Ferpi > News > Le Rp, una “bussola” per le aziende

Le Rp, una “bussola” per le aziende

12/12/2012

“Una comunicazione continua ed accessibile rappresenta una leva strategica per innalzare il livello di engagement di un’organizzazione”: a sostenerlo _Dario Francolino,_ Western Europe Regional Liaison Communicator e Head of Communications & Public Affairs Roche S.p.A., in un’intervista in esclusiva per Ferpi, in cui parla dello scenario della comunicazione in una multinazionale farmaceutica.

Dal suo punto di vista e in base alla sua esperienza, come sono cambiate le Relazioni Pubbliche e più in generale la comunicazione?
Occorre distinguere i due argomenti:
L’informatizzazione spinta e l’utilizzo delle digital PR hanno senza dubbio il merito o la colpa, di aver accelerato i tempi della comunicazione e industrializzato i meccanismi di produzione della stessa.
Il rischio potrebbe essere quello che la sensazione di semplicità e di estrema accessibilità ai devices e la velocità con la quale le informazioni viaggiano equiparino le relazioni pubbliche in una società liquida e iperconnessa ad una commodity. Ovviamente non è cosi perché, fatta salva l’evoluzione tecnologica e l’elettronica a basso costo, il mestiere non è affatto cambiato quindi occorre impararlo, ci vuole tempo ed esperienza e non si finisce mai. Attenti al brevismo e alla superficialità dei messaggi e dei messaggini: non sono le Relazioni pubbliche… aiutano, supportano, accelerano e contribuiscono alla creazione di consenso e reputazione ma con la stessa rapidità con cui li distruggono. Ergo: maneggiare con cura e avere rispetto dei tempi della mente e dell’analisi.
Com’è cambiata la comunicazione nel settore farmaceutico? Che spazio occupano le digital PR e quanto le aziende ne hanno recepito l’importanza?
La comunicazione è diventata proattiva ed è una leva di supporto al rafforzamento della reputazione e all’engagement. Le digital PR ricoprono un ruolo chiave oggi nelle aziende, in particolare il mondo della salute è sempre più protagonista di una vera e propria rivoluzione digitale, che coinvolge tutti i suoi attori: dai pazienti, ai clinici, alle istituzioni fino all’industria farmaceutica. L’avvento delle nuove tecnologie sta cambiando anche il modo di lavorare, ad esempio, oggi non lavoro più con un solo indirizzo di posta, parlo con i miei stakeholder su tutte le piattaforme, fisso appuntamenti su Facebook e questa notte ho ricevuto una candidatura su Linkedin dai colleghi americani.
La crisi economica che investe globalmente il mondo occidentale pone alcuni spunti di riflessione sulla necessità che le imprese, impegnate nel settore sanitario e farmaceutico, hanno di proporre nuovi modelli di comunicazione in grado di reggere la sfida che il sistema socio-sanitario oggi pone. Consultazione continua, ascolto attivo, dialogo aperto e onesto e messaggi coerenti sono tutti elementi essenziali per identificare soluzioni praticabili, innovative ed efficaci, necessarie in uno scenario sempre più complesso e impegnativo.
All’interno di questo scenario, Roche da tempo sta esplorando nuove vie di interazione con gli stakeholder, per offrire in Rete luoghi di informazione, discussione e confronto sempre più credibili e trasparenti. Il modo di fruire l’informazione e di far notizia è molto cambiato. I giornali web, forum, blog e social network come Facebook, YouTube e Twitter possono rappresentare sia una fonte privilegiata, sia una straordinaria cassa di risonanza della notizia stessa. Per il giornalista ciò che cambia è che se prima mettere la firma in fondo a un pezzo significava mettere un punto alla sua visione della storia che lasciava poco o nessun diritto di replica al pubblico dei lettori, oggi nella logica del web 2.0 questa dinamica viene completamente stravolta. La firma del giornalista dà il via ad un dialogo, anzi ad un insieme di dialoghi e di conversazioni online, potenzialmente senza fine, che trasformano la notizia in un flusso in divenire. Il futuro dei media non poggerà le sue basi sulla loro capacità di veicolare la notizia, ma piuttosto su quella di stimolare e creare il dialogo. Le fonti tradizionali di informazione stanno lasciando il passo ai cinguettii di twitter.
Tuttavia, nel mare sempre più ampio dei contenuti offerti ai giornalisti con il supporto delle nuove tecnologie, ciò che riuscirà ad emergere saranno le fonti di notizie e informazione affidabili, basate esclusivamente sulla qualità e tempestività del servizio. In Roche, ad esempio, abbiamo deciso di rispondere alle esigenze dei giornalisti ideando e sviluppando la Cartella Stampa Digitale per iPad e iPhone e, considerando i risultati dei primi 10 mesi di vita (oltre 800 download), possiamo dire che è stato un prodotto molto apprezzato.


