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Contaminazione dei saperi: la Teoria dei Sistemi e le Rp

14/12/2011

Da anni discipline anche molto distanti fra loro hanno unito le proprie forze per creare modelli di studio comuni. Perchè le Relazioni pubbliche non fanno altrettanto? Un'analisi delle possibili contaminazioni tra la Teoria dei Sistemi e le Rp e l'ideazione di un modello teorico di scenario per la CSR, è quanto propone _Luca Poma_ nella sua riflessione.

di Luca Poma
L’enciclopedia on-line Wikipedia riporta che la Teoria Generale dei Sistemi “si occupa dei meccanismi di funzionamento di un gruppo di elementi, organici tra loro al punto da costituire un sistema ordinato e vincolato da leggi scientifiche precise”. Secondo il fondatore di questa teoria, Ludwig von Bertalanffy, la condizione necessaria perché un sistema esista senza degenerare nel semplice “insieme” dei suoi componenti è che gli elementi interagiscano tra loro con una qualche logica. Per rendere l’idea con un esempio, è la differenza tra un insieme di ingredienti distinti e una ricetta ben riuscita, che – ancorché sommatoria di ingredienti anch’essa, acquisisce caratteristiche organolettiche peculiari. Ho scritto circa il rapporto tra CSR, RP e reti neurali complesse in un mio saggio del 2009, e con questo nuovo articolo – corredato da una bibliografia scientifica – vorrei riflettere circa le possibili contaminazioni tra la Teoria dei Sistemi e le Relazioni Pubbliche, e più specificatamente la Corporate Social Responsibility (CSR).
Presupposto indispensabile per l’esistenza in vita di un “sistema” è che gli elementi che lo compongono interagiscano tra loro, modificando – ad esempio secondo il modello delle reti neurali – le proprie caratteristiche sulla base delle informazioni scambiate l’uno con l’altro: ad ogni input su uno degli elementi del sistema, corrisponde un output da esso verso gli elementi contigui, con il risultato di cambiare pesi ed equilibri. Ciò è proprio ciò che succede su un modello teorico di network di stakeholder.
Gli esperti di Teoria dei Sistemi rappresentano un “sistema” come una “scatola nera” con ingressi e uscite. Lo stato del sistema è descritto da un insieme di variabili, dette appunto variabili di stato, che definiscono la “situazione” in cui si trova il sistema ad un certo momento. Gli ingressi agiscono sullo stato interno del sistema e ne modificano le caratteristiche – ovvero i valori – in un dato istante temporale: queste modifiche vengono registrate dalle variabili di stato. I valori delle uscite del sistema in generale, dipendono a loro volta dalle variabili di stato interne al sistema, che a loro volta abbiamo detto variano a seconda dei dati in ingresso. Esistono equazioni – che qualunque matematico esperto potrebbe descriverci agevolmente – per determinare lo “stato interno” di un dato sistema in un determinato istante, sulla base degli input che ha ricevuto, di come li ha elaborati, e di come li ha “restituiti all’esterno”. Queste equazioni permettono quindi di monitorare – e prevedere con un una discreta approssimazione – l’evoluzione nel tempo del sistema stesso. Mi chiedo quindi perché non applicare questa teoria e questi modelli matematici anche alla CSR, laddove una mappa di stakeholder altro non è se non un macrosistema con elementi fortemente interconnessi, tra stakeholder di prossimità, pubblici più o meno influenti ed ambiente esterno, e più in generale alle relazioni pubbliche creando modelli teorici di scenari di RP e ipotizzando scientificamente come i risultati di varie strategie influenzerebbero i pubblici di riferimento dell’azienda.
I ricercatori oggi arrivano a ipotizzare l’esistenza di modelli dotati di sistema cognitivo “autonomo”, per il funzionamento dei quali è importante agire sull’apprendimento, sulle informazioni disponibili e sulla loro “memoria”, com’è il caso di alcuni moderni “automi sperimentali” in grado di imparare dei propri stessi errori e migliorare da soli il proprio profilo di efficienza. Una sfida a mio avviso assai stimolante per noi relatori pubblici.
