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Crisis Management: il caso Vaticano

20/06/2012

La Chiesa, oltre a rappresentare una delle religioni più importanti del mondo, è una istituzione e come tale un vera e propria macchina di comunicazione. Negli ultimi anni, il Vaticano si è trovato ad affrontare uno dei più gravi scandali della storia: quello della pedofilia. Un terreno delicato e scivoloso in cui, in gioco, c’è la reputazione. L’analisi di _Luca Poma_ e _Giampietro Vecchiato._

di Luca Poma e Giampietro Vecchiato
Fin dall’inizio del pontificato di papa Benedetto XVI, le contestazioni rivolte alla Chiesa di Roma sul tema della pedofilia sono state in cima all’agenda del Pontefice. L’accusa mossa al Vaticano è stata quella di aver protetto sacerdoti pedofili, ignorando le denunce e limitandosi al massimo a trasferirli in altre parrocchie. Su tutte le testate giornalistiche italiane e internazionali si è parlato di “copertura dei casi di abusi sessuali”, di “interventi ritardatari da parte delle autorità ecclesiali”, di “processi segreti”, di “ottenimenti di lasciapassare”, di “scarsa considerazione delle denuncie mosse dalle vittime” e di “trasferimenti di sacerdoti accusati di molestie sessuali”. Accuse le quali – ponendo in discussione la reputazione stessa dell’organizzazione Chiesa Cattolica e il suo intero sistema morale/normativo, hanno reso lo scandalo pedofilia il primo grande caso di crisi comunicazionale sistemica affrontata da una religione nel mondo moderno. Una crisi per certi versi unica, la cui analisi è di estremo interesse, e nulla più di una neutra esposizione cronologica dei fatti può essere illuminante per comprendere le esatte dimensioni del dossier in cui si è trovato ingaggiato il Vaticano.
Insediato da pochi mesi, Benedetto XVI si ritrova subito a fare i conti con i primi scandali di pedofilia ad opera di religiosi, una issue che pareva covare da tempo. L’11 luglio del 2005 viene arrestato il quarantaquattrenne Pierangelo Bertagna, ex abate dell’abazia di Farneta, nel comune di Cortona, a seguito di una denuncia di un bambino di 13 anni. Il prete crolla davanti al Magistrato, e confessa che dal 1988 ha abusato di altri 38 minorenni. Viene sospeso a divinis, e nel giugno 2007 condannato a 8 anni per i 16 abusi confessati.
Nel mese di aprile scoppia il caso della diocesi di Firenze: don Lelio Cantini, di 85 anni, viene accusato di abusi sessuali, nonché di falso misticismo per controllo e dominio delle coscienze, avvenuto dal 1973 al 1987. Al termine del processo canonico, la Congregazione per la Dottrina della Fede lo condanna al divieto per 5 anni di confessare, di celebrare messa e gli altri sacramenti, e di assumere incarichi ecclesiastici.
Due anni dopo, nel 2009, cominciarono a giungere sulla soglia della Santa Sede notizie sui primi casi di pedofilia avvenuti all’estero e i primi attacchi dal mondo dell’informazione. Nel novembre dello stesso anno, a Dublino, la commissione guidata dal magistrato irlandese Yvonne Murphy presenta un rapporto secondo il quale “il Vaticano ignorò la commissione d’inchiesta sugli abusi pedofili da parte di sacerdoti nell’arcidiocesi di Dublino e sulla loro gestione da parte dei vertici della Chiesa locale”. La denuncia, frutto di un’indagine iniziata nel 2006, ottenne una vasta eco mondiale grazie al reportage shock trasmesso dall’emittente inglese BBC, dal titolo Sex crimes and Vatican. Il Vaticano, secondo il rapporto, si limitò a comunicare al Ministero degli Esteri irlandese che “la richiesta non era pervenuta attraverso gli appropriati canali diplomatici”.
A maggio viene alla luce un’altra inchiesta, il rapporto Ryan, che racconta sevizie e maltrattamenti subiti da bambini e da ragazzi in alcuni istituti d’Irlanda gestiti da ordini religiosi.
