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Orizzontalità, interazione, condivisione. Il futuro è nell’advocacy

28/05/2015

Il mondo della comunicazione e delle relazioni istituzionali sta subendo una profonda trasformazione. Il futuro, secondo Gianluca Comin, è nell’advocacy. Past president Ferpi, dopo una lunga esperienza in Enel come Direttore comunicazione e relazioni esterne, ha fondato l’agenzia Comin&partners, un team di professionisti con una lunga esperienza in Italia e all’estero nella comunicazione, nella consulenza strategica e nei public affairs.

Come sono cambiate le relazioni istituzionali nella network society?
Vorrai forse dire la social network society? Oggi con le istituzioni paradossalmente si riesce a dialogare più facilmente attraverso un tweet che non con incontri e position paper scritti accuratamente. La disintermediazione sta colpendo anche le relazioni istituzionali. Stiamo vivendo, insomma, una profonda evoluzione nel mondo della comunicazione e delle relazioni istituzionali. In pochi anni, aziende, istituzioni e singoli individui si sono ritrovati strettamente interconnessi, protagonisti di un modello orizzontale e partecipativo fondato su nuove tecnologie, nuovi linguaggi, nuovi strumenti di diffusione delle notizie.

La modalità attraverso la quale si costruisce il consenso è cambiata, l’advocacy si fonda su parole d’ordine nuove: orizzontalità - interazione - condivisione. E per costruire consenso c’è sempre più bisogno di un approccio integrato, capace di rispondere a esigenze eterogenee.

Dopo la lunga esperienza in Enel oggi lavora come consulente. Quali le differenze nel fare le relazioni istituzionali per un’azienda dall’interno e da consulente?
Le differenze sono molte, anche se devo ammettere che la mia forma mentis è in parte ancora quella manageriale. Il ruolo del consulente, ma ancor prima dell’imprenditore, apre delle responsabilità del tutto nuove. Tuttavia, forse è proprio il ruolo di consulente con una forte esperienza da manager, condivisa anche dai partner che ho portato on board in questo nuovo progetto, che dà il valore aggiunto ai clienti della Comin & Partners, società di consulenza di comunicazione, relazioni istituzionali e crisis management che ho fondato a settembre.

Naturalmente quando sei a capo di una grossa società che gestisce budget importanti, alcune cose vengono da sé, ma devo dire che i contatti e le relazioni costruite negli anni non sono sparite dopo il mio exit. In ogni caso per fare bene questo mestiere non bisogna conoscere tante persone, perché le rubriche cambiano e i governi passano, soprattutto in Italia. Per fare lobbying bisogna possedere gli strumenti adeguati e andare a fondo nelle questioni. Se ti dimostri un interlocutore serio e preparato, che è di supporto alle attività politiche, verrai sempre ascoltato.

Quali le principali criticità di fare public affairs nel sistema politico-istituzionale italiano?
Le principali criticità sono insite nel panorama politico-istituzionale in cui i professionisti del public affairs devono lavorare. In primo luogo un’assenza di regolamentazione che costringe i professionisti seri a districarsi nelle pieghe di un mestiere non rappresentato e presunti lobbisti che ne minano la reputazione. Lavoreremmo tutti meglio se ci fosse una legislazione adeguata. I vari tentativi portati avanti negli ultimi anni di istituire una legge per regolare le attività di advocacy si sono tutte concluse con un nulla di fatto. Sono 58 i disegni di legge presentati nella storia della Repubblica italiana, quasi uno all'anno, di cui 15 solo in questa legislatura.

Questa assenza consente alla politica di scaricare la responsabilità della propria inefficienza sui lobbisti. Le lobby sono diventate un paravento della politica che non vuole scontentare taluni soggetti e assumersi la responsabilità della scelta. Una legge sul lobbying, rendendo pubblici gli interessi particolari contrapposti, toglierebbe alla politica qualsiasi alibi: il decisore dovrebbe decidere, sotto gli occhi di tutti. Nei 18 paesi dove il processo decisionale pubblico è regolato dalla legge avviene tutto in trasparenza: gli incontri con i portatori d'interesse sono pubblici e la politica alla fine deve assumersi la responsabilità di indicare quale o quali interessi soddisfare.

