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Verso Casa. Il post-digitale nel design del territorio

13/07/2017

Un incontro, organizzato da Ferpi lo scorso 9 luglio nell’ambito del Festival della Partecipazione dell’Aquila, un dialogo a più voci -  quelle di Massimo Alesii, Davide Rampello, Giangi Milesi, Giulia Pigliucci, Toni Muzi Falconi e Letizia Di Tommaso - sul tema della responsabilità delle organizzazioni per l’urgente avvio di un ‘lavoro’ di Grande Restauro del capitale relazionale e sociale dei territori.

 

 

Un dialogo a più voci sul tema della responsabilità delle organizzazioni per l’urgente avvio di un ‘lavoro’ di Grande Restauro del capitale relazionale e sociale dei territori: a livello locale, regionale e nazionale. Verso CASA è il tendere delle Comunità alla loro ricostruzione nella variabile del tempo delle grandi migrazioni indotte dalla globalizzazione; un quadro complesso dentro il quale ridefinire la nuova dimensione umana e relazionale, una chiave per la rinascita dell’uomo contemporaneo. Il Chairman Massimo Alesii - Agt Communications ne ha parlato lo scorso 9 luglio con Davide Rampello - Docente design del territorio- Politecnico di Milano, Giangi Milesi - Presidente CESVI, Giulia Pigliucci - Ufficio Stampa Focsiv, Toni Muzi Falconi - Senior Counsel Methodos, Letizia Di Tommaso – Comunicazione Corpo Italiano di Soccorso Ordine di Malta e Consigliere nazionale Ferpi, durante l’incontro “Verso Casa. Il post-digitale nel design del territorio”, organizzato da Ferpi nell’ambito del Festival della Partecipazione dell’Aquila.

Il Festival è stato un terreno molto fertile dove incontrarsi e ragionare insieme di temi che, sempre più, gestiranno le agende dell’Europa e del resto del mondo nei prossimi anni. Ferpi ha voluto testimoniare la sua attenzione a questi temi proponendo un panel che approfondisse dai numeri ai pensieri la globalizzazione e il costante mutare di comportamenti e scenari che coinvolgono tutti i cittadini. VERSO CASA, il post-digitale nel design del territorio è stato un viaggio a più voci, qui sintetizzate per ogni relatore, in modo da potervene dare sintesi diretta. Prima di immergervi nella lettura del professor Davide Rampello vi segnaliamo alcune parole fondamentali per l’approfondimento del tema trattato.

Con Davide Rampello abbiamo parlato di:

  • emozioni, che guidano le scelte dei resilienti

  • memoria, vitale per l'uomo, il passato non ha colore e ci aiuta a riscoprire le nostre radici

  • ricordi, patrimonio è fondamentale per la nostra ricostruzione

  • valore, ridare valore alle cose ripartendo dalla memoria

  • reinterpretare, il patrimonio relazionale dei saperi abbandonati

  • il coraggio dei soli oltre misura

  • l'arte dell'agricoltura e la ricchezza che ne scaturisce per il territorio

  • armonia

  • ritrovare il paesaggio interiore per ricostruire le comunità del futuro



Massimo Alesii

 

Verso Casa, il tendere delle Comunità verso la propria ricostruzione.

Viviamo immersi nella variabile del tempo delle grandi migrazioni. Grandi emergenze e nuove catastrofi naturali hanno aperto il nuovo millennio, colpendo la nuova civiltà globale in più punti, amplificate da vecchi e nuovi media. L'era digitale restituisce a noi relatori pubblici un costante ceck up dello stato della sofferenza e poi della resilienza delle popolazioni colpite, o almeno la percezione che si ha di esso.

C'è un tempo, questo tempo, in cui, nella sfida globale, si inserisce il dovere delle Relazioni Pubbliche di affiancarsi con uomini e strumenti alle comunità da ricostruire, siano esse composte da migranti piuttosto che terremotati o sfollati in una visione attenta al dialogo, alla partecipazione, al recupero della dimensione relazionale analogica che va ben oltre quella ... digitale.

Disegnare o meglio poter contribuire alla ridiscussione sui nuovi valori da restituire a chi li ha persi, valori culturali, etici, ambientali genera valore per il nuovo abitare nei luoghi del prossimo futuro.

Verso Casa dunque un tendere verso nuovi luoghi piuttosto che un semplice tornare a casa vuol dire intraprendere coraggiosamente il cammino del proprio miglioramento nel contribuire alla creazione di nuovi valori collettivi, più forti, più armonici, rispettosi di tutte le identità, per accogliere e raccogliere intorno a nuovi fuochi intelligenze e pensieri altrui.

Questi anni recenti ci stanno cambiando la vita, proponendoci dimensioni di complessità prima sconosciute. Chiamare tutto questo Globalizzazione non basta, poiché il termine non contiene altro che un mantra che offusca e non apre il nostro futuro.