A dicembre 2009 in Italia su Micromega Lucia scrive: “Continuano a definirli casi isolati. In Italia, si intende, perché ormai fuori dai nostri confini la scusa non regge più…” (…). In Italia il caso esplode dopo la messa in onda del servizio della BBC nel corso di una puntata di Anno Zero. Il video racconta di 100 bambini e bambine abusati da 26 sacerdoti che il giornalista della BBC sostiene siano stati coperti o comunque tollerati dal Vaticano, dalla Chiesa di Roma e dall’allora Cardinale Ratzinger, a capo della Congregazione della Dottrina della Fede.
Ma il vero scandalo inizia i primi di febbraio del 2010, quando nell’occhio del ciclone della stampa tedesca finisce un istituto privato di istruzione di Berlino, il Liceo Canisius, gestito dai Gesuiti e considerato tra i più prestigiosi della città. Fra quelle mura, tra anni Settanta e Ottanta, si sono verificati atti di abusi sessuali ai danni degli scolari, con ben 150 denunce a carico dei sacerdoti. La rivelazione viene fatta il 7 febbraio dallo stesso direttore della struttura, Padre Klaus Mertes, il quale invia inoltre una lettera a tutti coloro che erano stati studenti a suo tempo del liceo invitandoli a riferire eventuali informazioni che possano aiutare a far luce sulla vicenda.
Il 5 marzo 2010 il vescovo di Ratisbona, Gerhard Ludwig Muller, ammette che sono stati commessi abusi anche nell’ambiente del coro dei ragazzi di Ratisbona, all’epoca in cui era diretto da Georg Ratzinger, fratello di Papa Benedetto XVI. Il vescovo Mueller scrive una lettera ai genitori dei ragazzi coinvolti pubblicata sul sito internet della scuola, in cui afferma: ”Siamo fortemente impegnati a chiarire tutti i possibili casi”. I responsabili dei presunti abusi sarebbero due religiosi, ambedue morti nel 1984, che sarebbero stati condannati a pene detentive, come si continua a leggere sul sito.
Il portavoce del Vescovo, Clemens Neck, dichiara, pochi giorni dopo, a France Press di avere informazioni su presunti abusi commessi tra il 1958 e il 1973 sui quali si chiede di condurre un’inchiesta trasparente. Invece, Georg Ratzinger, in un’intervista alla radio bavarese Bayerischen Rundfunk, fa sapere che non è a conoscenza di nessun caso di molestia sessuale commessi nell’ambiente del coro dei ragazzi del Duomo di Ratisbona.
Nel frattempo, la Santa Sede invia una nota in cui informa che ”Sta prendendo molto sul serio la vicenda dello scandalo di pedofilia in Germania, ma che non vuole intervenire direttamente sul caso del coro di Ratisbona”. La diocesi tedesca, invece, attraverso il portavoce Neck, dichiara al quotidiano Bild che “la diocesi di Ratisbona indagherà con una commissione ad hoc sui presunti casi di abusi sessuali commessi nell’ambiente del coro di ragazzi del duomo della città”. La diocesi spiega Neck opererà nella trasparenza, istituendo una commissione che avrà il compito di esaminare i documenti dell’epoca contenuti negli archivi.
Il 12 marzo 2010, lo scandalo dei casi di abusi nelle istituzioni cattoliche tedesche registra una svolta clamorosa: l’edizione online del quotidiano liberal di Monaco di Baviera, la Sueddeutsche, scrive che negli anni Ottanta un sacerdote pregiudicato per violenze sessuali su minori viene trasferito da Essen in Baviera, nel periodo in cui l’attuale pontefice Benedetto XVI era arcivescovo di Monaco e responsabile di ogni affidamento di missione e trasferimento di sacerdoti. Il prete in questione, sempre secondo la Sueddeutsche Zeitung, una volta trasferito a Monaco, viene assegnato a lavorare nella comunità della chiesa locale. Il religioso, scoperto nuovamente a commettere abusi sessuali su minori, viene ritrasferito, sempre dall’Arcivescovo Ratzinger. In questo caso però il futuro Papa, ordina che il sacerdote sia soltanto accolto in una casa parrocchiale per seguire una terapia. Interpellato dalla Sueddeutsche Zeitung, il portavoce della diocesi, Bernhard Kellner, parla di gravi errori commessi negli anni Ottanta. Intanto Padre Lombardi, portavoce della Santa Sede, emette subito un comunicato stampa nel quale specifica che la diocesi bavarese ha già chiarito il caso. In questo clima, nella metà di marzo, il Papa convoca una riunione, che ha come ordine del giorno i risultati del rapporto Murphy e la definizione delle future linee di condotta per le diocesi. Alla riunione, sono presenti i 24 vescovi irlandesi, i capi dei dicasteri più importanti della Curia romana, il presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, l’arcivescovo Francesco Coccopalmerio, e l’Arcivescovo di Dublino, monsignor Diarmuid Martin.
