice. Da lì è partita una campagna per l'eliminazione del carcere per i giornalisti in caso di diffamazione, con il relativo processo di revisione normativa, appena approvato in seconda lettura alla Camera. Altro aspetto fuorviante è il costante ricorso a esempi stereotipati: i politici e i mafiosi. Dato che i politici si difendono da soli e i mafiosi sono indifendibili, è ovvio che si faccia poca attenzione a tutto quello che sta nel mezzo e cioè privati cittadini che non hanno alcun mezzo per difendere la propria reputazione in caso, per esempio, di errori giudiziari (il caso Fastweb vi dice qualcosa? Provate a sfogliare il libro "Io non avevo l'avvocato") oppure imprese sbattute in prima pagina per una presunta irregolarità fiscale (Dolce & Gabbana?).

Il disegno di legge contiene diversi punti che impattano direttamente sulla professione, soprattutto per il vastissimo novero di comunicatori che si occupa di media relations, reputation management, comunicazione di crisi e litigation PR. Per esempio, cancella il diritto all'oblio: niente più possibilità di eliminare dal web le informazioni diffamatorie. Elimina la punibilità del giornalista se provvede a pubblicare una rettifica. Stabilisce un obbligo di rettifica senza possibilità di replica. Aggiunge una sanzione fino a 10 mila euro per le liti temerarie. Tutte cose che hanno senso su un pezzo di carta che divide le questioni tra vere e false: ma funzionano ancora quando nella realtà una separazione così netta non esiste? L'obbligo di rettifica per esempio non sussiste se la rettifica è "inequivocabilmente falsa", però chiunque si sia scontrato con un articolo denigratorio sa che il danno sta nella scrittura: aggettivi, titoli, rimandi, verbi. E se ci dicono che la rettifica è falsa perché il giornalista ha usato il condizionale (come sempre)?

L'iter della legge prosegue e credo che andrebbe messo all'ordine del giorno dei temi di cui la professione si deve assolutamente occupare.
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