Emotionraising: etica e fundraising
18/07/2013
Il rapporto tra etica e non profit non è così scontato come si potrebbe pensare e occuparsi di buone cause non è necessariamente sinonimo di correttezza. Del rapporto tra etica e nuove forme di fundraising ha parlato _Rossella Sobrero_ in un recente incontro, ospitato dall’università Iulm di Milano, dal titolo _Emotionraising: come il nostro cervello si fa sedurre, stupire e convincere dalla buone cause._
di Rossella Sobrero
Si è svolto in Iulm, il 16 luglio scorso, un interessante incontro promosso dal gruppo di ricerca del Behavior and Brain Lab dell’ateneo e da Assif – Associazione Italiana Fundraiser.
L’incontro, dal titolo Emotionraising: come il nostro cervello si fa sedurre, stupire e convincere dalla buone cause, è stato coordinato da Luigi Ripamonti (Direttore Corriere Salute – Corriere della Sera) e ha visto la partecipazione di Francesco Ambrogetti (Fundraising Advisor UNAIDS), Gianvito Martino (Direttore Divisione Neuroscienze Istituto Scientifico Universitario San Raffaele), Vincenzo Russo (Professore Associato di Psicologia e Direttore Behavior and Brain Lab dell’Università IULM ), Rossella Sobrero (Docente di comunicazione pubblica e sociale dell’Università degli Studi di Milano).
Nel mio intervento ho affrontato il tema del rapporto tra etica e nuove forme di fundraising.
1 – Etica e non profit è un binomio scontato?
Il lavorare in un’organizzazione del Terzo Settore non è garanzia sufficiente per dare valore etico ad un’attività. Purtroppo anche nel mondo non profit esistono casi di comportamenti scorretti sul piano deontologico o di superficialità e di inadeguatezza sul piano propriamente etico.
Non è vero che la buona causa viene prima di tutto e che qualsiasi mezzo è lecito per raccogliere fondi: per esempio, non è etico assumere, come fanno alcuni operatori del Terzo Settore, atteggiamenti aggressivi e poco rispettosi nei confronti dei potenziali donatori. Oppure gestire in modo poco corretto i propri collaboratori.
2 – Passione e ragione
Passione è un termine che ha subito una lunga evoluzione: da assoluta passività (pàthos, con Aristotele assume il carattere di subire, di essere toccato) diventa con il tempo l’opposto di ratio, ragione. Nel fundraising c’è passione e ragione, sia quando si parla di raccolta fondi da un’impresa o da un privato. Esiste sempre un mix tra passione e ragione ma con prevalenza della ragione quando si parla di un’impresa (la passione c’è comunque perché l’interlocutore è sempre una persona) e di passione quando si parla di un privato (la ragione c’è perché si devono dimostrare i risultati ottenuti).
3 – Compassione o soddisfazione?
Le passioni coinvolte nel fundraising possono essere molto diverse: tristezza, rabbia, compassione ma anche sorpresa, soddisfazione, felicità.
Negli ultimi tempi si è assistito al passaggio dalla rappresentazione delle passioni negative a quelle positive: molte campagne valorizzano infatti il risultato ottenuto grazie al contributo dei donatori perché genera empatia, fenomeno grazie al quale si crea con un altro individuo un processo di identificazione.
L’identificazione è sempre il frutto di un mix tra passione e ragione: l’empatia tra madre e bambino (prima forma empatia diventata modello per tutte le altre) nasce per la madre dal riconoscimento dei bisogni del bambino e dal saperli soddisfare; per il bambino dal percepire la madre come un soggetto diverso da sé capace di soddisfare il suo bisogno.
L’empatia è alla base anche dell’attività di fundraising: atteggiamento razionale nel conoscere e nel trasmettere ciò che l’associazione sa fare e farà e componente di chiarezza emotiva nel trasmettere il risultato che l’azione dell’organizzazione può ottenere grazie al medium del donatore.
