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Norsa: l'etica d'impresa non può essere un claim

30/09/2015

Una crisi, quella di Volkswagen, che riguarda in primo luogo gli azionisti che nel giro di qualche ora hanno perso circa 30 miliardi di dollari. Ma anche un disastro comunicativo e reputazionale per uscire dal quale l'azienda dovrà lavorare anni. Ne abbiamo parlato con Luigi Norsa, crisis manager di lungo corso, in un'intervista esclusiva per Ferpi.

La crisi Volkswagen si è posta, da subito, come una grande e grave crisi con gli azionisti, che hanno perso nel giro di qualche ora circa 30 miliardi di dollari. Dunque una situazione che ha fatto emergere subito alcuni vulsun gravi, tra cui quello con gli azionisti. Una crisi che forse riguarda poco i clienti mentre interessa ampia parte degli stakeholder e degli influenti strategici. Ne parliamo con Luigi Norsa, crisis manager di lungo corso. Dopo aver lavorato per circa dieci anni in aziende multinazionali nel settore chimico, farmaceutico ed informatico in posizioni di responsabilità nel marketing e nella comunicazione e per altri dieci anni come dirigente di società di consulenza di direzione in strategie di comunicazione e public affairs, quali Burson-Marsteller, Hill & Knowlton e Edelman, ha assistito importanti aziende internazionali su complesse problematiche, da issue ambientali, legislative o legate alla salute, a delicate operazioni di ristrutturazione, alla gestione di situazioni di crisi, a attività di lobbying, corporate positioning, programmi di immagine istituzionale.

Da crisis manager di lunga esperienza, cosa suggerirebbe alla casa automobilistica tedesca?
Innanzitutto, vediamo qual è il nocciolo della situazione: Volkswagen ha messo in atto e poi tentato di occultare un sofisticato sotterfugio illegale. Ha barato, violando le norme, ingannando le autorità e i propri clienti. Questa azione è stata messa in atto per generare un illecito vantaggio per l’azienda. Non si è trattato di un errore o dell’atto di un dipendente infedele. Questa azione ha comportato per gli azionisti la perdita in pochi giorni del 30% del valore dell’azienda – valore che non sarà facile recuperare ed ha aperto per l’azienda la prospettiva di un danno economico ancora difficile da calcolare fra sanzioni dell’ordine dei miliardi di dollari, costi di richiamo, spese legali, mancate vendite, etc.
Alla base di questo c’è – e non è un problema della sola Volkswagen ma di moltissime corporation di tutti i settori – un sistema di incentivazione dei manager che privilegia i risultati rispetto al modo di ottenerli.
Il cambio al vertice, fintanto che non saranno annunciate credibili misure, in grado di impedire che simili comportamenti si ripetano, e un credibile piano per rilanciare l’azienda, è una mera azione cosmetica, oltre che probabilmente un regolamento di conti interno.
Recuperare i danni non sarà facile né rapido. E’ necessario fare chiarezza sulla catena di responsabilità, con conseguente radicale repulisti, e la messa in atto di una serie di azioni di ridisegno della governance globale. Solo così il nuovo management potrà cercare di recuperare la credibilità che questo scandalo, in una azienda che oltretutto vantava primati di etica e sostenibilità, ha distrutto.

