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Le PMI scontano un gap culturale

21/01/2011

Piccole e medie imprese ed Rp sono due mondi che stentano a entrare in contatto. Perché i piccoli imprenditori sono diffidenti verso il mondo della comunicazione? Ne abbiamo parlato con _Daniele Garavaglia,_ responsabile Comunicazione e Ufficio Studi di Confapi Milano, l’associazione delle piccole e medie imprese industriali.

a cura di Elena Salem
Sono 4,2 milioni le PMI che rappresentano il 99,8% del totale delle imprese italiane e costituiscono la trama fondamentale del nostro sistema economico, assorbendo l’81,7% del totale degli addetti e generano il 58,5% del valore delle esportazioni. Complessivamente realizzano il 70,8% del PIL. Eppure le piccole medie imprese e le relazioni pubbliche sono due mondi che stentano a entrare in contatto. Perché le PMI, pur relazionandosi quotidianamente con il loro contesto, soltanto raramente si rivolgono a professionisti per migliorare i rapporti con il mondo esterno? Ne parliamo con Daniele Garavaglia, responsabile della Comunicazione e Ufficio Studi di Confapi Milano, l’associazione delle piccole e medie imprese industriali.
Nel magazine da lei diretto, Gianluca Comin ha dichiarato che i professionisti delle RP non sanno dialogare in modo adeguato con i piccoli imprenditori: “Si rivolgono con progetti e metodologie più da grande impresa strutturata che da piccola impresa padronale, o artigianale evoluta”. Cosa ne pensa?
«Credo che alla base di questa difficoltà relazionale ci sia soprattutto un gap culturale. Nonostante se ne parli dovunque, di questi piccoli e medi imprenditori che costituiscono l’ossatura del sistema produttivo italiano non se ne sa molto. Del fatto che da trent’anni a questa parte abbiano garantito all’Italia ricchezza, occupazione e una stabile collocazione tra i Paesi più industrializzati del mondo, se ne sa ancora meno. D’altro canto, come evidenzia un’indagine Ipsos, la maggioranza dei giovani non sa che l’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa. E temo che tale consapevolezza non sia così diffusa neppure tra gli addetti ai lavori e gli specialisti della comunicazione».
C’è quindi una difficoltà di comprensione tra i due mondi?
«Le faccio un paio di esempi per renderle l’idea, uno andato a buon fine e l’altro che non ha avuto un esito positivo. Nel primo caso ho assistito all’incontro tra la titolare di una piccola impresa di macchine industriali, una decina di dipendenti e fatturato in costante crescita, che aveva necessità di un ufficio stampa, e la titolare di un’agenzia di comunicazione, piccola ma dinamica. Sembrava si conoscessero da sempre, perché a dialogare erano due persone assimilabili per profilo professionale. Ma, soprattutto, l’imprenditrice era certa che la comunicatrice potesse condividere le sue stesse attese e preoccupazioni che caratterizzano la quotidianità di qualunque PMI: far quadrare i conti, garantire flessibilità, progettare soluzioni su misura, generare innovazione, ma anche difendersi dal fisco, banche poco amichevoli, burocrazia lenta ecc.».
Nel secondo caso?
«Il manager di una multinazionale della comunicazione ha incontrato una piccola azienda, produttrice di supporti tecnici che, in controtendenza con la crisi, stava andando molto bene. Ma stiamo parlando comunque di un’impresa di 20 dipendenti. Obiettivo dell’incontro: allestire uno stand per una fiera internazionale. Era la loro prima occasione di presentarsi all’estero. Il manager ha cominciato a fare un discorso di strategie, usando termini mutuati dal linguaggio anglosassone, mettendo in seria difficoltà i suoi interlocutori che non capivano il significato delle sue parole e che, almeno per il momento, avevano soltanto una singola specifica esigenza da soddisfare. Sa come sono i piccoli: talvolta i loro modi sono spicci, dovendo fare tutto loro, hanno poco tempo da perdere. Dopo un’ora di convenevoli, il titolare dell’azienda si è alzato e, seppur con molta cordialità, ha accompagnato il manager della società alla porta».
Quali sono i nodi da sciogliere
«Cominciamo dall’approccio. “Ascoltare prima di proporre”, questo è tanto più vero per un piccolo imprenditore che spesso si ritiene – e a ragione – il migliore nel suo campo e deve poter percepire nell’interlocutore il rispetto e la stima per quello che ha saputo creare dal nulla. Bisogna acquisire la fiducia di un uomo che nella sua realtà ha messo non solo capitali e talento, ma anche i suoi valori e la stessa esistenza della sua famiglia. Non dimentichiamoci che il 90% delle PMI sono imprese familiari».
Per dialogare bisogna capirsi, quindi usare lo stesso linguaggio.
«Può capitare che un piccolo imprenditore, davanti allo sciorinamento ossessivo di termini inglesi e accezioni da “iniziati”, ritenga di avere a che fare con un venditore di fumo. Mi ricordo un aneddoto sportivo: un tennista americano famoso negli anni Settanta, Arthur Ashe, molto tecnico ma “leggero”, spiegò il segreto della sua vittoria a Wimbledon contro Jimmy Connors, altro grande campione noto per la solidità e l’irruenza del suo gioco. Disse che gli fu sufficiente “appoggiarsi” ai colpi dell’avversario, sfruttandone la potenza. Diamo spazio ai “colpi” geniali del nostro capitano d’impresa, lasciamo che i contenuti della nostra proposta siano come una racchetta che debba semplicemente lanciare sul mercato una pallina già carica di potenza, ingegno, inventiva, genialità espressiva».
Ciò significa non pensare a grandi strategie, ma dosare gli interventi con un sano ed empirico pragmatismo?
«La strategia deve essere tracciata, anche per traiettorie a medio e lungo termine, ma dopo aver acquisito la fiducia dell’imprenditore su azioni concrete. Bisogna calarsi nella realtà locale e settoriale dell’impresa, in una parola “sporcarsi le mani” anche con attività molto semplici. Dalla produzione di un catalogo per le fiere, all’organizzazione di una missione all’estero, dalla rivisitazione del sito all’attività di ufficio stampa per l’editoria tecnica, sono molteplici i modi con cui ci si può avvicinare a una PMI, contribuendo a migliorarne l’immagine, la crescita e lo sviluppo».
Una questione di non poco conto è quella economica.
«E’ evidente che, proprio in ragione delle ridotte dimensioni dell’impresa, il budget che l’imprenditore può mettere a disposizione per attività di RP non è elevato. Ma è proprio qui che si misura la qualità e l’incisività del lavoro di un professionista, con la redazione di piani di comunicazione mirati e anche sfruttando le tecniche informatiche, a cominciare dal web».
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