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Open to Meraviglia: comunicare non è un mestiere per arroganti

16/05/2023

Daniele Chieffi

Nella recente, discussa campagna del Ministero del Turismo è mancata la cultura della comunicazione. Comunicare non è un mestiere per arroganti. Comunicare vuol dire costruire relazioni, creare valore, rispettare gli interlocutori e i loro valori ma difendere la propria reputazione. L'opinione di Daniele Chieffi.

Un’agenzia di comunicazione deve comunicare? Un Ministero deve comunicare? Le due risposte affermative sembrano scontate ma non lo sono affatto. Perché se s’intende il “comunicare” solo come il rendere noto a più persone possibili le proprie azioni o il proprio pensiero siamo perfettamente allineati alla definizione del vocabolario Treccani, ma siamo ben lontani da quel che significa realmente comunicare ovvero costruire relazione e valore per le proprie audience, costruire, valorizzare e difendere la reputazione, gestire la complessità. La campagna “Open to Meraviglia” lo dimostra in maniera plastica.

Ogni scelta creativa provoca polarizzazione ossia trova sostenitori e denigratori. È umano, è scontato, col digitale, poi, fa tanto rumore, pubblico e anche mediatico. Se poi la scelta creativa vuole interpretare l’identità di un popolo, utilizzando gli elementi simbolici che ne definiscono il tessuto culturale, storico e identitario, per poterli raccontare all’estero, la polarizzazione non solo sarà inevitabile ma sarà anche molto netta e conflittuale. Se a questo aggiungiamo che la gara che ti sei aggiudicato è stata particolarmente combattuta, con perdenti che hanno fatto ricorso, in un fiorire di sospetti e critiche incrociate e che si tratta di gara pubblica, non potrà essere una sorpresa che qualcuno abbia tutto l’interesse a criticare il tuo lavoro e magari soffiare sul fuoco. Appare evidente che non si tratti di una previsione da Sibilla cumana. Cosa fare per gestirlo? “Misurare” il gradimento della creatività, cercando di renderla la più vicina possibile al “sentire” identitario del Paese che vuoi rappresentare, ad esempio, evitando l’utilizzo di simbologie stereotipiche. Ma il target sono gli stranieri si dirà. Vero ma i tuoi “clienti” sono gli italiani. Unire le due esigenze: la sensibilità del cliente, i linguaggi del target è possibile, lo ha appena fatto Barilla.  Farsi queste domande significa fare comunicazione.

L’effetto annuncio, il proclama, la spunta della promessa elettorale non è comunicazione, è propaganda. Il ragionamento precedente vale anche per il Ministero, certo ma a questo si aggiunge che è un’Istituzione, come tale realmente a servizio dei cittadini. Tradurre malamente il nome di città italiane, permettere l’utilizzo di immagini di stock di luoghi non italiani, affrettarsi a presentare una campagna senza registrare i domini e gli handle. Poi, dopo che i cittadini ti criticano aspramente, utilizzare in maniera distorta numeri di monitoraggio web (265.000.000 di contatti, senza specificare il sentiment) per dimostrare di aver ragione. Lasciare che battaglioni di account falsi di matrice vietnamita commentino in un linguaggio imbarazzante sotto il post ufficiale (non entro nella polemica se si tratti di trolling contro la Ministra o di scelta deliberata) è grave. Tutto questo non è comunicazione.

In tutta la questione di Open to Meraviglia è profondamente mancata la cultura della comunicazione, unita, come dice Luca Poma, a una profonda sciatteria. Sciatteria che si lega proprio a questa assenza della comunicazione. Comunicare non è un mestiere per arroganti.

Comunicare vuol dire costruire relazioni, creare valore, rispettare gli interlocutori e i loro valori ma anche gestire la polarizzazione, il dissenso, difendere la propria reputazione. Per far questo gli strumenti ci sono, le tecniche anche. Basterebbe considerare la comunicazione per quel che è: una tecnica ad alto contenuto di professionalità, in cui non ci si improvvisa, in cui ci si pone domande, si affrontano problemi e si cercano le soluzioni più adatte, con fatica e con, ribadisco, professionalità.

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