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Velardi: la politica disintermediata

16/07/2015

La disintermediazione è comunicazione politica ed è sempre stata fondamentale: lo faceva Reagan con le cassette delle interviste, lo faceva Silvio Berlusconi con le televisioni di sua proprietà. Oggi si avverte una maggiore possibilità di disintermediazione, e questo grazie anche ai social media. Comunicazione, politica e lobby sono i temi al centro dell'intervista di Claudio Velardi, in esclusiva per Ferpi.

 

La disintermediazione è una delle grandi caratteristiche della Network society. Con Matteo Renzi e il suo spin doctor Filippo Sensi questa prassi è stata definitivamente “sdoganata” nella comunicazione politica. Pensa che la disintermediazione possa aiutare a rendere più comunicativa la politica?

La disintermediazione è comunicazione politica. Parlare direttamente ai propri interlocutori è una tendenza naturale che porta qualsiasi leader a voler agire indisturbato nel campo della comunicazione di se stesso e della propria politica. Disintermediazione è saltare il corpo intermedio (non solo i mezzi di comunicazione), arrivare direttamente al pubblico di un messaggio che si vuole dare. Nella comunicazione politica di questo Paese, il corpo intermedio è quello ormai esangue del giornalismo italiano, piegato a logiche di casta e a un racconto del reale totalmente sballato e il più delle volte partigiano. Poi, a disintermediare, c’è chi ci riesce e chi no: Matteo Renzi in questo ha dimostrato di essere particolarmente dotato.

Quanto è importante per i leader, non solo politici, attivare processi di disintermediazione?
Diciamo che disintermediare è sempre stato fondamentale. E che disintermediare non è una novità: lo faceva Reagan con le cassette delle interviste, lo faceva Silvio Berlusconi con le televisioni di sua proprietà. Più che una maggiore necessità oggi si avverte una maggiore possibilità di disintermediazione, e questo grazie all’evoluzione tecnologica, che ci ha dato questi benedetti social media.

Lei è stato dirigente di partito, giornalista, consigliere politico del Premier Massimo D'Alema a Palazzo Chigi, spin doctor. Ora da 15 anni fa il lobbista. Come s’intrecciano l'innovazione della "disintermediazione" e le dinamiche ad essa legate con il lobbying?
Ecco, vede, con i corpi intermedi in evidente dissoluzione ormai da un decennio, anche il primato della politica è in discussione. Lo dimostra la stasi che ha attanagliato il nostro paese fino a qualche mese fa. Il lobbista in questo contesto non è altro che un “facilitatore”, un soggetto che rende finalmente più fluidi i processi legislativi e la realizzazione di norme per rimettere in moto la pubblica amministrazione, le imprese, il lavoro.

Il lobbista è, di fatto, un mediatore ma allo stesso tempo un comunicatore. Qual è sarà il suo ruolo nei prossimi anni?
Il lobbista costruisce reti attive e nell’era dell’overload informativo deve ovviamente anche avere gli strumenti base della comunicazione: modellare un frame, saperlo reggere, essere pronti 24 ore su 24 a rispondere alle eventuali crisi. L’era delle ombre, quelle che avvolgevano la Prima Repubblica, è finita da un pezzo: ora bisogna essere trasparenti, e possibilmente luccicare.

L’attività di lobbying democratico è da sempre stigmatizzata. Basterebbe solo la pur difficile approvazione di una normativa in materia?
No, ovviamente non basta. Ma è un primo passo, e spero che il governo Renzi, dopo aver risolto le varie emergenze che pur contraddistinguono questa Italia, si muova di conseguenza. Va soprattutto ripristinata però una cultura liberale della giustizia, dei rapporti tra pubblico e privato, della normale amministrazione di un paese civile: se un imprenditore va a parlare con un esponente politico, non può essere automaticamente etichettato come un colluso o un corrotto. Questa è semplicemente barbarie.

