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Un’altra Terra è possibile, con un’altra Umanità

29/04/2015

Simonetta Blasi

I cambiamenti climatici, la sopravvivenza della civiltà, la politica energetica e i negoziati internazionali, la disinformazione e la comunicazione ambientale sono stati al centro dell’incontro dello scorso 21 aprile sulla Comunicazione di Frontiera, nell’ambito di Microfoni Spenti, gestito dal gruppo Terzo Settore della delegazione Ferpi Lazio.




E’ stato un incontro sui temi ambientali di alto profilo e di grande attualità, pensato e organizzato per tanti buoni motivi: il prossimo Summit sul Clima che si terrà a dicembre a Parigi – Cop21; Expo 2015 e il tema “Nutrire la Terra. Energia per la Vita”; il tweet di Renzi sul Green Act, che si doveva discutere a marzo; la Conferenza ‘green’ in Vaticano del 28 aprile‘Proteggere la Terra, nobilitare l’umanità: La dimensione morale di cambiamento climatico e sviluppo sostenibile’. E poi l’attesa Enciclica del Papa Francesco sull’ambiente prevista prima dell’estate. Del resto 15 anni fa tra i Millenium Goals, di cui si chiude ora il bilancio, si era data rilevanza anche alla sostenibilità ambientale che i 191 Stati membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a perseguire. Obiettivi sfidanti a cui ne seguiranno altri, alla fine del prossimo settembre, fortemente focalizzati sulla sostenibilità della vita.

I lavori sono stati inaugurati dal benvenuto di Andrea Ferrante, presidente del Consorzio dell’Altra Economia, il quale ha evidenziato la profonda congruità del dibattito ambientale all’interno di uno spazio pubblico come il CAE -Città dell’Altra Economia, pensato e gestito per restituire al pubblico un modello alternativo e sostenibile di economia e ambiente. Dalle Bio-botteghe gestite direttamente dai produttori, alla presenza degli artisti artigiani e del mercato domenicale dei contadini, la Città dell’Altra Economia si fa esempio concreto di una società che non è fatta di ‘mercato’ (spesso ottuso, monopolista e astratto), ma di tanti piccoli mercati a misura di persone e in grado di alimentare occupazione e qualità della vita.

La parola è poi passata al prof. Vincenzo Ferrara, climatologo e docente, già coinvolto nella prima conferenza nazionale sui cambiamenti climatici, che ha incantato la platea con uno scenario evolutivo del Pianeta e dell’umanità, specificando che nel 2014 abbiamo avuto il record di emissioni di gas serra con 50 miliardi di tonnellate di CO2, principale responsabile del riscaldamento globale. Il professore ha chiaramente spiegato che, spesso, la disinformazione gioca sulla presunta equivalenza tra clima e meteorologia, mentre per clima si intende il bilancio del sistema energetico del Pianeta e non le variazioni climatiche di superficie. Con questo ritmo di emissioni, derivanti da combustibili fossili, si rischia il superamento di +2° per secolo – all’oggi la temperatura è aumentata a livello globale di +0,8° e in Italia di + 1,2° – e se questo dovesse accadere ci troveremmo in una situazione mai sperimentata prima d’ora dagli esseri umani che innesterebbe cambiamenti irreversibili con effetti drammatici. Oltre all’innalzamento dei mari, con conseguente scomparsa di moltissimi territori e massiccia migrazione di interi ecosistemi, si avrebbe l’ulteriore intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi – siccità, alluvioni, uragani etc. – e i ghiacci sciolti dell’Artide provocherebbero il blocco della Corrente del Golfo – principale regolatrice del clima dei paesi europei – innestando così una nuova glaciazione.