Ma quanto è corretto innescare driver emozionali sui quali far leva per spingere un persona a donare e fino a che punto è lecito giocare sul coinvolgimento emotivo del donatore?
4 – Empatia ed etica
Alla base dell’empatia possiamo dire che c’è (o ci dovrebbe essere) l’etica.
L’etica è la descrizione della buona qualità della nostra relazione con la realtà. In particolare di quella relazione con il mondo che usiamo chiamare “desiderio” o “bisogno” di appagamento. Desiderio o bisogno sono parole elementari, legate alla comune esperienza. Come dire: io ho notizia di qualcosa di utile o di necessario per me, qualcosa che mi manca e che vorrei avere. Per poterlo avere, compio solitamente una serie di azioni che mi avvicinano all’oggetto del desiderio. Queste azioni configurano un certo "comportamento” e ci fanno essere in un certo modo. In questo cammino si elabora di fatto un sapere che può illuminare sulla correttezza o meno dei nostri comportamenti e che può dare importanti indicazioni (cioè “principi”) che valgono come guida delle nostre azioni. Nel suo senso fondamentale, l’etica è ciò che governa i rapporti tra le persone ma anche tra le organizzazioni.
Il rapporto tra due soggetti si può ricondurre fondamentalmente a due modelli: può essere un rapporto di reciproca disponibilità o un rapporto di minaccia.
Dal punto di vista etico, è importante capire che il rapporto di minaccia conduce alla distruzione: un soggetto vuole sopraffare l’altro, anzi lo si vuole ridurre a un ruolo subordinato cioè a strumento dei propri fini. Si vuole trionfare sull’altro per affermare che l’unico soggetto è quello che vince. Ma un soggetto vincitore non può sopravvivere perché viene a mancare ciò di cui ha assolutamente bisogno: l’altro. Nel rapporto che cerca la vittoria a tutti i costi si instaura un dominio che è l’esatto contrario del rapporto di riconoscimento.
Mentre soltanto il riconoscimento reciproco suscita, mantiene e accresce la vita.
E questa è una regola aurea dell’etica, che vale anche per il fundraising i suoi mezzi.
Nelle diverse religioni questa regola che ha diverse formulazioni:
“Non fare al prossimo tuo ciò che ritieni detestabile” (Tradizione giudaica)
“Non fare agli altri ciò che a te farebbe male” (Tradizione induista)
“Non offendere gli altri nella maniera in cui offenderebbero te” (Tradizione buddhista)
“Non fate agli altri ciò che non volete che essi facciano a voi” (Tradizione confuciana)
“Nessuno di voi è credente se non desidera per suo fratello ciò che desidera per sé stesso" (Tradizione islamica).
Kant ha posto questa regola al centro della sua morale: “Agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche al tempo stesso come scopo e mai come semplice mezzo”. Il che significa riconoscere l’altro nella sua soggettività senza volerlo manipolare, senza volerlo annullare per raggiungere i propri scopi. Riconoscere l’altro per creare un rapporto empatico che produce risultati positivi di lunga durata.
5 – Il rispetto alla base del fundraising
Per un fundraiser è importante conoscere i suoi interlocutori e le loro ragioni. Deve imparare non solo a chiedere loro in maniera efficace attenzione, tempo e soldi, ma anche a rispettarli. E’ necessario conoscere il potenziale donatore, provare con umiltà e spirito scientifico a comprendere i meccanismi che stanno alla base delle sue scelte, dei suoi comportamenti, delle sue reazioni fisiche e chimiche.
Il rispetto è alla base di un approccio etico del fundraiser che non deve considerare i donatori come semplici bancomat pensando che basti chiedere e pretendere senza creare prima una relazione.
L’etica prevede un uso attento delle risorse raccolte ma anche un puntuale rendicontazione: dalle intenzioni si deve passare ai numeri da fornire ai donatori.