Dopo il “summit” del 19 marzo, papa Benedetto XVI indirizza ai cattolici irlandesi una Lettera Pastorale, che – in considerazione probabilmente dell’entità mediatica assunta dallo scandalo, viene estesa a tutti i cattolici: la lettera parla di “pentimento” e contiene una “richiesta di perdono”, rivolta alle vittime degli abusi e alle loro famiglie. Viene ribadita la volontà di collaborare con le autorità giudiziarie civili, nonchè il principio della cosiddetta “Tolleranza zero”, e si incoraggiano i cattolici di tutto il mondo a continuare a fidarsi dei sacerdoti, non confondendo l’atroce e indegno tradimento di alcuni preti infedeli con la dedizione e il servizio della grande maggioranza del clero e dei religiosi.
A pochi giorni dalla lettera del Papa agli irlandesi, dagli Stati Uniti arriva un altro attacco violento. Il New York Times e il Washington Post rendono noto il pagamento, avvenuto nel 2007, di 660 milioni di dollari da parte delle diocesi americane a titolo di risarcimento alle vittime di abusi sessuali e, senza giri di parole si chiedono “se non sia il caso che il Papa faccia un passo indietro”.
Il 24 marzo 2010, il New York Times pubblica un nuovo articolo durissimo verso Benedetto XVI, accusato di non aver rimosso, da Cardinale, un sacerdote del Wisconsin che avrebbe abusato di 200 ragazzini ospiti di un istituto per sordi. Nell’articolo pubblicato in prima pagina, con la firma di Laurie Goodstein con la collaborazione da Roma di Rachel Donadio, si legge: “Alti funzionari del Vaticano, tra cui il futuro papa Benedetto XVI, hanno evitato di dimettere un prete che aveva molestato ben 200 ragazzi sordi, sebbene molti vescovi americani li avessero ripetutamente avvertiti del fatto che omettere tale provvedimento avrebbe creato imbarazzo per la Chiesa…(…)”
Il portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi, a cui è stato chiesto di rispondere alle domande sul caso, ha dichiarato che padre Murphy aveva certamente violato bambini particolarmente vulnerabili e che il caso non poteva definirsi se non “tragico”, ma ha anche sottolineato che al Vaticano non è stato segnalato il caso fino al 1996, anni dopo che le autorità civili avevano indagato sul caso, archiviandolo. Riguardo invece, al motivo per cui padre Murphy non è stato ridotto allo stato laicale, il portavoce del Vaticano, ha affermato che: ”Il Codice di Diritto Canonico non prevedeva sanzioni automatiche” e che “la scarsa salute di Murphy e la mancanza di accuse recenti contro di lui, sono stati i fattori alla base della decisione.”
Il 12 aprile, dopo settimane di dissertazioni e accuse, sul sito della Santa Sede (www.vatican.va) vengono pubblicate le “Linee guida anti-pedofilia” che riassumono le procedure operative da assumere in caso di accuse di pedofilia a carico di Prelati e stabiliscono che è compito delle diocesi locali indagare su ogni eventuale accusa di abusi sessuali su minore da parte di un sacerdote.
Nei primi di maggio, il Vaticano è costretto a condannare e a sospendere dalla Santa Sede il Padre fondatore dell’Ordine dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado, e a commissariare lo stesso Ordine. I comportamenti del religioso, segnatamente molestie sessuali a carico di seminaristi minorenni o comunque in giovane età, vengono definiti “gravissimi e obiettivamente immorali”. Ad essere oggetto del provvedimento della Santa Sede però non sono solo i singoli episodi, ma l’intera congregazione con le sue regole di gestione, le quali imponevano il silenzio su ciò che avveniva al suo interno. Grazie a questa “omertà”, infatti, le condotte del fondatore sono state di fatto coperte dai suo stessi adepti.