E’ poi intervenuta Mariagrazia Midulla, responsabile energia e clima del WWF, che ha parlato non tanto di sopravvivenza di specie animali quanto di futuro per la stessa civilizzazione umana. “E’ un problema culturale” ha spiegato rivolgendosi soprattutto ai giovani, “e il dramma è che non c’è il tempo per aggiornarsi perché si deve agire se si vuole sopravvivere”. Midulla ha poi rivolto un invito alle imprese poiché le conseguenze dei cambiamenti climatici impattano enormemente su tutte le attività umane comprese quelle economiche che, spesso, sembrano avulse dalla vita del Pianeta che le ospita. In particolare si è considerato come lo stesso core-business delle aziende vada ripensato in un’ottica di sostenibilità, evitando di fare greenwashing con i CSRmanager e piuttosto coinvolgendo l’intera organizzazione, produzione e distribuzione. Parlando poi dei negoziati internazionali, la responsabile delWWF ha evidenziato la crescente debolezza dimostrata dai Governi che sino ad ora non hanno ancora istituito un sistema di regole probabilmente in ragione delle grandi pressioni delle lobby economiche legate alle energie fossili – carbone, petrolio, gas, le più inquinanti e climalteranti. In questa difficile fase di transizione il rischio è che si disperdano le eco-competenze acquisite, dalle aziende, dai media, ecc., evitando quindi di scendere più in profondità per trovare soluzioni che non siano di facciata e leader che abbiano realmente in agenda l’ecosostenibilità in una pianificazione di lungo periodo.

Maria Maranò della segreteria nazionale di Legambiente, ha esordito dicendo “qualcosa si può fare” e questo qualcosa sostanzialmente si traduce in ‘meno materia, meno energia, comunque rinnovabile, e meno suolo’. E’ arrivato il momento di ridefinire il modo in cui viviamo e questa crisi economica-ecologica mette definitivamente in discussione il modello di sviluppo del ‘900. Sul Green Act, di cui Renzi fece annuncio a febbraio con un tweet dichiarandolo materia di studio da parte del Governo per marzo (siamo ad aprile ma ancora tutto tace), Legambiente ha proposto 11 temi specifici e immediatamente attuabili che spaziano dalla fiscalità ambientale alla mobilità, dal dissesto idrogeologico alle bonifiche, dalle città ai rifiuti passando per la valorizzazione di natura e turismo anche grazie ai fondi strutturali. Il vero problema, tuttavia, è che ‘energia & ambiente’ sono profondamente interconnessi pertanto si tratta di un ripensamento strutturale delle risorse del Paese che ha bisogno di larghe intese e di un disegno di politica industriale ed economica. Allo stato attuale la questione sembra essere relegata esclusivamente al Ministero dell’ambiente, mentre chi inquina, invece di essere sanzionato, gode ancora di notevoli sussidi.

“Fare comunicazione sui cambiamenti climatici non è facile” ha esordito Luca Iacoboni, responsabile energia e clima di Greenpeace Italia, perché si tratta di un tema complesso ove la comunicazione, che poi è sia politica che informazione, gioca un ruolo fondamentale. Inoltre è un problema di lungo periodo, pertanto poco spendibile per la politica che ama piuttosto fare proclami a cui però non seguono fatti concreti. Cita Renzi che, al Summit sul clima a New York lo scorso settembre, lancia il tema come la ‘sfida del secolo’ per poi tornare in Italia e sbloccare le trivellazioni nel Mediterraneo. Eppure gli effetti sono sotto gli occhi di tutti, da Genova a Venezia, per non parlare di quello che naturalmente succede nelle Filippine. Se la politica e l’informazione svolgessero onestamente il proprio lavoro, sarebbero in prima fila nel connettere i temi energia & ambiente, piuttosto che continuare a tenerli separati per non inimicarsi le élite economiche delle energie fossili. Con il risultato che avanza una disinformazione figlia della malafede, perché gli interessi economici in ballo sono elevatissimi, lo testimonia il milione di euro che la lobby del petrolio ha dato al dott. Wei Hock Soon, collaboratore dell’Harward University, per finanziare le sue ricerche ‘negazioniste’ negli ultimi dieci anni. Perché queste lobby, finanziando la disinformazione e facendo pressione sui governi, vogliono eliminare qualsiasi accordo serio e vincolante nell’ambito dei negoziati internazionali, ovvero l’adozione delle sanzioni. L’operazione Greenpeace ‘Act for climate. Go Solar’, scritta proiettata sul Tempio del Sole sul Machu Picchu in Perù in occasione del Summit sul clima a Lima, è un altro brillante esempio di come l’organizzazione non governativa abbia da tempo imparato a non rincorrere l’informazione quanto piuttosto a presidiarla attraverso la creazione di eventi ‘guerrilla-unconventional’ che non mancano mai di cogliere l’attenzione dei giornalisti finendo poi nell’agenda stessa dei mass media. Per i negoziati di Cop21 a Parigi, gli ambientalisti di Greenpeace si dichiarano moderatamente ottimisti e piuttosto si preparano a far si che, per quel momento, ci sia una giusta mobilitazione della cittadinanza internazionale. Perché se siamo il 99% – come ci ricorda Iacoboni – quindi se le persone prendono coscienza e fanno massa critica mobilitandosi per l’ambiente, allora l’informazione e la politica non potranno fare a meno di prenderne atto venendo a patti con la volontà dei popoli di andare definitivamente verso le fonti energetiche rinnovabili.

