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Banche e reputazione: cosa è cambiato?

17/03/2016

Roberto Adriani

Un tema quanto mai caldo dopo l’entrata in vigore della direttiva sul Bail-in. Roberto Adriani, professionista della comunicazione e senior partner di Heritage House Reputation Architects ne ha parlato Stefano Righi, giornalista del Corriere della Sera e autore del libro “Il grande imbroglio. Come le banche si prendono i nostri risparmi” in una conversazione a due voci sull’argomento.

 

Stefano Righi è giornalista del Corriere della Sera e autore del libro Il grande imbroglio. Come le banche si prendono i nostri risparmi; Roberto Adriani, professionista della comunicazione, è senior partner di Heritage House Reputation Architects e socio Ferpi.

 

RA: Nel tuo libro Il grande imbroglio. Come le banche si prendono i nostri risparmi, racconti di un fenomeno quasi inedito in Italia: banche che falliscono e lasciano sul lastrico migliaia di piccoli risparmiatori. Cosa è cambiato nel rapporto tra banche e clienti, soprattutto piccoli risparmiatori?
SR: Sono cambiate le regole. Dal 1° gennaio 2016 è entrato in vigore il cosiddetto Bail-in, ovvero il meccanismo che prevede la risoluzione delle crisi bancarie internamente alla stessa banca. Un meccanismo che da un lato tutela i contribuenti – perché le tasse che noi paghiamo non saranno utilizzate per pagare gli errori altrui – ma dall’altro fa carico di una maggior responsabilità il risparmiatore che deve fare suo un principio fondamentale: le banche non sono tutte uguali. Non lo sono come offerta di servizi, non lo sono come solidità. Quindi serve una maggiore attenzione, un atteggiamento attivo da parte del risparmiatore, che deve sapere a chi sta dando fiducia, in quali mani sta mettendo il proprio denaro”.

SR: Dal punto di vista della comunicazione invece cosa è cambiato secondo te?
RA: Anche qui è in corso un’evoluzione epocale. Fino ad oggi le banche hanno cercato di comunicare la propria solidità e quindi affidabilità. Basta guardare le loro sedi centrali, sono sempre collocate in edifici di prestigio, con l’obiettivo di mandare un messaggio di rassicurante solidità. Spesso anche le semplici filiali sono collocate in palazzi massicci. Il problema è: oggi chi crede più a questi meta-messaggi? Le banche devono trovare altri messaggi e altri modi per riguadagnare reputazione e credibilità.

RA: Giuliano Amato alla fine degli anni Ottanta definì il sistema bancario italiano una foresta pietrificata. Oggi è diventata una palude infestata dagli alligatori?
SR: Gli alligatori ci sono sempre stati. Solo che il risparmiatore italiano ha la memoria corta. Senza andare troppo in là nel tempo, ricordo alcuni episodi: le obbligazioni Parmalat e quelle della Repubblica Argentina, il crac del Monte dei Paschi di Siena e le vicende passate della Banca Popolare di Milano (l’allora presidente si trova ancora ai domiciliari) e di Banca Carige, il cui presidente è in attesa di giudizio. Alla Popolare di Milano il presidente Massimo Ponzellini è stato rinviato a giudizio con l’accusa di aver creato “una struttura parallela e deviata” all’interno dell’istituto. Un’idea che sembra essere stata messa in pratica anche alla Popolare di Vicenza sotto la gestione di Gianni Zonin. E poi c’è la distruzione di valore in Veneto Banca, oltreché a Vicenza, oltre 10 miliardi di euro a cui si aggiungono i fatti assai noti delle quattro banche salvate dal governo italiano nel novembre 2014. E per fortuna che quelle quattro banche (Etruria, Marche, Carife e CariChieti) sommavano poco più dell’1 per cento degli attivi delle banche italiane.

Ciò non toglie che ci siano stati dei casi di vera delinquenza.