La scienza della complessità studia i sistemi complessi e i fenomeni emergenti a essi associati: è una visione interdisciplinare degli studi che si occupano di sistemi adattativi, teoria del caos, intelligenza artificiale e cibernetica, che ha mosso i primissimi passi alla fine del XIX secolo, in seguito alla constatazione che la logica aristotelica e il dualismo cartesiano erano ormai inadeguati a comprendere il mondo delle complesse interazioni del mondo moderno. Uno dei primi a lavorare su questi paradigmi fu Ross Harrison, il quale studiò il concetto di “organizzazione” interna dei sistemi, identificando la natura gerarchica degli elementi all’interno dei sistemi come uno degli elementi più importanti dell’organizzazione degli stessi. In natura, ad esempio, l’esistenza di più livelli di sistema all’interno di ogni sistema più ampio è assai tipica: le cellule si combinano per formare i tessuti, i tessuti per formare gli organi e gli organi per formare gli organismi viventi. Interessate notare, ai fini del nostro approfondimento, che a loro volta gli organismi viventi agiscono organizzandosi in sistemi sociali.
Questo tipo di studi ha anche dato vita alla teorizzazione dei sistemi dinamici complessi, filone applicato innanzitutto agli esseri viventi. Citando nuovamente un esempio divulgativo tratto da Wikipedia, un chiaro esempio biologico di sistema complesso è una colonia di formiche: la regina non dà ordini alle formiche, ma ogni singola formica reagisce a stimoli, odori provenienti dalle larve, dalle altre formiche, da intrusi, da cibo e immondizia, e si lascia dietro una traccia chimica che a sua volta servirà da stimolo alle altre. Ogni formica è quindi un’unità autonoma che reagisce in relazione all’ambiente e alle regole genetiche della sua specie: nonostante la mancanza di un vero e proprio ordine centralizzato, le colonie di formiche esibiscono un comportamento complesso e hanno dimostrato la capacità di affrontare problemi geometrici, come ad esempio localizzare il punto più lontano da tutte le entrate della colonia per disporvi lì i corpi morti.
Un esempio più vicino a noi è quello delle transazioni finanziarie internazionali: non esiste un’entità che controlla il funzionamento dell’intero mercato, gli investitori conoscono solo un limitato numero di imprese contenute nel loro portafoglio, ma attraverso le interazioni dei singoli investitori emerge la complessità del mercato della borsa nel suo complesso. La stessa Wikipedia per certi versi è regolata da queste leggi, in quanto sistema complesso aperto e decentralizzato: ognuno edita solo una parte dell’enciclopedia, ma tutti hanno la sensazione di partecipare a qualcosa di più grande di loro. Altri campi di applicazione pratica sono della scienza della complessità sono ad esempio le reti informatiche, i sistemi per la previsione del traffico e le reti di comunicazione militare.
Il fondatore della Teoria dei Sistemi, il citato Ludwig von Bertalanffy, diceva nell’introduzione al trattato in cui codificava questa pista di ricerca: “Pensare in termini di sistemi gioca un ruolo dominante in un ampio intervallo di settori che va dalle imprese industriali e dagli armamenti sino ai temi più misteriosi della scienza pura…”. Penso sia arrivata l’ora di un’ulteriore contaminazione di saperi tra queste scienze matematiche e le scienze sociali che ci vedono protagonisti come comunicatori e relatori pubblici. Una qualunque mappa degli stakeholder è infatti ascrivibile alla categoria dei “sistemi complessi”, le cui continue sollecitazioni tra elementi parte della mappa rendono difficilmente prevedibile l’andamento nel medio-termine. La struttura complessiva di una vera ed ampia mappa aziendale degli stakeholder dovrebbe necessariamente essere di tipo reticolare, su modello delle mappe concettuali di Joseph Novak, ma senza presentare un preciso “punto di partenza”.
Questo ci porta dritti a una riflessione da me in più occasioni sollecitata su queste pagine: riflettere sull’impatto della nostra azione di relatori pubblici non solo sull’azienda cliente, ma anche sull’identità dei suoi stakeholder, sugli stakeholder dei suoi stakeholder, eccetera. E se è vero che tanto maggiore è la quantità e la varietà delle relazioni fra gli elementi di un sistema tanto maggiore è la sua complessità, il contributo che le scienze matematiche possono apportare alla capacità di previsione degli scenari possibili su una mappa degli stakeholder da parte dei relatori pubblici è certamente tutta da esplorare.