Quali sono le professionalità più richieste e le competenze su cui focalizzarsi per essere competitivi e rispondere alle aspettative dei clienti?
Tre le competenze principali:
• capacità di comprendere il business dell’industry dove si opera, meglio di un marketing manager
• saper creare consenso attraverso le piattaforme digitali interconnesse, con dietro forti elementi valoriali
• ottenere costanti quick win e rivedere costantemente le strategie in atto.
Con l’evolvere delle Rp nelle imprese e con la nascita di nuovi modelli di comunicazione, come Obama ad esempio, è inevitabilmente cambiato il ruolo del professionista della comunicazione e le competenze necessarie per portare valore aggiunto all’organizzazione. Un esempio su tutti: Harper Reed, la mente hi-tech di Obama, in grado di creare software capaci di stanare gli elettori raccogliendo un bacino di informazione indispensabile per la sua vittoria.
Oggi un “buon comunicatore” deve sapersi muovere con agilità e flessibilità all’interno di un panorama molto più complesso, perché cambiano i pubblici di riferimento. Non solo si sono evolute le competenze tecniche, oggi infatti il professionista della comunicazione non può prescindere da un know-how specifico delle nuove tecnologie social, ma più che mai oggi il comunicatore deve essere in grado di sviluppare una visione a 360 gradi, che va oltre le tradizionali relazioni con i media. In tutti gli ambiti, e in particolare nel settore farmaceutico, oggi chi fa comunicazione deve conoscere approfonditamente le tematiche di business, condividerne le strategie e gli obiettivi ed essere un partner che sa interpretare e tradurre i segnali di questo difficile contesto politico-economico nazionale e globale. Emerge quindi con fermezza il valore delle terze parti nel condividere con i pubblici di riferimento una visione che non è solo quella dell’azienda, ma che diventa invece molto più partecipativa.

