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Riflessioni del giorno dopo

27/04/2015

Toni Muzi Falconi

I commenti a caldo di Toni Muzi Falconi e di Simonetta Blasiall’evento, organizzato da Ferpi, lo scorso 23 aprile a Roma, che ha portato Roland Schatz in Italia per parlare di agenda setting.








A giudicare dalla valanga di tweet e retweet circolati nella digisfera pre e durante l’evento parrebbe che la bella e comoda sede Edison sia stata sopraffatta dalla folla.

Cosa che (basta vedere le foto) non è stata.

E questa annotazione consente di lamentare (al solito direte voi…) che in ben due ore e mezza fitte di parole e immagini, il ruolo del digitale nel processo di agenda setting (se non in un primo intervento introduttivo della Pattuglia in chiave di curiosità) non è stato evocato, quasi che 20 e più anni fossero passati invano.

Viene da chiedere se il ‘gonfiamento’ dell’evento indotto dai tweet altro non fosse che una testimonianza di un fenomeno largamente sopravvalutato.

Una sorta di ‘vendetta del selfie’. Da meditare anche perché gli ‘spacciatori’ saremmo noi.

Oltre alle considerazioni di Schatz, che più o meno si trovano nelle didascalie delle sue slide e che nella sostanza gli hanno consentito di affermare che l’Italia non esiste in agenda non perché non ci sarebbero cose da dire ma perché non c’è azione consapevole e neppure programmata per incidervi.

Diverso invece il suo discorso su Francesco quando ha espresso il dubbio se la grande e improvvisamente positiva esposizione globale – in assenza di veloci e concreti cambiamenti di governance e comportamenti in Vaticano – possa eventualmente tramutarsi in una boomerang (qualche segnale…consentiti gli schiaffi ai bambini e… aggiungo io… la provocazione armena a sangue freddo della scorsa settimana… Andrea Riccardi ci ha provato in due occasioni a interpretare questa mossa sul Corsera… ma io ancora non ci capisco nulla e temo motivazioni non propriamente (per restare in tema…) confessabili; nonché la sua conferma di giovedì dell’ostracismo al diplomatico francese perché gay (ne ha pieno diritto ovviamente, ma ne subisce anche le implicazioni).

Dunque stiamo a vedere, mentre Carlo Marroni ci ha raccontato con sagacia come si vive oggi nella sala stampa di Francesco rispetto al suo predecessore.

Su Renzi invece pochissimo da dire. Non c’è, non esiste e non morde. Se invece di insistere su cose che non funzionano pensasse invece ad arricchire quelle che funzionano i risultati sarebbero diversi. Schatz ha usato la (orrenda, peraltro, ma sicuramente efficace) analogia del pescatore e del suo verme. Il verme non deve piacere a lui, ma al pesce. Un po’ cinico, certo, ma parlando di Renzi è consentito.

Nessuno che sia intervenuto per parlare di agenda setting (come processo di management) oltre al sistema dei media (e come già segnalato, quello tradizionale). E agenda setting verso i fornitori, gli azionisti, i dipendenti, le comunità locali? Che fine hanno fatto gli stakeholder?

Il solo che lo ha fatto (a proposito ho potuto leggere le note di appunti che aveva preparato la Rutigliano e le consiglierei di renderle pubbliche…) è stato la piacevole sorpresa del padrone di casa Marco Margheri quando, affrontando le problematiche del discorso pubblico intorno alle infrastrutture ha intelligentemente affermato che la parte più dura è rappresentata dal soft e non dal hard.




Setting the Agenda or Acting the Agenda?di Simonetta Blasi

L’incontro con Schatz, a mio avviso, ha sollevato un paio di questioni interessanti nate all’interno del dibattito con gli altri partecipanti al meeting organizzato da Ferpi a Roma. In particolare, si è colto quanto rilevante fosse il contributo di Giuseppe Onufrio (direttore di Greenpeace Italia) sulle ‘pratiche’ adottate dai “Guerrieri dell’Arcobaleno” per incidere sull’agenda di politica e informazione e che sono state poi più volte richiamate in causa dallo stesso Schatz (The Greenpeace guys). Quasi a dire che, di fronte all’assenza di una pianificazione e gestione dei contenuti e delle relazioni rispetto ai diversi stakeholder (giornalisti in primis, questo il dato rilevato dal nostro ospite tedesco), forse bisogna puntare altrove e cominciare a scriverla direttamente l’agenda o, ancor meglio, ad agirla. E’ un esercizio che ben si presta a chi, come Greenpeace, vanta un posizionamento fortemente dinamico e ‘in azione’ per la tutela costante di un bene comune come il pianeta Terra, senza temere di chiamare per nome il nemico di volta in volta identificato. Più difficile per tutti gli altri comparti ove il politically correct regna sovrano con il risultato che, spesso, gli storytelling o i digitelling d’impresa finiscono con l’assomigliarsi un po’ tutti un po’ tanto. Di nuovo la riflessione strategica (che può partire solo da approfondite analisi e pratiche di ascolto attivo), perché poi ognuno ha le sue corde e, come diceva Leo Burnett quando parlava di Unique Emotional Plus: “ogni prodotto (dunque ogni marca e ogni impresa ndr) ha un suo ‘drama’ (inteso in senso teatrale, una storia), compito del pubblicitario è scoprirla e saperla raccontare (e poi diffonderla con opportune declinazioni sui diversi media ndr).” Probabile deformazione professionale la mia (oltre 25 anni di advertising e comunicazione integrata in gran parte praticata alla scuola ‘direct’ di Lester Wunderman), dal momento che osservo questi mondi e mi sovviene costantemente il fatto che un buon concept creativo (che diventa una buona storia da spendere sui media come anche tra gli stakeholder con i dovuti mezzi e linguaggi) incarna un’essenza che è tanto più efficace quanto più è sostenibile perché è vera, è agita da chi la diffonde. Siamo sul territorio della testimonianza autentica che ben si sposa con la logica della trasparenza e delle relazioni tra pari che devono poter valere anche per l’impresa. E ricordiamoci sempre che di relazioni possiamo parlare solo se siamo in grado di alimentarle con energia, interesse, costanza, senza dimenticare che funzionano meglio se si condividono contesti, significati e codici. E’ un work in progress di fini tessiture che rimandano ad un mandala in costante evoluzione (ma non per questo privo di meraviglia), si può fare solo in partnership con qualcuno che sa fare da specchio con le dovute attenzioni, altrimenti sappiamo bene che fine ha fatto Narciso.

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