Ecco dunque che questo nuovo incontro all'Aquila diviene occasione per lanciare un messaggio di rinnovato impegno ad esserci, non per contare ma per dare la nostra mano al sentimento delle comunità nelle quali si esprime ogni giorno la nostra competenza. In gergo noi chiamiamo tutto questo responsabilità sociale, utilizzando un concetto che riguarda i nostri committenti, da declinare tuttavia oggi in prima persona.

Una Comunità nel suo rinascere, e lo abbiamo praticato, ha bisogno di riconnettersi innanzitutto nel suo tessuto interno e contestualmente di relazionare i al suo esterno in funzione dei suo interessi rilevanti e comuni. Da qui una catastrofe può anche essere letta o vissuta come l'opportunità che il cambiamento non cercato ci da e il nostro capitale sociale (citato dalla Hanifan a Putnam) diventa il patrimonio e al contempo un potenziale di facilitazione per gli individui e la comunità nel suo complesso.

Relazioni dunque, nuove relazioni pubbliche, che aprono o chiudono ponti a seconda del l'approccio alla comunicazione sociale o anche in funzione del geniusloci dominante, ma certamente intrise di valori antichi, giacimenti culturali, patrimoni invisibili da riscoprire e valorizzare.

Sono tanti, troppi, i Migranti cui la storia, il clima, l'economia stanno facendo perdere la via di casa.

Essi sono in cammino in strade lunghe, dure, piene di sofferenza. A loro innanzitutto va data la speranza di un cammino verso casa, e con loro impariamo a ricostruire il nostro futuro e delle generazioni che verranno. Il tempo dell'impegno ha già bussato alla porta e questa sfida potrebbe essere la nostra casa del futuro.
 

Giulia Pigliucci

 

La questione delle migrazioni va, per prima cosa, analizzata partendo da come gli italiani vivano e percepiscano il fenomeno delle migrazioni, senza perdere di vista la drammatizzazione del fenomeno da parte dei media e della politica. Sono questi che, spesso, utilizzano i migranti come capri espiatori, facendo proprio da una parte il bisogno di alcuni strati sociali di rivalersi sui più vulnerabili delle proprie condizioni, causate da una crisi economica-sociale pesante e fin troppo lunga, e, dall'altra partendo dall'esigenza di intercettare il consenso dei potenziali elettori, parlando alla loro pancia.

È, quindi, fondamentale di far emergere la realtà sulla loro effettiva presenza in Italia, anche con il dare visibilità a quanto tante città e cittadine italiane siano impegnate a  favore dei migranti, rifugiati e transitanti: è in crescita la solidarietà anche spontanea e non strutturata in associazioni. L'accoglienza,  come ha più volte sottolineato la Comunità di Sant'Egidio, è molto più larga della protesta anche se fa meno rumore.

Dall'analisi dei dati sugli arrivi  - i 77.229 migranti arrivati tra gennaio e giugno 2016 e gli 83.731 arrivi nel medesimo periodo dell'anno in corso - si evince che vi è uno scollamento tra ciò che pensa l'opinione pubblica ed i risultati oggettivi, tra interpretazione e paura verso l'altro e situazione reale. La forbice si allarga se si vanno a confrontare i dati effettivi con il pensiero comune vi è “un'invasione” o “è emergenza migranti” oppure con gli stereotipi più comuni: vengono tutti in Italia, ci rubano il lavoro, li manteniamo con i nostri soldi.

Bisogna rimettere al centro le persone come umanità, è necessario riportare l'Europa ad essere interlocutore primario sui tavoli delle scelte di geopolitica, ma soprattutto si deve comprendere che la costruzione di false emergenze porta a subordinare il dibattito politico ai fatti di cronaca e che la loro costruzione è solo mera conquista del consenso popolare.

 

Giangi Milesi

 

Lezione appresa.

Il professor Rampello mi ha illuminato parlando del patrimonio di saperi che è la memoria. Memoria che si crea reinterpretando il passato. Ha detto proprio “reinterpretando”, non tenendo vivo il ricordo o qualcosa del genere. Non è proprio ciò che facciamo noi relatori pubblici con lo storytelling? Quello che faccio io per il Cesvi? Anche Steve Jobs spiegava: “potete unire i puntini per formare un disegno unitario solo guardando in retrospettiva”.

L’ascolto

Il nostro incontro si è concluso con una raccomandazione del nostro maestro Toni: l’ascolto.

L’ascolto è il presupposto dei processi partecipativi sui quali si basa il successo di due progetti della mia organizzazione in aree diverse del mondo che ho sommariamente raccontato; entrambi di sviluppo agricolo, entrambi finalizzati a costruire la “resilienza” delle comunità locali ai cambiamenti climatici.

