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Reputazione: una questione emotiva

24/06/2015

La reputazione è un legame emotivo che gli stakeholder hanno nei confronti di un’organizzazione. Per le aziende food, vale la stessa regola: devono creare questo legame con il consumatore per ottenere vantaggio competitivo in un mondo, oggi, dove è sempre più difficile differenziarsi. Lo afferma Michele Tesoro-Tess, Partner and Managing Director, Reputation Institute Italy and Middle East.

Quali sono gli indicatori della reputazione per un'azienda e prodotti food?
Mi permetta di fare una premessa necessaria su come definiamo la reputazione in Reputation Institute: è un legame emotivo che gli stakeholder hanno nei confronti di un’azienda, una persona, una città, un Paese, un ente pubblico, .... La solidità o meno di questo legame dipende da 4 fattori: livello di stima (esteem), livello di fiducia (trust), livello di ammirazione (admire) e atteggiamento positivo (feeling). Quindi nello specifico per le aziende food, vale la stessa regola: devono creare questo legame con il consumatore per ottenere vantaggio competitivo in un mondo, oggi, dove è sempre più difficile differenziarsi.

Se dobbiamo porre focus sulle aziende, dato che parliamo di aziende che producono prodotti food, noi di Reputation Institute nel corso degli anni abbiamo individuato 7 dimensioni razionali, che vanno dalla qualità del prodotto, al tasso di innovazione, dal ruolo che giocano nel sociale e nei confronti dell’ambiente, alla performance di business che raggiungono, tutti elementi su cui le aziende food possono lavorare, i quali impattano la reputazione e quindi la disponibilità degli stakeholder a mettere in atto comportamenti favorevoli, come l’intenzione d’acquisto o la scelta di investimento. Per dare un parametro di confronto, le aziende food nel mondo hanno mediamente una reputazione di 70,6 (score da 0-100) dove > 70 implica avere una reputazione forte. Questo significa che il consumatore riconosce alle aziende food un buon operato, testimonaindo che le aziende del settore riescono a ingaggiare le persone.


Quali invece gli aspetti a cui sono più attenti i consumatori?
Questo varia da mercato a mercato, in ogni Paese il consumatore ha aspettative diverse, dipende dalla cultura, alla maturità economica del paese, etc.

Dal nostro studio Global RepTrak® 2015, emerge che le aziende del settore food hanno in primis la necessità di dimostrare che offrono prodotti/servizi di qualità, che sono trasparenti, etiche e corrette nel loro modo di fare business ed essere percepite come solide dal punto di vista dei risultati economici e soprattutto proiettate ad una visione di lungo periodo.

Se, invece, guardiamo all’Italia, certo la qualità dei prodotti rimane una condizione essenziale, ma gli Italiani chiedono bene altro: le aziende del settore devono dimostrarsi etiche e trasparenti nel modo di operare, ma soprattutto responsabili nei confronti della società e del territorio ed essere un “buon cittadino” nella comunità locale nella quale operano.

Non a caso le aziende leader meglio reputate nel nostro Paese sono quelle che non si limitano a investire in attività socio-culturali a soli fini di marketing; al contrario, per queste aziende, la Responsabilità sociale è un modo di essere e fare impresa, incorporato a 360° nei processi.

Pensiamo a Ferrero e Barilla, quest’anno in vetta alla nostra classifica delle aziende con la miglior reputazione in Italia: certamente prodotti eccellenti, ma viene facile dire che oltre al prodotto c’è molto di più.

Quanto le aziende italiane investono in attività per monitorare e governare lavoro reputazione?
Questa è una informazioni difficile da “isolare”, teniamo presente che poche sono le aziende che hanno un “Corporate Reputation Director” formalmente riconosciuto in aziende con budget, responsabilità e accountability. Tipicamente l’area Comunicazione in azienda dedica il suo budget per proteggere/migliorare la reputazione delle rispettive aziende con tutte le attività che fanno – è, di fatto, la ragione d’essere della Comunicazione.  I nostri studi ci danno comunque qualche indicazione utile in merito: (1) c’è una crescente importanza attribuita al tema, il “Reputation Leader Study”, studio annuale su circa 400 responsabili della reputazione di altrettante aziende nel mondo, ci dice che il 78% degli Executive concordino che viviamo in una “Reputation Economy”. (2) le aziende non si entono ancora pronte a gestire la reputazione in modo pro-attivo, solo il 16% dicono di disporre degli strumenti e dei meccanismi per integrare la reputazione nei loro processi decisionali.

Possiamo anche aggiungere che nell’ultimo anno il numero di aziende che si stanno rivolgendo a noi sta aumentando e questo è testimonianza di quanto il tema sia oggi sempre più d’interesse.