Cosa avrebbe dovuto fare Volkswagen  appresa la notizia della crisi?
Diciamo che innanzitutto Volkswagen  questa crisi avrebbe dovuto prevenirla, non intraprendendo azioni illegali che, a fronte di un beneficio sul breve, sono poi risultate in un danno enorme sul lungo termine. Che dei manager gettino nella spazzatura decine di miliardi di euro dei propri azionisti, non è semplicemente “uno stupido errore” come lo ha definito il presidente della Bundesbank. Non è questa il tipo di crisi verso il quale le aziende devono prepararsi, è il tipo di crisi che deve essere prevenuto.
Non si può gestire un’azienda nella speranza che nessuno si accorga che sei stato disonesto. Vorrei essere chiaro, non è un problema di “etica” è un problema di responsabilità dei manager di proteggere il valore per l’azionista.
Detto questo, l’unico modo per Volkswagen  di contenere i danni, ai primissimi accenni del fatto che “qualcuno se n’era accorto” poteva essere solo quello di pianificare sulla base dello scenario peggiore, essere anticipatori, “fare outing” con la massima trasparenza, cercando di contenere così i danni per l’azienda e posizionarsi subito sul fronte della soluzione, togliendo più spazio possibile alla ricerca di retroscena e chiudendo il più rapidamente possibile l’eco mediatico sulla vicenda. “Facile a dirsi” quando non sei stato tu il responsabile dell’artificio illegale che ha oltretutto consentito di incamerare ricchi bonus per i risultati che la azione disonesta ha comportato…

Cosa dovrebbe fare verso gli azionisti, per il momento gli stakeholder più danneggiati?
Aihmè, cosa puoi fare verso chi ha visto sfumare un terzo del suo capitale in pochi giorni e vede la prospettiva di costi aziendali per decine di miliardi di euro? Puoi solo, il più rapidamente possibile, stabilire un radicale cambio di rotta fra le gestioni passate e quelle future, nella speranza di far passare il messaggio che l’azienda saprà in futuro recuperare e che vi saranno meccanismi di controllo e di responsabilità del management adeguati ad impedire il ripetersi di comportamenti tanto sconsiderati. Inoltre, individuare tutti i responsabili e corresponsabili ed avviare pesanti azioni di responsabilità. Comunque le class actions da parte degli azionisti ci saranno (così come è successo a Merk per il caso Vioxx) aggiungendo altri costi ai costi della crisi. L’azionista guarda al sodo: dopo aver perso un terzo del proprio investimento vuole capire se il titolo scenderà ancora, se ci sarà un rimbalzo che ridurrà almeno parzialmente la perdita, quale impatto avrà questa crisi, e i suoi costi, sui futuri dividendi e, soprattutto se il management (non solo il CEO) è in grado di rilanciare l’azienda.

Sul sito dell’azienda, anche nella versione italiana, ci si preoccupa più di rassicurare i clienti che coloro che hanno perso denaro. Cosa ne pensa?
Non è il sito, se non per l’area Investor relations, il canale principale per comunicare agli azionisti. Il sito è il canale principale per raggiungere chi ha acquistato un’auto Volkswagen o chi potrebbe acquistarne una.
Vorrei però concludere sottolineando che qui non è una questione di comunicazione, ma di management. Se non verranno rivisti i meccanismi premiali all’interno delle aziende, non concentrandosi solo sui risultati ma anche e soprattutto sul come vadano raggiunti, i codici etici resteranno scritti sulla sabbia. I bravi manager non sono i manager “furbi”…
Questo non è il primo e non sarà l’ultimo caso di gravi crisi che comporteranno un danno incalcolabile per gli azionisti. Le aziende possono prepararsi a gestire le crisi che, per quanto si sia fatto per ridurne la probabilità, sono comunque possibili, ma devono con lucidità individuare le aree di rischio su cui intervenire per impedire che i manager alla ricerca di risultati di vendita e profittabilità siano indotti ad assumere rischi irragionevoli.
Vorrei infine aggiungere un richiamo al fatto che “responsabilità sociale”, “etica d’impresa”, “sostenibilità ambientale” non possono ridursi, come  tanto spesso succede, a temi comunicazionali di moda: sono cose che hanno un costo se fatte seriamente, ma che se, fatte appunto seriamente e concretamente possono essere  un fattore di vantaggio competitivo e, quindi, di maggiore profittabilità. Se si limitano ad essere claim comunicazionali, possono diventare un boomerang e nessuno ci crede se non li riscontra nei comportamenti.

 
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