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Chiara Valentini ha ragione e ci fa riflettere ancora sulla distinzione fra stakeholder, influenti e

16/05/2006

Una precisazione di Toni Muzi Falconi sul valore della corretta segmentazione degli interlocutori di un'organizzazione.

Assai utile e informativo l'intervento della scorsa settimana di Chiara Valentini a commento di un mio pezzo precedente.
Tra l'altro, la nostra giovane e valente ricercatrice che opera in Finlandia, ci ha messo a disposizione un prezioso scritto del 2001 della studiosa danese Inger Jensen , oggi presidente eletta di Euprera, che non conoscevamo. Grazie.
Dice la Valentini:Le teorie della sfera pubblica, secondo Jensen, dovrebbero essere riconsiderate dai relatori pubblici per spiegare fenomeni di influenza esterna da parte di pubblici apparentemente non influenti. La sfera pubblica è intesa qui come un concetto analitico che si riferisce ai processi discorsivi che si formano in complessi network di persone, associazioni istituzionalizzate e organizzazioni. Dando per scontato che i discorsi nella sfera pubblica sono generalmente critici e non supportativi, i discorsi nella sfera pubblica rappresentano quindi un modo civilizzato per essere apertamente contrari a questioni essenziali di comune interesse che coinvolgono aziende, società, organizzazioni, istituzioni etc.Le sfere pubbliche, come aspetto fondamentale delle società democratiche e come espressione dell'opinione pubblica, devono dunque essere prese in considerazione sempre di più dai professionisti in RP. Nel presente le organizzazioni non possono più commettere l'errore di rifarsi esclusivamente ai propri concetti e da questi identificare i propri pubblici, ma devono capire che esistono altri agenti nella società che possono attivare altre immagini di ciò che significa essere un'organizzazione responsabile. Questi agenti (considerati i non pubblici) eventualmente potrebbero comunicare attivamente in pubblico (nella sfera pubblica appunto) con altri agenti (network pubblico e privato) riguardo a problemi e questioni che direttamente o potenzialmente coinvolgono l'organizzazione stessa. Gli effetti di questi discorsi potrebbero essere devastanti per l'organizzazione, è per questo che lo studio della sfera pubblica associato alle relazioni pubbliche è considerato molto importante.
Questo ragionamento è molto corretto e dovrebbe suonare come un campanello di allarme per quelli fra noi che aderiscono in pieno alla attuale vulgata della teoria degli stakeholder messa in giro dagli economisti, secondo cui todos cabelleros (tutti sono stakeholder).
Fra l'altro, molti colleghi autorevoli, anche su questo sito, hanno sostenuto e sostengono che gli stakeholder vengono scelti dall'organizzazione. Secondo loro, in base agli obiettivi che persegue, l'organizzazione seleziona gli stakeholder con i quali intende interagire e parte il processo comunicativo. Nella realtà non è sempre così, e non è un caso che quando questo approccio viene attuato, l'organizzazione si trova spesso di fronte a sorprese spiacevoli.
Se invece, come ho sostenuto in passato, l'organizzazione attua a monte una distinzione fra stakeholder e influenti non corre questo rischio:
- stakeholder (lo dice la parola stessa: one who holds a stake) è quel soggetto che è consapevole e interessato alla relazione con l'organizzazione perchè nel perseguire le sue finalità quest'ultima produce conseguenze su di lui e/o lui produce conseguenze sull'organizzazione. Quindi non è l'organizzazione a selezionarlo, ma è lui ad attribuirsi quella funzione. Punto.Secondo questa accezione, nella discrezionalità affidatami in attuazione al principio di responsabilità, sono io organizzazione a decidere se interloquire o meno con quello stakeholder. Lo stakeholder può essere attivo o potenziale. Se potenziale è perché non è consapevolema se lo fosse sarebbe interessato, e spetta a me organizzazione decidere se e quando renderlo tale.
- influente, invece, è quel soggetto che io organizzazione ritengo importante perché capace di accelerare o ritardare il raggiungimento degli obiettivi che intendo perseguire.Sono dunque io a selezionarlo e sono io a decidere se attivare o meno con lui una relazione.A loro volta gli influenti possono esserlo sulle tante variabili economiche, sociali, culturali o tecnologiche che orientano il raggiungimento degli obiettivi che ho deciso di perseguire ( e quindi decisori, legislatori e loro influenti), oppure sui miei destinatari finali, consumatori, elettori, cittadini ( e quindi opinion leader, giornalisti, celebrità e testimoni).E' solo naturale che molti soggetti appartengono a più di una categoria, ma non tutti.Siccome il valore aggiunto che noi apportiamo all'organizzazione dipende in gran parte dalla nostra capacità di identificare puntualmente i nostri interlocutori, ne consegue che questa segmentazione, forse non utile da una pura prospettiva economica, diventa fondamentale in una ottica di approccio relazionale e , quindi, anche di efficacia e di costi/benefici per l'organizzazioneSi pensi solo che mentre con gli stakeholder non è necessario che l'organizzazione sviluppi attività comunicative push, persuasive e retoriche poiché, essendo consapevoli e interessati conviene attivare con loro attività pull, dialogiche e razionali; con gli influenti, non necessariamente né consapevoli né interessati, sarà invece compito del comunicatore attivare una relazione, per quanto sobria, almeno inizialmente push, retorica e persuasiva.Toni Muzi Falconi
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