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Aziende mancine

04/05/2011

La lateralizzazione è la “scelta” che ogni essere vivente compie nell’utilizzare il lato destro o sinistro del corpo come dominante per la propria sopravvivenza. Alcune ricerche hanno dimostrato come adottare comportamenti anomali possa determinare la salvezza di un soggetto. Il modello matematico di questa teoria, applicato alla comunicazione ed alla CSR, mostra come il successo di un’azienda possa essere legato a scelte innovative. L’analisi di _Luca Poma_ e il caso _Guna._

di Luca Poma
Nora Schultz, editorialista del prestigioso giornale inglese “New Scientist”, è mancina. In un suo articolo (1) ha riflettuto sul motivo per il quale esseri umani e anche mondo animale sono “programmati” per preferire un lato piuttosto che un altro del proprio corpo per svolgere le mansioni più importanti legate alla sopravvivenza del singolo e del gruppo. Una volta si pensava che l’essere mancini, destri o ambidestri fosse una prerogativa tipica degli umani, ma così non è: studi scientifici hanno dimostrato che anche altri mammiferi, nonché uccelli, pesci e persino invertebrati presentano questa peculiarità, detta “lateralizzazione”. Pare che essa sia legata alla dominanza dell’emisfero sinistro del cervello, che gestisce le funzioni “evolute” come quelle del linguaggio, per gli umani, e della ricerca del cibo, per gli animali: i due emisferi gestiscono l’uno la parte opposta del corpo, quello sinistro controlla le funzioni ed i sensi della nostra metà destra, e di qui la “dominanza” del lato destro, della mano destra, dell’occhio destro. Le ricerche sulla memoria e l’apprendimento degli animali realizzate da Lesley Rogers (2) hanno ad esempio dimostrato che i pulcini cercano i chicchi di mais con l’occhio destro – il cibo è in cima alla piramide dei bisogni per l’animale – e con l’occhio sinistro tengono sotto controllo l’ambiente per verificare l’avvicinarsi di eventuali predatori. Anche le api hanno una maggiore sensibilità agli odori attraverso l’antenna destra, e gli esempi di animali “lateralizzati” sono innumerevoli.
La scienza dimostra che la lateralizzazione è determinata dal modo in cui è organizzato il cervello, dal tipo di struttura cognitiva delle sue varie regioni. In definitiva, è una condizione frutto della strategia cognitiva prescelta dall’individuo, la quale dipende a sua volta sia da fattori genetici come anche da fattori ambientali, e dall’interazione costante tra geni e ambiente che condiziona lo sviluppo di un organo plastico e in continua evoluzione com’è il cervello.
Elaborare gli input separatamente – fa notare la Schultz – sfruttando le due parti del cervello in modo differente, e assegnando compiti diversi a ognuna delle due, sembra un modo naturale per ridistribuire le proprie risorse e facilitare certi automatismi somatici, a tutto vantaggio delle performance di sopravvivenza. Come dimostrano anche gli studi di Maria Magat e Culum Brown (3), la lateralizzazione consente al cervello di incanalare le informazioni che provengono da fonti differenti, elaborando i compiti assegnati in modo quasi separato, e quindi più rapido: ciò genera un vantaggio cognitivo generale per l’individuo.
Ma la domanda è: date queste regole di massima, perché allora ci sono esemplari “stravaganti”, programmati in modo diverso dalla popolazione generale?
Stefano Ghirlanda, un docente di origine italiana che lavora all’Università di Stoccolma, ha tentato di elaborare una risposta utilizzando la Teoria dei Giochi (4). Con i suoi colleghi, ha costruito un modello matematico che dimostra come un soggetto riesce ad aumentare ulteriormente le proprie chances di sopravvivenza in un gruppo di suoi simili caratterizzati dalla medesima lateralizzazione, se si comporta in modo “anomalo” e “bizzarro” rispetto alla massa.
Ghirlanda e la sua equipe hanno preso in considerazione gruppi di animali che vivono sotto la costante minaccia dei predatori, come le sardine che nuotano in mari infestati da squali. Si potrebbe pensare che la sicurezza del gruppo dipenda dalla sua estensione numerica – il rischio per il singolo pesciolino di essere ucciso diminuisce matematicamente con l’aumentare del numero di membri del branco – e anche dalla coerenza nella scelta delle strategie difensive. Il modello matematico degli studiosi di Stoccolma dimostra invece che la microscopica percentuale di piccoli pesci che compie scelte “non convenzionali” e si stacca dal branco per fuggire in un’altra direzione riduce ulteriormente il fattore di rischio. In definitiva, conclude la Schultz commentando questi risultati, il raggruppamento in grado di resistere meglio alle pressioni evolutive è quello la cui maggioranza è lateralizzata nella stessa direzione, ma che include anche una piccola minoranza di soggetti che si oppone alla tendenza generale e percorre strade inedite.