In chiusura Simonetta Lombardo, giornalista ambientalista di lungo corso e manager dell’agenzia Silverback che si occupa di comunicazione ‘green’, è ritornata sul fattore ‘complessità/difficoltà’ nel riportare la questione ‘clima’ sui giornali. Certo in California parlare di cambiamenti climatici è più semplice perché da circa sei anni stanno vivendo una grande siccità, quindi laddove si percepisce una ‘materialità’ del fenomeno climatico tutto sembra meno complicato, altrimenti si fatica a ritagliare spazi di riflessione sugli organi di informazione. Comunque, a ben vedere le cose non vanno poi così male in Italia: una recente ricerca promossa tra le altre da Lumsa ed Ecomedia rileva che nel nostro paese, nel mese di marzo 2015, il 91% della carta stampata più diffusa abbia trattato di ambiente, certo non in prima pagina ma nelle pagine interne. E la percentuale stupisce se si entra nel dettaglio delle testate considerate: il 33% degli articoli su Il Sole 24 Ore, il 25% su La Stampa e solo il 18% su La Repubblica. Se il cambiamento climatico non può più essere raccontato in modo ‘scientifico’ – è stato già fatto, pensiamo al rapporto Stern sul costo del ‘non agire’, è la solita vecchia storia, adesso non funziona più – la giornalista riflette sulla possibilità che questo storytelling viri più coerentemente verso la politica economica e i comportamenti sostenibili. Interessante l’esperimento di The Guardian, che da anni mette il tema in prima pagina, ove il caporedattore ha istituito un podcast che giornalmente vede interagire i redattori sull’annosa questio ‘come raccontiamo oggi questa grande storia?’.

E questa fiction-non fiction si muove sul filone del ‘disinvestimento’ dalle energie fossili come sta facendo lo stesso Bill McKibben con il suo 350.org, piattaforma di un grande movimento sulla questione climatica. Rilanciare lostorytelling valorizzando la bellezza della natura attraverso una contaminazione di generi, come la stessa letteratura contemporanea suggerisce, abbandonare la paura e la protezione e piuttosto puntare a far sentire le persone protagoniste e autrici del proprio ‘destino energetico’, come dire, più libertà con responsabilità. In ogni caso la buona notizia è che dall’altra parte, per le big corporation delle energie fossili, le cose non vanno bene dal punto di vista della comunicazione. Lo testimoniano il crescente nervosismo dimostrato all’interno del dibattito pubblico e qualche tentativo distorytelling goffo e obsoleto, come la creazione di una serie cartoon veicolata sui social che tratta di una improbabile love story tra un uomo e un barile di petrolio corredato da tutti i suoi prodotti derivati.

Tirando le somme di questo incontro si potrebbe dire che la questione climatica sta aprendo la strada a una riflessione più estesa sulla qualità e sul futuro della nostra esistenza civilizzata oltre che sulla giustizia sociale, come argomenta diffusamente Naomi Klein nel suo ultimo libro Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile, Rizzoli, 2015. In questo solco impresa, politica e media giocano ruoli strategici e complementari per diffondere consapevolezza e nuove ‘buone pratiche’, irrinunciabili se vogliamo proiettarci nel futuro. E la comunicazione ambientale – bottom-up e top-down– si dimostra notevolmente più ampia ed evoluta, come l’umanità che dovrebbe promuoverla e sostenerla. Del resto, stavolta, siamo arrivati a un punto in cui non potrebbe proprio essere altrimenti.

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