Presso la Santa Sede l’imbarazzo su questo dossier è comunque forte, ma ad arroventare il clima e le polemiche attorno al Vaticano, arrivano ulteriori dichiarazioni di due cardinali. A Pasqua, in occasione delle Messa pasquale in piazza San Pietro, Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, afferma: “E’ con lei il popolo di Dio, che non si lascia impressionare dal chiacchiericcio del momento e dalle prove che talora vengono a colpire la comunità dei credenti”. Parole infelici secondo Barbara Blaine, uno dei leader della SNAP, la Rete sopravvissuti agli abusi dei preti, con sede negli Stati Uniti, che, interpellata dall’agenzia di stampa Reuters, afferma: “Le vittime cercano consolazione e guarigione e non dovrebbero essere insultate e sentirsi dire che le loro parole sono solo un chiacchiericcio”.
Poi arriva la volta del Cardinale Tarcisio Bertone che – in visita pastorale in Cile – preannunciando che Papa Benedetto XVI è in procinto di assumere nuove iniziative per far fronte agli abusi commessi dai sacerdoti, afferma: “Numerosi sociologi e psichiatri hanno dimostrato che non c’è relazione tra celibato e pedofilia. Al contrario, recentemente, molti altri hanno dimostrato che c’è una relazione tra omosessualità e pedofilia”. Questa entrata a gamba tesa nel mondo omosessuale ha generato nuove polemiche mediatiche, e la reazione dell’Arcigay non si è fatta attendere: “L’equazione omosessualità-pedofilia è falsa, ignobile e anti-scientifica. E’ un’affermazione disonesta quella secondo cui, la vita e la dignità di milioni di persone gay e lesbiche, confermi il cinismo, la mancanza di scrupoli e la crudeltà di quelle stesse gerarchie vaticane che hanno coperto per anni i crimini sessuali perpetrati in tutto il mondo da esponenti della chiesa contro la vita di migliaia di bambine e bambini innocenti. Pensi piuttosto ad interrogarsi sulla sua mancanza di umanità”.
Come diretta conseguenza di questa querelle, il settimanale tedesco Der Spiegel mette in copertina una foto di Benedetto XVI con il titolo Fallibile, in Francia il quotidiano Liberation si domanda: “Bisogna cambiare Papa?”. Negli Stati Uniti presentano la crisi come gravissima, “Come e più del Watergate”, per il Washington Post, e agitano lo spettro delle dimissioni: “Un Papa può dimettersi?” scrive il New York Times (…). Ad agosto il Vaticano pubblica i primi file sui preti pedofili, con oltre due anni di ritardo rispetto all’esplosione della crisi mediatica mondiale. Il 18 agosto 2011 il blog di commento giornalistico Giornalettismo scrive: “Un passo avanti del Vaticano nella trasparenza relativa ai casi di pedofilia e abusi sessuali… la Chiesa, scossa dalle critiche senza precedenti riguardo ai casi denunciati in Irlanda, ha deciso finalmente di aprire il Vaso di Pandora… ha reso pubblici i propri file relativi al caso di un sacerdote accusato di aver molestato alcuni giovani sia in Irlanda che negli Stati Uniti, il reverendo Andrew Ronan. Il sacerdote dell’Oregon è morto nel 1992, ma solo oggi il sito di Radio Vaticana ha deciso di pubblicare la documentazione …”.
Il 13 settembre, anche le vittime di abusi sessuali nella Chiesa dell’organizzazione statunitense SNAP chiedono alla Corte dell’Aja di investigare contro Papa Benedetto XVI, con l’accusa di aver coperto gli abusi sessuali. Il 22 settembre Papa Ratzinger si reca in Germania, la sua patria, ma anche paese in cui il numero di fedele diminuisce di anno in anno e dove – soprattutto – lo scandalo pedofilia ha innescato proposte di riforme strutturali che dividono vescovi, sacerdoti e fedeli. Durante il volo che lo porta a Berlino il Pontefice dichiara in conferenza stampa di comprendere chi a seguito di questi fatti decide di lasciare la Chiesa: “Capisco chi davanti a notizie di abusi commessi da preti, soprattutto se vicino alle vittime, non si riconosce più in questa Chiesa, rappresentante dell’umanizzazione. Bisogna andare in fondo alla questione e rinnovare in tal modo la specificità di questa Chiesa e imparare da questi scandali e lavorando contro questi scandali stando all’interno di questa grande rete del Signore”.
