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II giornalismo non è comunicazione

18/12/2017

Daniela Uva

Poche regole, troppa confusione e il timore che i professionisti dell'informazione siano tagliati fuori dal mercato. A sollevare la questione l'Ordine Nazionale dei Giornalisti, che ha ribadito la necessità di chiarire una volta per tutte la situazione degli uffici stampa privati. L'ente chiede che, come già avviene per quelli delle pubbliche amministrazioni, il legislatore imponga che a lavorarci siano esclusivamente giornalisti iscritti all'Ordine. In modo che eventuali abusi possano essere sanzionati. Ma come la pensano i diretti interessati?

Questa proposta è discutibile dal punto di vista deontologico: giornalista e comunicatore rappresentano due professionalità molto diverse tra loro, formate diversamente, attente a principi e regole differenti. In un'epoca sempre più attenta alle diverse specializzazioni, non è accettabile questa approssimazione che trasferisce un messaggio sbagliato e pericoloso all'intero mercato».

Non ha dubbi Andrea Cornelli, presidente esecutivo di Omnicom public relations group Italy e coordinatore PR Hub: «Piuttosto che intervenire con una legge ad hoc ritengo decisamente più adeguato e utile proporre all'Ordine dei Giornalisti di promuovere insieme momenti di confronto — a livello nazionale e locale — per discutere su questi temi e trovare soluzioni condivise, che possano facilitare la necessaria collaborazione tra le parti ribadendo la diversità dei ruoli». Partendo sempre dal principio che giornalismo e comunicazione sono, per l'esperto, ambiti diversi. E meritevoli, quindi, di un trattamento differente. «Una professione è dedicata solo all'informazione, l'altra alla comunicazione in senso pit ampio, con attenzione ad aspetti quali le strategie aziendali e il marketing, che non hanno nulla a che vedere con il giornalismo. In un momento di difficoltà del mondo editoriale l'iniziativa dell'Ordine rischia di apparire un tentativo di tutela corporativa che si propone di creare nuove opportunità professionali per i giornalisti a discapito di chi opera come comunicatore da molti anni». Ecco perché questa proposta non può essere accolta. «Desidero anzi ribadire la mia preoccupazione verso questa iniziativa destinata ad alimentare polemiche e, soprattutto, a creare confusione su professionalità diverse che devono continuare ad avere ruoli distinti e ben definiti», conclude Cornelli.

Competenze distinte

A sottolineare le specifiche competenze dei comunicatori è anche Pier Donato Vercellone, presidente di Ferpi: «Dobbiamo manifestare la nostra appartenenza, riaffermare le nostre competenze e unicità, in tutte le sedi. Proprio per questo, abbiamo già avviato una serie di contatti a livello istituzionale per consolidare la peculiarità del nostro status professionale.

Inoltre, riteniamo indispensabile ricostituire un tavolo di confronto con tutti gli operatori di settore, le associazioni di categorie e con l'Ordine dei Giornalisti, i professionisti, soci o non soci Ferpi, e tutte le altre entità che hanno a cuore il benessere comunicativo. Non ci sembra comunque che questa apertura al dialogo costruttivo sia pienamente condivisa da altre componenti del settore della comunicazione». Vercellone mette anche in chiaro che le regole esistono.

Anche per gli uffici stampa privati. «Una recente legge, la n. 4/2013 in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi, ha riconosciuto di essere legittimamente rappresentata da associazioni come la Ferpi, espressione dei comunicatori professionisti, con l'obiettivo di valorizzare le competenze degli iscritti, di garantire il rispetto delle regole deontologiche, di agevolare la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole della concorrenza. Insomma, le regole ci sono ed è necessario che tutti gli attori coinvolti recuperino la consapevolezza che anche la professione del comunicatore aziendale e dell'esperto di relazioni pubbliche si è evoluta nel tempo». Mentre risulta «anacronistico e fuori contesto imporre che i lavoratori del settore siano solo giornalisti iscritti all'Ordine».

Perché il mercato si è ormai evoluto e può offrire nuovi sbocchi professionali, come mette in rilievo Filomena Rosato, presidente Assorel e presidente FiloComunicazione: «Le regole esistono già e sono riferite alle specificità professionali. La gestione delle relazioni con i media, che va ben oltre una qualifica di addetto stampa, è un'attività propria del mondo delle relazioni pubbliche che ha nei giornalisti i primi interlocutori di riferimento nel rispetto dei codici etici e professionali delle parti». Questa richiesta dell'Ordine potrebbe mettere in pericolo la libertà di impresa: «La decisione di affidarsi a un ufficio stampa privato è una scelta che attiene alle singole aziende.

Non penso che questa sia la strada giusta da intraprendere. I giornalisti possono certamente lavorare negli uffici stampa privati ma è necessario che ciò avvenga con una scelta ben precisa dal punto di vista della preparazione professionale e della correttezza della relazione verso il mercato. Le società di relazioni pubbliche di impresa offrono già molte opportunità lavorative ai giornalisti che abbiano deciso di lasciare l'attività precedente formandosi per un nuovo approccio professionale.

L'evoluzione continua che ha interessato il settore della comunicazione negli ultimi anni e la grande rivoluzione avvenuta nel panorama dei media hanno cambiato profondamente e reso più complessa l'operatività e il ruolo del comunicatore, che comunque continua a essere diverso, per natura e obiettivi, da quello del giornalista». 

Fonte: Largo Consumo
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