Le prossime elezioni politiche potrebbero svolgersi con l’Italicum. Quali conseguenze per l’attività di lobbying?
Basta andare a vedere quali saranno le novità della legge elettorale: premio di maggioranza e sbarramento, collegi, multicandidature, voto di genere e preferenze. L’introduzione delle preferenze rafforzerà finalmente quel legame tra Deputato e territorio che è venuto a mancare col “Porcellum”. Il Deputato diventerà quindi il “lobbista” del collegio in cui verrà eletto ed avrà un peso sempre maggiore sulle decisioni che prenderà il Governo. Chi fa relazioni istituzionali dovrà necessariamente agire di conseguenza, comprendere le esigenze delle realtà locali e cercare di legarle a doppio filo con quelle del Governo: si aggiunge insomma un nuovo campo d’azione per il lobbying.

Lei si occupa molto anche di formazione sia con la sua società Running (quest’anno è nata la Running Academy) ma anche come docente universitario alla Luiss e alla Link Campus University. Cosa consiglierebbe ad un giovane che vuole fare il lobbista? Pensa che la formazione sia utile per trasmettere non solo competenze ma anche valori quali trasparenza e correttezza nello svolgere questa delicata attività?
Come ho già detto, si va verso un’era in cui la trasparenza sarà tutto. E allora ai miei studenti oltre a dare le nozioni chiave per sviluppare le loro competenze per svolgere l’attività di lobbying, che comunque dipendono sempre dai talenti di cui uno dispone, dico: “Senza etica professionale non solo non verrete rispettati, ma non farete neanche un euro”. Con i nostri corsi (in particolare con il corso “Comunicazione, lobby e politica”) abbiamo formato più di mille persone in dieci anni, e ritrovare molti di loro in posizioni rilevanti all’interno sia di aziende che di realtà politiche ci gratifica molto: qui aiutiamo a crescere la classe dirigente del futuro.

Lei ha creato e dirige la più vecchia scuola di formazione alla comunicazione politica e lobbying del Paese. Su quali temi oggi bisogna formare i nuovi lobbisti?
Nei corsi della Running Academy abbiamo inserito anche temi come il finanziamento politico e il dibattito pubblico, oltre alle classiche tematiche legislative (legge di bilancio, drafting e monitoraggio). Sicuramente il finanziamento della politica, con la nuova legge approvata ormai due anni fa, sarà un tema fondamentale. Perché si apre finalmente ai privati, alla società vera, non quella raffigurata dai corpi intermedi in dissoluzione di cui sopra. E questo nuovo mondo di relazioni che si sta delineando avrà bisogno di “costruttori di reti” che abbiano una visione d’insieme del sistema. Anche stabilire dei processi di dibattito pubblico, come in Francia, è assolutamente necessario nel nostro paese: non se ne può più di tutti questi No, di questo fattore Nimby, di questi assurdi ostacoli al progresso rappresentati dai conservatori del cortiletto. Un lobbista, con capacità di comunicazione ed empatia, può fungere da perno per mettere d’accordo la pubblica amministrazione, gli enti locali, i privati, in un ambiente/format riconosciuto come il Débat publique.




 

 

Claudio Velardi
Senior Public Affairs Manager
@claudiovelardi


Nato a Napoli è sposato con due figli. Sua madre era un’insegnante di piano e suo padre un piccolo editore: forse è per questo che ama così tanto la musica e i libri. Giornalista professionista, è il Responsabile per le strategie di comunicazione di Reti-Quicktop. Si è dedicato al mondo delle relazioni istituzionali dopo una lunga attività politica (Segretario del PCI in Basilicata, capo dell’Ufficio Stampa del gruppo PDS alla Camera dei Deputati, Consigliere politico del Premier Massimo D’Alema). E’ stato anche Direttore marketing editoriale dell’Unità. Nel 2000 fonda Reti, società di lobbying e public affairs. In quegli anni ha anche fondato Running, società di comunicazione e formazione politica e il giornale Il Riformista. Ha pubblicato numerosi libri, tra cui “La città porosa”, “Communist patria” e “l’Anno che doveva cambiare l’Italia”. Dal 2008 al 2009 è stato Assessore al Turismo e alla Cultura della Regione Campania. Nel 2014 ha fondato il magazine IlRottamatore.
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