Un altro campo di “contaminazione” esplorato dalla Teoria dei Sistemi è la biopsicologia. In un mio saggio di inizi 2011 ho esplorato le connessioni esistenti tra la CSR e la biopsicologia, partendo dall’assunto che l’immersione in ambienti costantemente proiettati verso la “costruzione di futuro” – condizione tipica di chi lavora a nuovi paradigmi di sviluppo delle imprese e dell’ambiente con il quale esse si rapportano – stimola positivamente l’organismo umano alla produzione di ormoni del benessere, con ricadute positive sulla qualità della vita, come ci conferma una valente psichiatra e notissima ricercatrice internazionale, la Prof. Emilia Costa. Sempre la Costa ricorda come “oggi si renda necessario – anzi indispensabile – modificare il nostro modo di pensare, dando finalmente maggior spazio al pensiero analogico, al pensiero complesso, al modello della causalità circolare e alle conseguenti modalità conoscitive e di azione che servono per produrre innovazione e cambiamento in ogni settore della società, dalle aziende alle istituzioni all’intera collettività”.
Proprio quel modello di casualità circolare che è alla base delle leggi che regolano il funzionamento dei sistemi complessi: un po’ come per il corpo umano, il comportamento di un sistema di questo tipo non può essere compreso a partire dal comportamento dei singoli elementi che lo compongono, in quanto solo l’interazione tra i singoli elementi determina il comportamento globale del sistema. Questa proprietà è chiamata “comportamento emergente”: a partire dalle interazioni tra i singoli componenti del sistema, emerge un comportamento non previsto dallo studio delle singole parti. Un sistema complesso adattativo è descritto da De Toni, Comello e Holland come “un instabile aggregato di agenti e connessioni, auto-organizzati per garantirsi l’adattamento, un sistema che emerge nel tempo in forma coerente, e si adatta e organizza mediante la costante ridefinizione del rapporto tra il sistema stesso e il suo ambiente”. E’ il concetto dei cosiddetti “paesaggi elastici” – fitness landscape – in continua deformazione per l’azione congiunta dei sistemi stessi, di altri sistemi simili, e di elementi esogeni, e la mappa degli stakeholder di un’azienda è in questo senso probabilmente da intendersi proprio come un “sistema complesso adattivo”.
Una delle ragioni per cui si verifica un comportamento emergente è che il numero di interazioni tra le componenti di un sistema aumenta combinatoriamente con il numero delle componenti, consentendo il potenziale emergere di nuovi e più impercettibili tipi di comportamento: l’inserimento di preoccupazioni di carattere etico nella vita di un’azienda, tali da condizionare anche elementi non propriamente di prossimità, risponde proprio a questa logica. D’altro canto, non è di per sé sufficiente un gran numero di interazioni per determinare un comportamento emergente, perché molte interazioni potrebbero essere irrilevanti, oppure annullarsi a vicenda, così come pratiche di greenwashing hanno ben poco effetto a medio-lungo termine nel variare il comportamento degli stakeholder su una mappa.
La Teoria dei Sistemi rappresenta in definitiva il tentativo di inquadrare le relazioni di causa ed effetto tra tutti gli elementi di un dato sistema, e fornire degli strumenti di analisi matematica per decifrarle. Alcuni programmi di calcolo e simulazione attualmente disponibili costituiscono un ausilio prezioso all’utilizzo delle tecniche proprie di questo paradigma teorico. Un approccio orientato al sistema è infatti divenuto comune a tutte le scienze e le discipline che trattino di interazioni, come la fisica, la biologia, l’informatica, e – non ultima – l’economia. Non ho reperito tuttavia referenze bibliografiche atte a documentare l’esistenza di riflessioni sull’applicazione di un approccio sistemico alla Responsabilità Sociale d’Impresa e alle Relazioni pubbliche, che pure sono due scienze sociali che fanno delle “interazioni” il proprio cavallo di battaglia.
Le scienze cognitive hanno permesso da anni a neuroscienziati, informatici, filosofi della mente, linguisti, psicologi e antropologi di unire le forze per costruire modelli di studio comuni, invadendo territori tradizionalmente appartenenti all’indagine filosofica. Perché le relazioni pubbliche debbano continuare ad auto-escludersi da questi frizzanti ambiti di ricerca, resta per me veramente un mistero.

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