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Come cambiare la narrazione sul tema dei migranti

07/02/2023

Alex Moscetta (*)

In un momento in cui la dialettica sull’immigrazione e dei fenomeni migratori è sempre più centrale nelle nostre società, relatori pubblici e comunicatori sono chiamati a farsi carico di una responsabilità nuova.

La dialettica sull’immigrazione e dei fenomeni migratori è sempre più centrale nelle nostre società. Ad alimentare sempre il confronto, sia politico sia sociale, contribuisce sicuramente la comunicazione che semplifica le posizioni e le problematiche ma amplifica le contrapposizioni.

Dopo anni di dibattiti e racconti che non hanno risolto il problema, nasce un interrogativo essenziale: come può cambiare oggi la narrazione, e quindi la comunicazione, sul tema dei migranti e rifugiati? Come possono le relazioni fornire forse una prospettiva meno “politica” ma più “umana e vantaggiosa?

Una prima risposta è nel fatto che la comunicazione deve farsi carico di una responsabilità nuova nel trattare questi temi. Una capacità di saper narrare e raccontare partendo da tre principi.

Al centro ci sono sempre delle storie di vita. Storie di persone, di paesi fortemente colpiti da guerra e povertà. Storie di grave disagio che portano al muoversi, al migrare per seguire un futuro incerto ma sicuramente alternativo al presente. E allora prima di narrare, queste storie vanno incontrate in tutti i contesti: nei luoghi di partenza e nei luoghi di arrivo. Chi si trova a comunicare deve prima relazionarsi con chi è rifugiato, profugo, richiedente asilo. Guardare negli occhi e ascoltare con il cuore. In questo modo si percepisce la realtà dei fatti e così si può comunicare la verità sul fenomeno migratorio.

Il linguaggio fa la differenza. L’Europa e il nostro Paese necessitano urgentemente di sistemare il modello narrativo perché è finita la fase di vedere in maniera distante chi è straniero. Esistono “nuovi italiani” e “nuovi europei” che sono parte ed esempio della forza positiva dell’integrazione: le badanti dei nostri anziani; le tate o baby-sitter dei nostri figli e nipoti; gli aiuti cuoco di tanti ristoranti – anche stellati -; calciatori, cantanti, personaggi di reality show.

L’integrazione crea vantaggi per l’Italia. C’è una prospettiva da percorrere molto concreta: capovolgere la realtà sui migranti. C’è un’apparenza fatta soprattutto di comunicazione sensazionale che mette in luce solo i problemi causati dall’arrivo degli stranieri. Ma esiste poi un racconto diverso che è quello dei dati che ogni anno confermano che i migranti contribuiscono in tasse più di quanto ricevono in prestazioni assistenziali, salute e istruzione (rapporto OCSE 2021). C’è da sfatare il luogo comune secondo cui la presenza immigrata in Italia sia principalmente un costo per lo stato. Nel rapporto con tutti i soggetti interessati nell’accoglienza/integrazione (dalle forze dell’ordine alle ong, dal sistema socio-sanitario a quello previdenziale) e con aziende, professionisti e cittadini va portato in risalto il ruolo determinante per il nostro paese di chi arriva in Italia. Se messi in grado di aiutare la ricostruzione di una nuova Italia e una nuova Europa si ribalta la percezione e si può comprendere il beneficio che ne può derivare. Solo un dato: i migranti e stranieri regolarmente assunti contribuiscono oltre il 9% del PIL italiano.

Come diceva il sociologo Zygmunt Bauman: “Siamo chiamati ad unire e non dividere”. Per farlo i professionisti delle comunicazioni e delle relazioni possono fare tanto. Demolire le paure, mostrare pragmaticamente le opportunità generate da un cambio di prospettiva sul tema dei migranti dal punto di vista sociale ed economico e non politico. Anche perché esiste già un’Italia che non cede alla paura, che non dà spazio alla diffidenza e al pregiudizio, che crede nelle ragioni di un umanesimo profondo. E’ l’esperienza dei corridoi umanitari, dove viene sperimentato un tipo di ospitalità estesa che funziona, non richiede finanziamenti pubblici e che, mentre offre una nuova vita ai profughi, fa rinascere anche le comunità locali intorno a un progetto comune: quello di chi è riuscito a costruire percorsi di integrazione vincendo diffidenza e paura verso chi è in fuga da guerre, persecuzioni, violenze.

Questa è sfida del presente e del futuro che non riguarda solo i temi qui trattati. Scegliere di costruire una comunicazione diversa: che sappia costruire e non distruggere; che abbia la capacità di ascoltare e osservare per poi elaborare.

Facciamo nostro l’interrogativo di Bauman: “L’umanesimo ha un futuro? O ancor meglio: il futuro ha un umanesimo?”. Il mondo delle relazioni e della comunicazione devono oggi affrontare questa domanda per disegnare il percorso dei prossimi anni. Anche perché il mondo chiede sempre più attenzione ai temi umani e sociali.




(*) Alex Moscetta si occupa di relazioni esterne e comunicazione e organizzazione per la Comunità di Sant’Egidio. Coordina diverse attività solidali e gruppi di volontari. Esperto di sostenibilità, povertà, pace.

Foto: Courtesy of Fausto Biloslavo, Drammatica evacuazione dall'aeroporto di Kabul, agosto 2021

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