Da sempre, la natura è di modello all’uomo, e la contaminazione di saperi è la strada migliore per elevarci ad un più alto livello di consapevolezza (5). Sarebbe quindi assai interessante provare ad applicare questi modelli matematici elaborati dagli etologi sia alla CSR – che è la più evoluta disciplina per la creazione di contesti di comunicazione ad alto valore aggiunto – che alle strategie di comunicazione in generale, tentando di definire l’esatto “punto di non ritorno” oltre il quale un’azienda in grado di creare innovazione e percorrere nuove strade – anche dissonanti rispetto alle sue competitore – dimostra tangibilmente e in modo misurabile di aumentare in modo direttamente o anche quadraticamente proporzionale le proprie chances di sopravvivenza all’interno di un dato sistema di imprese.
Sono convinto da sempre dell’opportunità di adottare un modello di business e di comunicazione flessibile, che preveda il vantaggio di agire in maniera armonica in una certa fase di cooperazione, ma anche la capacità di andare contro-corrente, scombinando le aspettative della controparte, in caso di interazioni antagoniste o comunque all’interno di scenari concorrenziali.
Un esempio di quanto affermato è il progetto “No Patent” di Guna Spa (www.guna.it/nopatent). Guna – un termine sanscrito che significa “le qualità dell’essere” – è l’azienda leader italiana nella produzione e distribuzione di farmaci di origine biologica, nonchè best-in-class nella CSR del suo settore grazie a un paniere assai articolato di iniziative, inclusa l’innovativa – e controcorrente – scelta di rinunciare alla protezione brevettuale di ogni sua attuale e futura scoperta scientifica e innovazione di prodotto e di processo, strategia elaborata grazie a un’intuizione del suo fondatore e attuale Presidente Alessandro Pizzoccaro. L’azienda, coerentemente, ha inoltre rinunciato al copyright per tutte le pubblicazioni e ricerche scientifiche edite dalla propria divisione editoriale.
Esempio di pensiero lateralizzato in forma non convenzionale, Guna rappresenta “la minoranza” che sceglie di viaggiare in senso contrario alla massa, in un settore come quello farmaceutico sempre impegnato in una difesa a oltranza della proprietà intellettuale. Come per le specie animali studiate da Magat e Brown, quest’azienda ha fatto una scelta differente rispetto al gruppo, ma in quanto tale pro-sopravvivenza: l’abbandono dell’asfissiante strategia di difesa brevettuale ha infatti liberato risorse finanziarie e professionali, ampliando i budget per la ricerca & sviluppo; inoltre – cosa non trascurabile – la scelta di non brevettare prodotti, processi e scoperte, ha proiettato l’azienda verso una forma-mentis ancor più innovation-oriented, partendo dal presupposto che concentrarsi sui brevetti significa difendere il passato, mentre investire in ricerca equivale a “creare futuro”, e che se sai di poter essere “copiato” il vantaggio competitivo sul nuovo prodotto si accorcia inevitabilmente, e tu devi incubare novità a ritmo costante. Infine, questo criterio di tipo “copyleft” è decisamente più in linea con l’attuale sensibilità del web “2.0”, e con la crescente necessità di rapida veicolazione delle informazioni tipica del fluido mondo di internet nel nuovo millennio.
Di fatto, Guna non ha solo stimolato un dibattito in un settore “conservativo” come quello farmaceutico, ma ha ristrutturato sotto quest’aspetto il proprio modello di business in modo assai “lateralizzato”, e le performances dell’azienda – in costante crescita di fatturato e quota di mercato, grazie soprattutto al lavoro quotidiano di un team di manager di primissimo ordine – sembrano premiare anche quest’iniziativa, che è entrata nella catena del valore con vantaggio anche per le caratteristiche immateriali del brand.
Concludo con un nuovo appello ai matematici: aiutate noi comunicatori e relatori pubblici ad uscire da una dimensione meramente empirica della professione, e a dotarci di strumenti scientifici per realizzare i nostri progetti e per misurarne le performance in termini di risultati di valore per tutti gli stakeholders coinvolti.

(1) “The evolution of handedness”, pubblicato da “New Scientist” – settimanale britannico di divulgazione scientifica – il 30/04/10
(2) Professore di etologia alla University of New England (Australia)
(3) Professori di scienze naturali alla Macquarie University di Sidney (Australia)
(4) Per una riflessione sull’ipotesi di applicare la Teoria dei Giochi alle relazioni pubbliche, si può leggere il mio saggio dal titolo “La Teoria dei Giochi: dalla strategia militare alle Rp” pubblicato online su Ferpi News all’indirizzo internet http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_ferpi/notizie_ferpi/la-teoria-dei-giochi-dalla-strategia-militare-alle-rp/notizia_ferpi/42385/11
(5) Sul rapporto tra neuroscienze e CSR, si può leggere il mio saggio dal titolo “Human Social Responsibility: una nuova prospettiva per la CSR” pubblicato online su Ferpi News all’indirizzo internet http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_rp/management/human-social-responsibility-una-nuova-prospettiva-per-la-csr/notizia_rp/42290/8.
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