Da questa cronologia di analisi del “caso pedofilia” emerge una tardiva presa di posizione sul dossier da parte del Vaticano. Un intervento, che essendo giunto in piena crisi, quando cioè la issue aveva ormai attirato l’attenzione del mondo mediatico internazionale e delle istituzioni, non ha fatto altro che confermare nell’opinione pubblica l’idea di copertura dei casi o perlomeno di un certo lassismo e disinteresse da parte della Chiesa per questa tematica delicatissima. In realtà, la risposta della Chiesa è stata rapida se paragonata ai tempi tradizionalmente lunghissimi di decantazione tipici di quell’organizzazione. Rapida se “vista dall’interno”, ma – comunque – oggettivamente del tutto inadeguata rispetto alle più elementari regole di crisis management.
Le risposte tardive paiono anche rivelare anche un’errata valutazione da parte del mondo ecclesiale del rischio “scandalo pedofilia”. In questa prima fase di comunicazione, sembra che non sia stata considerata l’importanza della “sacralità” della figura del sacerdote, e di come queste problematiche avrebbero potuto pregiudicarla. Se infatti l’abuso del minore, nella morale laica, è una pratica socialmente del tutto inaccettabile, lo diviene ancor di più se attuata da una figura quale quella di un Prelato. Un errore comunicativo che evidenza una grave sottovalutazione, alla quale sembrano essersi aggiunte altre piccole sviste comunicative come ad esempio la decisione presa da Benedetto XVI di eliminare il ruolo del “Portavoce del Papa” – nel precedente pontificato Joaquin Navarro Valls – reintroducendo la figura di Direttore della Sala stampa Vaticana. Una decisione, che rompendo il rapporto fiduciario diretto costruito nel pontificato di Wojtyla con i giornalisti, ha accentuato il ruolo di capro espiatorio di Ratzinger nel caso pedofilia (…). Ulteriore significativo errore commesso dalla Chiesa di Roma, una volta messa alle strette dallo scandalo pedofilia, è stato quello di reagire con dichiarazioni scomposte “a più voci” provenienti dalle alte gerarchie, dichiarazioni che oltre a lasciare l’opinione pubblica ancora più perplessa riguardo all’accaduto ha anche acceso ulteriori polemiche, rimarcando ancor di più il divario tra alcune posizioni della Chiesa cattolica e la pubblica opinione.
Benedetto XVI ha certamente prestato attenzione a risolvere radicalmente il problema dell’abuso di minori all’interno del mondo ecclesiastico, attraverso la regola “tolleranza zero” e la pubblicazione sul proprio sito della guida anti pedofilia, ma le scelte comunicative adottate nelle prime fasi dello scandalo pedofilia hanno in parte oscurato o comunque ridotto la portata di queste iniziative, posizionando negativamente la Chiesa Cattolica sui mass-media di tutto il mondo e confermando il larga parte dell’opinione pubblica l’idea di una Chiesa conservatrice e lontana dalle problematiche e della sensibilità della società moderna.
Le recenti, nuove e inquietanti dichiarazioni della CEI sulla circostanza che non vi sia per i vescovi "l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbiano ricevuto in merito ai fatti illeciti di pedofilia2, norma motivata con il fatto che “nell’ordinamento italiano” il vescovo non riveste “la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio”, denunciano una volta di più l’inadeguatezza della Santa Sede a coordinare in modo efficace la comunicazione di crisi su questo delicato dossier.

Una parte significativa di questo articolo è tratto da Crisis Management: come comunicare le crisi, Edizioni Gruppo 24 Ore, di Luca Poma e Giampietro Vecchiato, con la collaborazione di Enrico Finucci. Capitolo a cura di Sara Venditti.
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