Secondo lei quale incidenza ha avuto la crisi sul settore?
In questo scenario economico e politico turbolento, come tutti i settori, anche la comunicazione ha risentito della mancanza di grandi investimenti sul campo. Questo però è avvenuto con meno forza rispetto al passato e questo grazie al contributo dei professionisti delle Relazioni pubbliche che, negli anni, sono stati in grado di far comprendere alle organizzazioni, che in alcuni casi diventare un soggetto aperto alla conversazione in tempo reale con i diversi stakeholder può diventare l’unica alternativa per superare la crisi.
Nelle fasi di maggiore difficoltà, come quella che le imprese stanno vivendo oggi, i professionisti delle Rp fungono da “bussola” per le aziende intenzionate a condividere obiettivi e progetti con terze parti e istituzioni, fermo restando che nulla tornerà come prima, perché questa crisi ha insita una trasformazione profonda, un cambiamento di modello e di paradigma che integra in una prospettiva nuova bisogni di natura economica, sociale e ambientale.
In un momento di contenimento delle risorse e di grande incertezza economica risulta fondamentale sviluppare un dialogo integrato con gli stakeholder interni ed esterni (dipendenti, investitori, consumatori, istituzioni, media, clienti, fornitori, comunità locale, associazioni pazienti, community on-line), per accrescerne vicinanza, sostegno e fiducia. Con il ridisegnarsi degli equilibri generali del Sistema Paese, l’ascolto dei pubblici di riferimento è la chiave per comprendere le nuove esigenze degli stakeholder che stanno chiedendo con sempre più evidenza autenticità, originalità e trasparenza. La grande opportunità per un professionista di Relazioni pubbliche in tempi difficili è saper mantenere le antenne tese ai cambiamenti in atto nel mercato e nella comunità per individuare nuove opportunità di business e di posizionamento aziendale, trovando soluzioni a issue complesse e stringendo alleanze e partnership strategiche per generare valore. Grazie a una visione a 360 gradi, le aziende possono da un lato sopravvivere alla turbolenza, trovando equilibri imprescindibili nel breve e lungo periodo e dall’altro stabilendo un percorso di sostenibilità dell’impresa e per l’impresa.
Quanto la comunicazione è divenuta una funzione strategica per le aziende?
Che la comunicazione rappresenti oggi un asset strategico all’interno delle organizzazioni aziendali è un dato di fatto, e lo è fondamentalmente per due ragioni. La prima è che una comunicazione continua ed accessibile rappresenta una delle più strategiche leve per innalzare il livello di engagement di un’organizzazione: è sempre più intrinseco infatti il legame tra il coinvolgimento emotivo dei dipendenti nel perseguire il successo dell’organizzazione e il successo dell’organizzazione in cui lavorano. I dipendenti altamente “ingaggiati” offrono e cercano significato nel lavoro che svolgono e vogliono lasciare un segno positivo investendo creatività, passione ed energia. Le aziende che, in particolare in questo periodo di crisi e di riassetto degli equilibri, trascurano il dialogo con i propri dipendenti finiscono per intaccare il proprio valore sul mercato, oltre a perdere probabilmente i collaboratori migliori.
Con riferimento ai pubblici anche esterni, invece, la comunicazione è quell’asset trasversale che ha il compito di instaurare una logica di coalition building, per la condivisione di strategie e obiettivi comuni tra i diversi stakeholder, siano essi interni o esterni all’organizzazione facendo leva sulle competenze eterogenee di un team multifunzionale.
Oggi ad esempio non si può pensare di attivare una campagna di sensibilizzazione su una determinata patologia, senza la condivisione allargata di una progettualità che coinvolga attivamente tutti i soggetti interessati per generare valore condiviso. Recentemente, ad esempio, è stata conferita a Roche una Menzione Speciale del Premio Assorel per una campagna di informazione e sensibilizzazione sul tumore ovarico. Obiettivo condiviso, aumentare l’attenzione nei confronti della patologia attraverso l’engagement di tutti gli stakeholder e portare l’attenzione delle istituzioni e delle autorità regolatorie su questo tema. Roche ha confermato il suo impegno in quest’area attivando una stretta collaborazione con Acto-Onlus, l’Associazione fondata per sostenere e informare le donne colpite da questa forma di tumore, e ONDA, Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna. Grazie a questo impegno comune, un gruppo di parlamentari si è impegnato formalmente nella lotta al tumore dell’ovaio condividendo la necessità di un’attenzione maggiore sulla patologia. Questa promessa è confluita nella presentazione al Governo di una mozione parlamentare che è stata approvata lo scorso 7 dicembre 2011 in Senato.
In che modo l’introduzione dei farmaci generici influenza la comunicazione dei prodotti di marca?
La comunicazione del farmaco generico porta con sé la necessità di riscoprire i valori del brand. Tutto ciò che il comparto generico stimola in termini di comunicazione è infatti il bisogno di ribadire il valore dell’innovazione. Il farmaco generico e il risparmio che ne deriva possono portare benefici al Sistema da un punto di vista di sostenibilità economica, purché però tali risparmi vengano reinvestiti in innovazione. Se oggi l’industria farmaceutica impegnata nella ricerca e nello sviluppo di nuove terapie si fermasse, che cosa accadrebbe? Riusciremmo a curare solamente le malattie che oggi già conosciamo, di fatto non saremmo più in grado di dare nuove speranze ai pazienti. Ciò è particolarmente preoccupante quando i nuovi prodotti sono destinati al trattamento di malattie importanti, spesso oncologiche e in cui il fattore tempo è cruciale. Oggi però grazie all’innovazione, la qualità di vita di milioni di pazienti nel mondo e in Italia è sensibilmente migliorata, anche a fronte di patologie molto gravi e invalidanti. Naturalmente la mia domanda è solo una provocazione, la ricerca non potrà mai fermarsi, ma oggi non è accettabile che chi è portatore di innovazione e di speranza per nuove cure venga visto come portatore di costo. Dieci lunghi anni è il periodo medio di ricerca per un farmaco, e circa un miliardo di euro l’investimento medio di un’azienda su una nuova molecola affinché possa portare risposte ai tanti bisogni medici ancora non soddisfatti. In Europa però paradossalmente chi porta innovazione rischia spesso di essere visto come “parte del problema”, se non “il problema stesso”. Cominciare a guardare le cose in modo diverso può essere un buon inizio, non solo perché l’innovazione venga riconosciuta e premiata ma anche affinchè l’Industria che la produce venga vista come portatore di soluzioni insieme alle Istituzioni.
Quanto trova reale la nuova definizione di Rp, che è centrata sul raggiungimento di mutuo beneficio tra aziende e stakeholder?
E’ una definizione assolutamente attuale e veritiera. Oggi la generazione di valore condiviso tra l’azienda, gli stakeholder e la comunità in senso più ampio è imprescindibile per il professionista di Rp e soprattutto per le aziende. Un approccio strategico di Coalition Building che coinvolga, in un settore come il farmaceutico, istituzioni, media, classe medica e associazioni pazienti è la chiave per raggiungere obiettivi condivisi. In questi anni tutte le attività in cui ci siamo impegnati sono state caratterizzate da questo approccio, e ci hanno visti presenti su tutto il territorio italiano a fianco dei pazienti, dei clinici e dei loro centri con progetti mirati ad aumentare l’attenzione delle istituzioni e dei decisori su patologie gravi come il tumore, l’epatite e l’artrite reumatoide. Iniziative come I trust you, EpatiteCiconfrontiamo, Il paziente al Centro hanno contribuito alla valorizzazione dell’innovazione davanti agli stakeholder chiave a livello regionale, raccontando le storie dei pazienti e dando voce ai loro bisogni. Di certo poter contare su un team unito ed eterogeneo caratterizzato da competenze diverse ha facilitato l’implementazione di questo approccio: la sinergia tra responsabilità sociale, relazioni con i media, comunicazione di business e relazioni con le associazioni pazienti è la chiave che ci ha permesso nel tempo di sviluppare una visione complessiva dello scenario in cui ci muoviamo e di attivare progettualità strategiche con le terze parti.

Nella foto in basso, parte del team. Da destra a sinistra: Dario Francolino, Chiara Travagin, Werner Suzzi, Alice Beggiato e Donatella Armienti. A seguire Tania Ghiani, Chiara Loprieno, Maurizio Setti e Paola Biggiogero.
Eventi