In generale la strada da fare è ancora tanta, non solo in Italia, ma il numero di aziende che sta iniziando ad “attrezzarsi” degli strumenti necessari per gestire la loro reputazione inizia ad essere considerevole. Direi che le aziende hanno intrapreso un percorso che vedrà i suoi risultati nel medio.

 

Nell'epoca del foodporn e l'invasione di piatti, cibi, chef sul web in che modo e con quali strumenti le aziende possono comunicare messaggi credibili?
Oggi più che mai la realtà in cui viviamo ci obbliga a confrontarci con un contesto sempre più complesso e “turbolento”, nel quale da una parte, i player in gioco sono numerosi e competitivi, dall’altra gli stakeholder hanno aspettative sempre maggiori e sempre più canali di comunicazione a disposizione per informarsi. Questo mette le aziende in una situazione dove per far passare la propria “differenza” sono obbligate a innovare il come si raccontano.

La credibilità, oggi, si conquista testimoniando il proprio percorso e impegno con messaggi chiari e con comportamenti coerenti. Questo impone alle aziende di essere RELEVANT: cioè dare risposte concrete alle attese degli stakeholder, utilizzando riferimenti ed esempi “vicini” alla loro realtà, cui possono fare riferimento e a cui riescono a immedesimarsi e confrontarsi.

La rivoluzione a cui stiamo assistendo in termini di canali di comunicazione a disposizione delle aziende permettono alle aziende infinite possibilità. La sfida è capire cosa e come raccontarlo, in una forma nuova e vicina al consumatore. Lo storytelling è sicuramente una delle modalità più efficaci che stiamo vedendo nel panorama attuale.

Come Managing Director di Reputation Institute Italia cosa consiglierebbe ad una azienda food?
La reputazione varia al variare dell’industry nella quale si opera ed è “local for local”, cioè cambia in base al Paese di riferimento, per questo è fondamentale per un’azienda conoscere quali sono le leve su cui agire per “muovere” i pubblici di un’azienda.

Faccio un esempio: se sono un’azienda food italiana, che decide di rivolgersi al mercato asiatico, dovrò propormi con un certo tipo di offerta, sicuramente diversa da ciò che si aspettano i consumatori europei. Ma non solo, anche le aspettative legate al mio “essere impresa” saranno sensibilmente diverse da Paese a Paese.

Come sappiamo, le aziende food trattano prodotti e servizi che hanno a che fare con temi delicati, come la nostra salute, il che le espone e le obbliga, in modo più sensibile rispetto ad altri settori, ad avere un’attenzione maggiore. Per essere competitivi oggi, tali aziende devono saper cogliere le opportunità di questo contesto. Darei 3 suggerimenti alle imprese food oggi:

(1) Conoscere il proprio consumatore e il sistema di stakeholder in generale per sapersi distinguere rispetto ai competitor. In generale non ascoltiamo mai abbastanza...

(2) Esaminare/valutare le issue critiche del settore e i risci reputazionali derivanti – operare in un settore così delicato è un vantaggio perchè è ben reputato ma i rischi sono sempre dietro l’angolo, ci basta ricordare i recenti casi di crisi che hanno colpito note aziende del settore (es. Nestle, Barilla, Ferrero).

(3) Essere coerenti e consistent con le proprie azioni e messaggi – avere sempre “il polso” di come cambiano i bisogni e le aspettative dei propri stakeholder è fondamentale per garantire una coerenza alle attività che si fanno. Oggi il consumatore e il sistemi di pubblici di un’azineda ha infinite fonit di informazioni a cui far riferimento, è quindi parecchio più difficile oggi testimoniare coerenza rispetto all’inizio degli anni 2000.

Dopo il primo mese, Expo2015 secondo lei ha portato qualche volta beneficio alla reputazione della cultura alimentare e dei prodotti italiani?
Partiamo da un dato: con Expo 2015 sono previsti circa 20 milioni di visitatori nei prossimi 6 mesi, provenienti da tutto il mondo. Ad oggi, siamo solo a quota 3 milioni, dato che rende difficile trarre delle conclusioni su quanto EXPO sia, o sarà, realmente di beneficio per l’Italia.

Ulteriore considerazione, credo che quella di Expo sia un vero e proprio sistema, che andrà analizzato a fine “percorso” alla luce del contributo che tutti i fattori che lo compongono saranno riusciti a portare. Valutarlo alla luce della sola cultura alimentare sarebbe probabilmente riduttivo – Expo è cultura, economia, società, infrastrutture, ecc. – così come non tenere in considerazione le altre componenti extra italiane; non dimentichiamo che se Expo esiste e anche e soprattutto grazie al contributo che ogni singolo Paese porta a questo “sistema” con le sue peculiari caratteristiche.

Sicuramente sarà interessante misurare quali aspetti saranno stati maggiormente impattati dalle attività che sono ora in scena con Expo.

Non mi resta che dirvi… valuteremo a settembre.
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