SR: E quali sono gli alligatori più pericolosi secondo te per un comunicatore che lavora nel settore bancario?
RA: Ce ne sono diversi e di vario tipo. Sicuramente regole e controlli internazionali, si pensi solo all’ormai nota direttiva sul Bail-in o agli stress test, impongono di rassicurare costantemente mercati e watchdogs. Rassicurazioni che se non date nei tempi e nei modi giusti rischiano di generare panico e corsa agli sportelli. Cosa della quale si è lamentato anche Padoan verso la BCE sulla vicenda MPS.

Un altro pericolo è la poca conoscenza della finanza da parte dei risparmiatori italiani che anche tu spieghi bene nel libro. Le banche dovrebbero fare uno sforzo non solo per educare i risparmiatori ma a farlo anche con linguaggi comprensibili e non da iniziati. La prima regola della comunicazione del resto ci dice che se vogliamo entrare in relazione con un altro soggetto dobbiamo trovare un linguaggio comune altrimenti è solo un monologo.

RA: A proposito di linguaggio secondo te, al di là degli inevitabili tecnicismi, le banche si sono comportate con il risparmiatore come il Don Abbondio che parla in latino a Renzo?
SR: Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno tradito la fiducia dei loro soci-azionisti, sostenendo la tesi di un valore delle azioni autodeterminato, senza alcun riscontro con il mercato ed entrando in polemica con i giornali che osavano evidenziare l’incongruenza. È uno dei grandi imbrogli raccontati nel libro: un mondo autoreferenziale, chiuso, che se funziona a livello atomistico, non è più in grado di funzionare quando si raggiungono decine di migliaia di soci e si opera in tutta Italia. E poi c’è l’altro grande imbroglio, quello di tutti coloro che hanno venduto obbligazioni subordinate ai piccoli risparmiatori senza spiegare loro che quella parola, “subordinate”, rendeva le obbligazioni simili alle azioni nel momento del Bail-in, della difficoltà strutturale della banca. Sì, il richiamo di Don Abbondio mi pare pertinente, anche perché come Don Abbondio in molti poi si sono girati dall’altra parte.


SR: Ma cosa potrebbero fare di più i comunicatori per evitare di parlare più chiaro al piccolo risparmiatore?
RA: Forse manca una scuola in questo senso, intendo una disciplina, un insieme di best practices.

Esiste sì la comunicazione finanziaria, ma spesso è pensata per soddisfare i bisogni informativi di investitori istituzionali, analisti e agenzie di rating più che del risparmiatore.

RA: Un’ultima domanda a proposito di banche e politica. Spesso le decisioni prese a Bruxelles su questo tema vengono contestate un po’ da tutti i partiti. Però perché questo accade solo a cose fatte? Perché ad esempio si è scatenata la polemica politica sul Bail-in solo dopo che era stata approvato ed entrato in vigore? Una sana e trasparente discussione prima – e non polemica dopo – si avrà mai su questi temi?
SR: Lascio a ognuno di voi la valutazione sulla politica italiana. Di certo nessuno crede all’Europa, c’è un diffuso senso di scollatura, di distanza e di malcontento. Eppure stiamo toccando con mano il fatto che alcune competenze sono passate da Roma ad altri luoghi, siano Bruxelles o Francoforte poco importa. I politici e i delegati italiani hanno contribuito a scrivere quelle regole che poi si contestano, le hanno votate, approvate. Nel frattempo, in Italia, si pensava ad altro. Quando si è pensato e discussa l’istituzione dell’Unione bancaria europea, l’argomento principale della pubblica discussione in Italia erano le Olgettine: più carina la bionda o la mora? Siamo convinti – e per anni è stato così – che poi si risolve tutto, che lo Stellone alla fine ci salverà… Invece stavolta, sembra proprio stia andando diversamente.

 

[caption id="attachment_25706" align="alignnone" width="181"]Il Grande imbroglio - Copertina Il Grande imbroglio - Copertina[/caption]

 
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