Ferpi > News > Comin: al centro dell'azienda il professionista della comunicazione

Comin: al centro dell'azienda il professionista della comunicazione

10/09/2009

Un'interessante intervista in cui il Presidente Ferpi, Gianluca Comin, delinea il cambio di passo di una professione che in pochi anni ha assunto nuovi significati di fronte all'impetuosa trasformazione delle strategie aziendali e organizzative e al rapido sviluppo dei nuovi media.

“Il comunicatore oggi è un professionista cui è riconosciuto un ruolo centrale nell’organizzazione delle imprese e delle istituzioni; non è più visto come la Croce Rossa, chiamato in causa solo in caso di emergenza.” Per il secondo mandato successivo alla guida della FERPI, che riunisce i professionisti della comunicazione e delle relazioni pubbliche, Gianluca Comin delinea il cambio di passo di una professione che in pochi anni ha assunto nuovi significati di fronte all’impetuosa trasformazione delle strategie aziendali e organizzative e al rapido sviluppo dei nuovi media.


Direttore delle Relazioni Esterne dell’Enel, società in cui è entrato nel 2002, Comin è stato giornalista per 10 anni del quotidiano Il Gazzettino con l’incarico di redattore economico e parlamentare, nel 1997 è divenuto portavoce dell’allora ministro dei Lavori Pubblici Paolo Costa, successivamente si è occupato di comunicazione in Telecom Italia come responsabile delle Relazioni con la stampa e nel la Montedison di Enrico Bondi come capo delle Relazioni Esterne. Insegna Communication Strategy nella Luiss di Roma, nel corso di Economia e I Direzione delle imprese.


Domanda. Chi è il comunicatore e come si forma oggi?


Risposta. È ormai chiaro che il comunicatore è un professionista e, al pari di altre funzioni aziendali, si forma attraverso I’università e con specializzazioni successive. Qualche anno fa l’attitudine alla socievolezza e all’estroversione era il canale naturale per molti operatori del settore. Oggi le aziende cercano giovani provenienti da corsi accademici come Scienze della Comunicazione e Relazioni pubbliche, guardando con maggiore attenzione a quei candidati che, conseguendo un Master, hanno già scelto una loro area di interesse.
Ma è evidente che l’Università da sola non basta. Chi entra nelle aziende oggi è un professionista della comunicazione che sa usare strumenti innovativi e mette in conto di doversi sottoporre a una formazione continua, in linea con i cambiamenti della società.


D. Quale ruolo ha oggi un comunicatore all’interno di un’azienda?


R. Il riconoscimento di questa professionalità ha aiutato i comunicatori ad affermare il proprio ruolo nelle imprese. Oggi la Direzione Relazioni Esterne o quella della Comunicazione partecipano alla definizione degli obiettivi strategici in molte grandi aziende. Solo qualche decennio fa la comunicazione era usata un po’ come la Croce Rossa, che il settore privato e le istituzioni chiamavano in causa quando si era manifestato un problema.


Non è più così nella maggior parte dei casi: la comunicazione appare centrale all’interno della stessa organizzazione aziendale o istituzionale. Quando si lancia un nuovo prodotto o si avvia il progetto di una nuova infrastruttura, l’azienda ha bisogno di sapere come saranno accolti dal consumatore, o se hanno la necessità di strumenti utili a interpretare i bisogni e le aspettative dei diversi stakeholders: quindi è essenziale partire dall’inizio con la collaborazione dell’area della comunicazione.


D. Nella pratica, quanto è ascoltato un responsabile della comunicazione?


R. Nelle grandi aziende è molto ascoltato. Esiste ancora un gap nella piccola e media impresa e nelle istituzioni. Nel primo caso pesano le dimensioni e in parte una cultura non ancora matura nel dotarsi di una struttura di comunicazione professionale. Nelle istituzioni, il ruolo del comunicatore si deve ancora affermare in pieno, nella sua capacità di visione strategica, e spesso si limita alla figura del portavoce o dell’addetto stampa.
Le relazioni con i media rimangono senz’altro centrali ma occorre promuovere una figura professionale con competenze nel campo pubblicitario, nel marketing territoriale, nella promozione dell’immagine.


