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La sfida della sostenibilità

07/07/2017

Simona Cappuccio

Nel 2016, in Confindustria, la responsabilità sociale d’impresa è stata inserita all’interno della delega per la politica industriale, affiancando temi come ricerca e innovazione, infrastrutture, ambiente. Ed è stato costituito un apposito gruppo tecnico, guidato da Rossana Revello.

Essere sostenibili conviene. Parecchio. Le aziende che perseguono gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu avranno, infatti, performance nettamente superiori a quelle che decideranno di rimanere ancorate a un vecchio modo di fare impresa. Per quattro ambiti economici – cibo e agricoltura; città; energia e materie prime; salute e benessere – il raggiungimento di questi obiettivi creerebbe 12mila miliardi di dollari di opportunità di mercato a livello mondiale.

A dirlo a chiare lettere, Enrico Giovannini, portavoce dell’Asvis, l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile, che raggruppa più di 160 organizzazioni del mondo economico e sociale, nell’intervento della tappa milanese del primo Festival dello sviluppo sostenibile. Nel corso della manifestazione è stato anche sottoscritto da Confindustria e da tutte le altre associazioni datoriali aderenti ad Asvis (Alleanza Cooperative Italiane, Confederazione Italiana Agricoltori, Confcommercio, Cna, Federazione Banche Assicurazioni e Finanza) un documento sui principi e gli obiettivi dell’Agenda 2030 che rappresentano un’importante precondizione per una crescita sociale ed economica più equa e inclusiva. Un “mantra” che il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ripete fin dall’inizio del suo mandato e un impegno forte per l’associazione degli industriali che ha conferito, per la prima volta, alla responsabilità sociale d’impresa un ruolo strategico ed autonomo.

Nel 2016 la Responsabilità sociale d’impresa è stata inserita all’interno della delega per la politica industriale, affidata al vicepresidente Giulio Pedrollo, andando ad affiancare tematiche come ricerca e innovazione, infrastrutture, ambiente. C’è piena consapevolezza che questo tema può costituire un’imprescindibile leva non solo di sviluppo, ma anche di un nuovo modo di concepire e fare impresa. Per questo è stato costituito un apposito Gruppo Tecnico, guidato da Rossana Revello che, tra gli altri, si è prefisso il compito di divulgare la responsabilità sociale anche attraverso attività e iniziative sul territorio.

Apripista il convegno “Sostenibilità e responsabilità sociale: una sfida per l’industria italiana”, che si è svolto nella cornice delle celebrazioni per il Centenario dell’Unione Industriali Napoli, ospiti del presidente Ambrogio Prezioso. “Assumere comportamenti responsabili nei riguardi della società e della comunità in cui si vive - ha esordito la presidente Revello - rappresenta per ogni azienda, al di là della sua dimensione o del settore di appartenenza, uno strumento necessario per incidere sulla competitività”.

Osservazioni confermate anche dalle testimonianze delle aziende che, dopo l’intervento di Damiano Carrara di Ubi Banca, hanno preso parte al dibattito in due tavole rotonde distinte, di cui una dedicata al territorio con Stefania Brancaccio (Coelmo) e Susanna Moccia (La Fabbrica della Pasta di Gragnano). Due racconti, questi ultimi, nei quali si è avuto modo di capire che la sostenibilità tocca tematiche come la formazione, il welfare, le pari opportunità. Feralpi Siderurgica e Radici Group si sono, invece, concentrate sullo storico rapporto tra sostenibilità e ambiente. Maurizio Fusato, direttore di stabilimento della Feralpi Siderurgica, ha rilanciato la scommessa dell’azienda sull’efficienza energetica, l’abbattimento delle emissioni e il riutilizzo delle scorie. Filippo Servalli, direttore funzione sostenibilità di Radici Group, seconda azienda al mondo nella produzione di nylon, ha confermato, da parte sua, come produrre sostenibile implichi un “indubbio vantaggio economico” per l’impresa. Non solo.

Slide alla mano, ha dimostrato che il costo ambientale di un capo di abbigliamento firmato, se prodotto interamente in Italia, è pari a due euro, che diventano più del doppio se la produzione coinvolge paesi come il Vietnam o la Cina.

A colpire, infine, l’intervento di Eugenio Sidoli, presidente di Philip Morris Italia, che ha esordito spiegando che la sua è un’azienda “controversa, colpevole di un peccato originale che è quello di fare un prodotto che uccide”. Nel silenzio della platea, Sidoli ha raccontato che dal 2000 l’azienda ha acquisito però una consapevolezza diversa, che ha comportato la decisione di informare i consumatori dei  danni e delle conseguenze che il fumo ha sulla salute, assumendosi il dovere, “da impresa leader, di costruire un mondo migliore”. Anche per Sidoli resta il concetto chiave che “un’impresa va tanto meglio quanto più elevato è il livello di benessere che genera nella comunità in cui opera”. Insomma, fare impresa “bene” conviene a tutti.

 

Fonte: L'Imprenditore
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