Nei rapporti con il territorio oggi, grazie al web, giocano un ruolo fondamentale i movimenti. Quanto influiscono sull’opinione pubblica e quale strategia adottare?
La forza e l’influenza dei movimenti antagonisti oggi è amplificata dalla rete e dalla loro capacità di engagement. Internet, attraverso messenger, whatsapp, change.org e in futuro periscope, svolge una funzione di facilitazione logistica di primo piano e a basso costo, in grado di ridurre le spese organizzative di questi movimenti. Ma ancora di più il web concede ai movimenti uno strumento per diffondere i propri messaggi senza aver bisogno di un gatekeeper, che fino a non molto tempo fa era rappresentato dai giornalisti di quotidiani, radio e tv. Questo tuttavia non vuol dire che tutti i movimenti, solo perché utilizzano il web e social media, siano in grado di diffondere con efficacia i propri messaggi. Certo non c’è da scherzare se in Italia si contano ben 336 opere bloccate o oggetto di contestazione e se il numero non diminuisce. NoTav, NoTap, NoNavi, NoIlva, se l’opera è bloccata da anni il più delle volte è perché aziende e istituzioni non sono riuscite a far capire alla popolazione del luogo il valore dell’intervento.

Multinazionali del calibro di Unilever, Nike e Ikea hanno iniziato a comprendere l’importanza di questi movimenti e ad allinearsi alle loro istanze, in particolare nella lotta al cambiamento climatico. We Mean Business è una coalizione di organizzazioni che lavora con migliaia tra le più influenti aziende e investitori del mondo, riconoscendo la necessità di un transizione verso un'economia a basse emissioni sia l'unico modo per garantire una crescita economica sostenibile e una prosperità diffusa. L’ascolto, la discussione, anche un po’ accesa, ma sempre inclusiva, aiuta le organizzazioni a relazionarsi con queste realtà, che sono sempre più importanti nella costruzione del consenso a livello territoriale. Bisogna introdurre anche in Italia il modello del débat public francese sul quale si è poggiata la costruzione di centrali nucleari e altre infrastrutture non certamente facili da far digerire.

Recentemente è intervenuto sul tema dei sondaggi, un tempo strumento privilegiato nella creazione di opinione. Quanto sono tenuti in considerazioni e quali le alternative?
Nonostante gli scivoloni degli ultimi anni i sondaggi di opinione telefonici o internet sono ancora l’unica soluzione proposta. Eppure lo abbiamo visto recentemente con le elezioni nel Regno Unito: gli exit poll non hanno considerato il voto scozzese in maniera adeguata e i risultati finali erano del tutto sballati. Ma la cosa ancora più paradossale è che nessuno si azzarda a sperimentare nuovi metodi di analisi del consenso politico. Non si tratta di un problema solo italiano, anche se da noi la frammentazione delle forze parlamentari e una cultura del riserbo rende la questione più urgente. Ho parlato recentemente nella mia rubrica Spin Doctor su Lettera43 di una ricerca del centro Pew research che mostra la varianza tra le risposte fornite al telefono, dove l’intervistatore può personalizzare il rapporto, rispetto alle risposte fornite attraverso i questionari online. La variazione dei giudizi alle medesime domande è molto elevata, un elemento che ci dovrebbe far pensare sull’affidabilità di questi strumenti. Le alternative ci sono, e si basano sui big data e su nuove frontiere di coinvolgimento degli intervistati. Gli strumenti sono a disposizione di molti, è la volontà di cambiare che ancora manca.

Ad un giovane che vuole intraprendere questa professione che formazione consiglierebbe?
Il mondo della comunicazione e delle relazioni istituzionali come ho già detto sta subendo una profonda trasformazione, ed è importante che i giovani si avvicinino a questo mestiere con voglia e passione, ma soprattutto con la serietà necessaria a qualsiasi professione. Sto ricevendo moltissime candidature di profili interessanti focalizzati proprio sulle relazioni istituzionali e la lobby, di giovani che chiedono di intraprendere questo mestiere. Come ho ribadito più volte la preparazione, la competenze e una buona dose di forza di volontà sono gli elementi basilari per intraprendere questa carriera. Gli studi che si compiono a livello universitario non sono strettamente dirimenti e non c’è una via preferenziale alla materia.

 

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