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Advocacy, la frontiera della Lobby

07/04/2017

Giulia Pigliucci

Tre Tavole Rotonde dedicate alla Legge del Dopo di noi, alle unioni civili ed ai contratti di convivenza, al testamento biologico e alla Riforma del Terzo Settore: il convegno “Il Notariato per il sociale. Le nuove frontiere dei diritti sociali nel Terzo Millennio, dalla parte dei cittadini”, organizzato a Roma dal Consiglio Nazionale del Notariato e patrocinato da Ferpi, poneva l'attenzione su alcuni importanti cambiamenti sociali in atto nel nostro Paese con un'azione di advocacy sul legislatore. Il commento di Giulia Pigliucci.

Advocacy. La prima volta che ho sentito pronunciare questa parola mi sono chiesta che senso potesse avere e quale la differenza con quella di lobby. In realtà ero di fronte ad un'espressione che mi avrebbe in qualche modo fatto cambiare opinione sul ruolo dell'ufficio stampa nella costruzione di un processo di comunicazione correlato ad un obiettivo di cambiamento di visione in termini politici e sociali. Un'attività inerente al lavoro che svolgo da anni per il Terzo Settore, l'Umanitario e la Cooperazione Internazionale.

La definizione di questo termine su un buon dizionario è: un processo politico da parte di un individuo o gruppo di persone che mira ad influenzare le politiche pubbliche e l'allocazione delle risorse all'interno dei sistemi politici, economici e sociali e relative istituzioni.

Nei primi anni del 2000, nel ruolo di Ufficio Stampa del VIS - Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, la stesura dei comunicati stampa spesso equivaleva ad una posizione sulla politica internazionale, una prassi:  che si trattasse della costruzione del muro in Terra Santa o della seconda Intifada oppure l'attacco del 11 settembre a New York od anche le posizioni e le richieste ai grandi della Terra riuniti per il G7 a Genova era il punto di vista politico dell'ONG. Tuttavia, mi sfuggiva che per incidere ed influenzare attraverso un comunicato, con annessa semplice dichiarazione del presidente, pubblicata nel ristretto novero delle testate “sensibili” a certe tematiche, mi occorresse un progetto di comunicazione che si esprimesse con una strategia fatta di azioni mirate per fare pressione sugli stakeholder ed i decisori politici.

La svolta arrivò il giorno che compresi che se volevo rendere visibili dei soggetti, fino a quel momento invisibili, occorreva portare il mio compito su due piani: da un lato sensibilizzare il grande pubblico sulla tematica e dall'altra coinvolgere dei referenti delle Istituzioni, al fine di redigere un documento formale che avrebbe dato all'Associazione ed ai soggetti da essa rappresentati il diritto di esistere.

Così è nata La Carta dei Figli dei genitori detenuti, il Protocollo d'Intesa firmato dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando, dall'Autorità Garante dell'Infanzia e dell'Adolescenza Vincenzo Spadafora e il Presidente dell'Associazione Bambinisenzasbarre, Lia Sacerdote, un documento unico in Europa che stabilisce il diritto del bambino di poter avere un legame affettivo con il proprio genitore che si trovi in stato di detenzione. Processo che, in primo luogo, potremmo definire un'azione di advocacy, frutto di un piano di comunicazione in grado coinvolgere su più livelli la società civile, in primis, ed a seguire le Istituzioni ed il legislatore.

La Carta rappresentava e rappresenta di per sé uno strumento che conferisce autorevolezza all'Associazione, capace di innescare un processo di comunicazione tale da accreditarsi come fonte presso i diversi media, ad iniziare dalla televisione.

Per altri versi la class action, azione collettiva legale da parte di gruppi di una determinata categoria per la risoluzione di una questione comune di fatto o di diritto nata negli Stati Uniti, ha trovato da noi, a 8 anni dalla promulgazione della Legge, poca efficacia, stando ai dati delle cause vinte, e di fatto rimane solo una minaccia neanche troppo incisiva.

Sicuramente oggi rispetto a quattro anni fa i canali digitali sono un interessante strumento di “pressione” per creare un coinvolgimento da parte delle persone rispetto ad alcune questioni politiche, economiche e sociali; rimane, tuttavia, ancora il confronto tra esperienze, esperti e decisori, a mio parere, il sistema per poter esprimere al meglio le potenzialità dello strumento: advocacy.

Il convegno “Il Notariato per il sociale. Le nuove frontiere dei diritti sociali nel Terzo Millennio, dalla parte dei cittadini”,  organizzato  in questi giorni a Roma dal Consiglio Nazionale del Notariato e patrocinato da Ferpi, è l'esempio più recente di quanto affermato. Un incontro che, grazie a tre Tavole rotonde dedicate alla Legge del Dopo di noi, alle unioni civili ed ai contratti di convivenza, al testamento biologico e alla Riforma del Terzo Settore, poneva l'attenzione su alcuni importanti cambiamenti sociali in atto nel nostro Paese, che in parte sono stati oggetto di recenti provvedimenti normativi mentre altri aspettano che si compia ancora tutto l'iter parlamentare in parte avviato.

Un convegno che intendeva essere un prima di tutto un'azione di advocacy sul legislatore su alcuni dei punti cruciali che animano il dibattito politico e sociale degli ultimi anni, questioni che riguardano principalmente l'inclusione sociale, attuabile con la concreta rimozione degli ostacoli che si frappongono al riconoscimento e alla tutela dei diritti delle persone, soprattutto le più vulnerabili.

La novità, se la si può così definire, è che fosse proposta, non da cittadini o da gruppi d'interesse, ma da uno dei soggetti istituzionali: i notai che, come pubblici ufficiali sul territorio, intercettano per primi le nuove esigenze dei cittadini e della società civile, impegnandosi a tradurle in istituti in grado di rispondere alle loro necessità conformando le istanze sociali al principio di legalità.

Un segno dei tempi, nel quale la velocità del cambiamento della società italiana e le modalità di pressione politica usufruiscono della parimenti velocità adotta dalla comunicazione, portando lo strumento dell'advocacy ad oltrepassare quello della lobby, che spesso si adegua alla lentezza del Palazzo dimenticando l'interesse immediato del cittadino e del proprio gruppo di interesse.

 
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