Il progetto “arance” in Zimbabwe offre alle comunità povere nelle arre di confine un’alternativa all’emigrazione in Sudafrica e Botswana. Potremmo classificarlo con lo slogan “aiutiamoli a casa loro”. Ma è solo la forte partecipazione dei destinatari alle scelte compiute a raggiungere gli obiettivi di un progetto così lungo e complesso. Nel nostro sistema multistakeholder, l’accountability con i beneficiari viene prima di quella nei confronti dei donatori! Anche la misurazione dell’impatto non deve produrre una classifica ad uso e consumo dei donatori, ma considerare in primo luogo il cambiamento di mentalità e dei comportamenti anche a costo di cambiare gli obiettivi prefissati. Esattamente come ci ha insegnato un altro maestro: il compianto Ettore Tibaldi nel lontano 1996:

Per lo sviluppo agricolo del Myanmar abbiamo ideato e proposto - e concordato con le autorità del regime e con i donatori internazionali che finanziano lo sviluppo economico e democratico del Paese - un modello che valorizza i processi partecipativi: DECIDE - Decision Mechanisms to Empower Communities and Integrate Development Elements. Uno dei risultati (rivoluzionari per il Myanmar) è stata l’elezione a partire dal 2011 dei Comitati di villaggio per la gestione e l’autovalutazione del progetto (quindi ben prima delle votazioni democratiche del 2015).

In questo modo siamo diventati promotori dei Diritti Universali dell’Uomo (basati sui valori dell’illuminismo europeo: LibertéÉgalitéFraternité).Non con le cosiddette disastrose “guerre umanitarie”, ma attraverso la cooperazione (paritaria). Nella nostra etica la cooperazione è contaminazione e presuppone un atteggiamento di ascolto e di scambio di ruoli fra insegnate e discepolo. Con buon pace del motto: “all’affamato, insegnali a pescare”.

 

Letizia Di Tommaso

 

Comunicare umanità in un momento storico in cui si è perso il senso comune della misericordia è forse fra le professioni più complesse da gestire. In questi giorni di caos in cui prevale la notizia, la tragedia rispetto alla storia che racconta di persone che provano a scappare da una vita impossibile, l’impegno è ancor più profondo. Le migrazioni influenzano l’agenda setting dei media e dei governi, ma al tempo stesso necessitano di essere raccontate partendo dall’umanità e non dalla presunta invasione, pena influenzare negativamente i cittadini spaventati da un costante alzarsi dei toni che tende a corrispondere ad una emergenza senza risposte.

Al largo del Mar Mediterraneo i team sanitari del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta assistono i migranti e raccontare la storia dei migranti attraverso l’esperienza del Corpo si è dimostrato non semplice ma possibile e anche efficace. Ridare dignità a persone che non sarebbero considerate neanche numeri nel proprio continente, questo è sempre il primo pensiero soprattutto quando quel mare spesso non restituisce neanche i corpi, mentre nell’emergenza i media approfondiscono le notizie attraverso testimonianze dirette di chi li soccorre.

L’essere umano al primo posto sempre, questo crea una relazione solida e duratura così si costruiscono ponti anche con i media, lavorando lungamente anche fuori dalle emergenze in modo da trasmettere una vis comunicativa costante, per raccontare quotidianamente quel capitale sociale formato dai volontari che in Italia rappresentano una buona fetta di persone impegnate nel sociale convinte, a ragione, che aiutare il prossimo equivalga a creare un Paese migliore.

 

Toni Muzi Falconi


All’Aquila ho imparato alcune cose.

Forse la più importante è che lo Stato non ha colpe in quanto tale, i Cittadini invece sì e tante.

I cittadini attivi, se vogliono, possono cambiare le cose... sia nel bene che nel male.

Questa è forse la sola variabile politica non sepolta dalla m... da in cui siamo sommersi (vedi Francesco... in coda).

La seconda è che la distinzione fra bene e male è -per dirla alla Kelly Anne- una ‘alternative fact’.

Per quanto sia ‘politically incorrect’ prendersela con il ‘politically correct’, ogni convincimento -soprattutto quando è forte- va sottoposto ad attenta analisi auto-critica per arrivare all’incontro (..per riconoscere) e al dialogo con chi la pensa diversamente.

E questo, soprattutto rispetto ai due grandi temi discussi: la ricostruzione e l’immigrazione, sempre più strettamente e culturalmente intrecciati.

Mi sono anche convinto che ogni territorio ha sue peculiari caratteristiche culturali specifiche da affrontare dal punto di vista relazionale secondo la teoria dei generic principles & specific applications.

Qualsiasi tentativo di costruire sistemi di relazione con e fra comunità  su un territorio per creare e incrementarne il capitale relazionale deve tenerne conto del bridging di Putnam, applicando intensamente una politica dell’ascolto.

Nonostante tutto ciò, Francesco direbbe che il ‘clima spuzza’ lo stesso.

 

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