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La comunicazione post emergenza, il buio oltre l’informazione

17/03/2017

letizia526

Occorrerebbe parlare di relazioni umane e non solo pubbliche. Sforzarsi di approfondire anche il post emergenza, partendo da quelle che dovrebbero essere le strategie per che per non lasciare al buio chi ha costruito il proprio futuro su pietre ormai sgretolate. E’ proprio la ricchezza di relazioni che si instaurano durante un’emergenza il punto di partenza. Lo sostiene Letizia Di Tommaso nella sua rubrica #TerzoSettore.

Ogni dolore può essere sopportato se lo si narra o se ne fa una storia. K.B.

Ormai sappiamo ogni cosa, sappiamo già cosa accadrà. Ci stiamo abituando a tutto e questo, purtroppo, contribuisce a creare una condizione di scarsa fiducia da parte dei cittadini insieme ad un’attenzione sempre meno solida. Il buzz continuo durante le emergenze, sui media, sui social, per strada, nelle istituzioni si sostituisce poi con il silenzio, un buio scenico troppo lungo, non governato come si converrebbe ad un Paese evoluto.

La paura digitale, una seconda pelle

Il terremoto ai tempi della rete spaventa ancor di più perché porta a rivivere un già vissuto, più o meno prossimo, di una sequenza di terremoti devastanti molto ravvicinati nel tempo, tutti condivisi nel frenetico scambio di informazioni, che lo hanno trasformato in un sotto a chi tocca perpetuo. Nei panni dei terremotati ciò amplifica la paura di un già vissuto, non sulla propria epidermide, ma su una pellicola di una sovrabbondanza mediatica di cui si sono vestiti gli ultimi sfollati ed ora temono quanto già subìto da altri, in un ripetersi continuo di situazioni fin troppo analoghe.

Vivere le emergenze è ormai divenuta una condizione corale, quasi che tutti, anche chi è fortunatamente scampato al disastro, si senta coinvolti. Una mole tale d’informazione fin troppo difficile da gestire, che però ti entra dentro, scava portando ad una spasmodica e continua ricerca di notizie e informazioni. La pellicola si riattiva già durante i primi momenti, ti ricorda il già vissuto, il già letto, il già ascoltato e la paura diventa incontrollabile. La comunicazione digitale ha propagato le nostre paure con l’illusione che possa invece rassicurarci guardando live l’emergenza. Gli smartphone continuano ad informarci, in ogni istante. Per l’hashtag #terremotocentroitalia sono stati inviati 44.000 tweets, mentre per la geolocalizzazione territoriale #Amatrice sono stati inviati 12.300.000 tweets (fonte Backtweets.com). Aggiungiamo autorevoli account Twitter come quello dei Vigili del Fuoco [@emergenzavvf] che, dall’agosto del 2016, si è trovato investito del compito di raccontare da fonte tweet dopo tweet l’emergenza sisma, lavorando in primissima linea. Le scosse corrono sul telefono con le app o i cinquettii di INGV [@INGVterremoti] che ci avvisano, costantemente, che la terra ha tremato, poco o tanto. Così trascorrono le giornate, le settimane in cui il lavoro è concitato e il ricordo ancora molto vivo, alimentato da sussulti quotidiani: si stimano 52.700 scosse al mese di febbraio 2017 (fonte INGV).

Il racconto dei media nell’umana sofferenza

I media sono costretti ad adeguarsi, rincorrendo persone, storie, crepe, case crollate, sindaci catatonici che, essi stessi vittime, devono comunque gestire l’evento catastrofico sia dal punto di visti organizzativo che mediatico. Questo scenario apocalittico si protrae a lungo: si attiva la macchina della protezione civile nazionale, arrivano i soccorsi, cominciano le ricerche e tutta l’attenzione si concentra sul luogo o sui luoghi posti sotto riflettori internazionali. Giungono i giornalisti insieme ai soccorsi per raccontare, minuto dopo minuto, l’Italia in difficoltà. E’ in quel momento che si incrociano le vite di chi soccorre o è soccorso, di chi racconta o informa e di chi comunica, delle istituzioni a corollario di quanti operano sullo scenario emergenziale. Non basta più informare, occorre narrare le storie di chi è coinvolto in prima persona per cercare un fil rouge continuo e, parliamoci chiaro, anche per creare audience, rispetto al flusso continuo di una comunicazione digitale ormai permeata nelle nostra abitudini. Un’umanità corale che si adopera per tornare presto alla normalità che purtroppo sappiamo non sarà poi così immediata. Uno sforzo immenso da parte di tutti, quell’energia comunicativa che finisce poi, inevitabilmente, quando la post emergenza cala il suo muto velo su territori che spesso erano già abbastanza isolati, borghi lungo la spina dorsale di un’Italia molto frammentata e sempre più debole. Perfettamente coordinati durante il primo intervento dobbiamo ancora migliorare gli aspetti comunicativi per sostenere la popolazione che d’un tratto si trova sola a dover affrontare il buio burocratico oltre che umano.

I volontari, silenziosi operai della ricostruzione immateriale

L’attività silenziosa e costante dei volontari non finisce neanche quando i riflettori si spengono. La solidarietà, quella vera, resta al fianco di chi ha bisogno, magari solo per assicurare una presenza umana in un deserto di macerie. E’ da queste organizzazioni, spesso resilienti del territorio, che occorre partire per parlare di comunicazione post sisma. Il buon comunicatore non si occupa, se non direttamente coinvolto, dell’attività burocratica legata alla ricostruzione, ma analizza lo scenario per quel che è la realtà. Si parte dal dato di fatto. Esiste un vuoto, profondo, fra il post emergenza e la vita che dovrebbe tornare a scorrere "normalmente" per delle persone che in realtà si trovano a vivere uno scenario stravolto che i media riescono a mostrare solo in parte, non per loro limite. E allora. Non c’è una formula, ma sappiamo che chi resta lo fa per combattere e per non vedere perso il lavoro di una vita,  sta ai "corpi intermedi" creare opportunità non soltanto di dialogo, ma fare sui quei territori azioni concrete in ascolto e a sostegno della popolazione. Per non perdere il tessuto sociale, oltre che abitativo, di un’Italia in evidente difficoltà; insieme alla prevenzione occorre iniziare a pensare a valide alternative che possano coprire quei vuoti lasciati da istituzioni fin troppo imbalsamate. Raccontare la ricostruzione attraverso progetti sociali e azioni solidali può essere un buon inizio per non ripercorrere la comunicazione della ricorrenza  e per non fare il solito conteggio del non fatto e di quanto ancora c’è da fare, trasformandolo in una sterile lamentatio. Parliamo di concretezza quotidiana insieme a chi la fa, rendiamo notiziabile la quotidianità e non soltanto l’emergenza. Qualcuno ha iniziato, ora tocca a noi renderlo prassi consolidata.

#terremotocentroitalia #terzosettore #volontariato #comunicazionemergenza

 

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