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American Cancer Society, bilancio senza indicatori

07/06/2005

Un articolo di Paolo D'Anselmi.

Con un po' di fantasia il bilancio sociale della American Cancer Society - ACS si ripertica all'interno del sito, componendo tavole dalle diverse sezioni, e ce n'è da perdersi. Fondata nel 1913 (signora mia), l'ACS non finanzia soltanto ricerca scientifica, ma fa anche istruzione, informazione, prevenzione, lobbying e assistenza ai malati di cancro ed alle loro famiglie, inclusa la logistica per quelli che devono essere curati lontano da casa (una faccenda sentita anche da noi). Il tutto cuba 800 milioni di dollari: lo stesso ordine di grandezza dell'italiano Consiglio Nazionale delle Ricerche, che conta 8.000 persone. L'ammontare del finanziamento agli scienziati prende il 15% del totale e frazioni simili sono devolute alle altre attività. Arriviamo così al 71% del bilancio. Un sottile 7% va per l'amministrazione ed un bel 22% serve al fund raising. Prima pausa, per portare a casa l'equivalente di 1.600 miliardi di lire, occorre spenderne oltre 300 per organizzare eventi ed altre attività di questua. Per guadagnare bisogna spendere, una vexata questio. La Society è al decimo posto per ricavi tra le non profit americane (fonte: McKinsey Quarterly, dati 2002) e – curiosità – sul sito ci sono anche le denunce delle tasse, quelli che da noi sono i moduli 770 per le aziende.Veniamo alla ricerca scientifica, soggetto utile in tempi di grosso parlar di declino, tecnologia e simili. C'è la lista dei singoli progetti finanziati. Entriamoci per un secondo perché è un piacere: si può avere per area geografica di appartenenza del ricercatore finanziato o per area scientifica di merito. Pure l'estero becca la sua parte, un miliardo di lire su duecento, poca cosa, ma – seconda pausa - è un segnale per dire come il pragmatismo spinga oltre la miope reciprocità prescritta dalla diplomazia: ti do solo se tu mi dai. In dettaglio: la tabella dei soldi che finiscono in California è di 206 pagine. C'è un elenco clickabile, ad ogni riga vengon su due pagine sulla équipe che riceve il fondo, la distinta dei quattrini e l'abstract scientifico del progetto. Ciascuna grant non è grossa: centomila dollari di media, fondi marginali che però bastano per progetti pluriennali. Di questi ultimi colpiscono i titoli perché sono molto molto specifici. Terza pausa.La valutazione ex ante, cioè su chi finanziare, si fa con la peer review cioè con il controllo dei pari. Ci sono alcune decine di comitati e puoi vedere nomi e cognomi. È previsto pure il coinvolgimento degli stakeholder, cioè non scienziati che si dedicano alla Society e che votano a pieno titolo su fatti di scienza. Malizia suggerisce che si tratti di donatori cospicui, ma potranno a proposito verificare l'uso non parrocchiale dei loro denari. Pausa. Passando alla valutazione ex post, la Society tira fuori un po' d'orgoglio e racconta che negli ultimi 60 anni ha finanziato 38 premi Nobel ‘agli inizi della loro carriera, ben prima che ottenessero tale riconoscimento'. Sente tuttavia la mancanza di un dato onnicomprensivo che magari permetta un confronto fra istituzioni, e si lancia nella carrellata delle research milestones, encomiabile comunque per la capacità di selezione e la specificità dell'elenco. Ma indicatori, numeri, niente. Ultima pausa: siamo noi europei dell'Italia che ci rifugiamo nel numero per difetto di un process trasparente e condiviso? La nostra ossessione per il numero asettico, nella CSR come nei concorsi pubblici, rivela la carenza di procedure pulite e di quei pesi e contrappesi, checks and balances, cari ai padri fondatori.Paolo D'Anselmi
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