D. Nell’Enel lei ha posto sotto un’unica direzione le attività di comunicazione. Perché?


R. E’ un orientamento comune a molte aziende. In Enel, abbiamo messo insieme tutte le leve della comunicazione e delle relazioni esterne, per cui all’interno di un’unica direzione vi sono le relazioni istituzionali, ma anche la pubblicità, i rapporti con i media, le sponsorizzazioni.
Questa integrazione consente di calibrare tutte le leve disponibili e di coordinare i diversi strumenti a disposizione, rendendo più efficace e più coerente la comunicazione dell’azienda verso l’esterno, con le stesse persone che informano tutti i “pubblici di riferimento”, dagli esponenti politivi agli utenti, con modalità e strumenti molto diversi, ma con una strategia e un messaggio che vanno nella stessa direzione.


D. Come è il rapporto tra comunicatori e giornalisti?


R. E’ un rapporto buono, velato da una certa diffidenza. Uno non può fare a meno dell’altro: il comunicatore ha bisogno del giornalista per promuovere le proprie iniziative, e il giornalista del comunicatore per ottenere informazioni. La diffidenza nasce dal fatto che il comunicatore ritiene il giornalista il terminale non esclusivo del messaggio che vuole promuovere, e il giornalista vede nel comunicatore qualcuno che promuove in modo non oggettivo gli interessi della sua azienda o di un’istituzione.


D. Quali cambiamenti comporta la diffusione dei nuovi media?


R. Siamo di fronte a due fenomeni nuovi. Il primo riguarda la moltiplicazione degli strumenti e la nascita vorticosa di nuovi luoghi nella rete, in cui si diffonde l’informazione: dai “social network” ai giornali on line, dai “blog” ai “news group”.
L’altro è relativo all’auto-costruzione dell’informazione: molti cittadini, soli o organizzati, producono informazione diretta e senza filtri, e la trasmettono attraverso nuove tecnologie facilmente adoperabili.


D. In presenza di tutti questi cambiamenti, quale atteggiamento dovrebbe essere assunto da un’azienda?


R. Deve imparare a usare anch’essa questi canali, trasferendovi parte della propria comunicazione verso l’esterno. L’Enel, ad esempio, ha dei canali su “You Tube”, diffonde informazione tramite i social network, invia i propri comunicati on line, affiancando a una comunicazione trasmessa tramite i media tradizionali una relazione informativa e pubblicitaria, tramite internet.
Inoltre l’uso della rete impone e offre alle aziende nuovi metodi per raccogliere feedback e informazioni sulla propria reputazione.


In generale, tutte le grandi aziende si stanno attrezzando per verificare i dibattiti su internet relativi ai propri prodotti e al proprio operato, ma anche per diffondere un’informazione parallela capace di convincere le persone che si aggiornano con internet. È indubbio che nei prossimi anni nella rete transiterà gran parte della capacità di fare opinione.
Nel 2009 si stima che la pubblicità on line aumenterà del 10.5 per cento, mentre le inserzioni e gli spot registreranno un calo del 21 per cento nei giornali, del 10 per cento nella televisione generalista e satellitare, del 9 per cento nelle radio, del 13 per cento nelle affissioni.


D. La realizzazione di nuove infrastrutture ha spesso innescato fenomeni di opposizione locale. Cosa è cambiato localmente?


R. Non esiste più un unico referente con il quale confrontarsi. Le istituzioni non sono più l’unico interlocutore nei progetti relativi a una nuova opera; a loro si affiancano le associazioni ambientaliste, quelle dei consumatori, i comitati spontanei dei cittadini e altre organizzazioni in grado di coalizzare le posizioni di diversi gruppi di persone.
Questo ha imposto alle aziende da una lato una migliore conoscenza del territorio, attraverso ricerche e analisi in grado di interpretare le aspettative dei gruppi sociali presenti localmente – i medici, i professionisti, gli studenti, le casalinghe – rispetto a un’infrastruttura.


Dall’altro, obbliga le imprese ad interloquire con i cittadini, affiancando alla comunicazione verso le istituzioni il dialogo diretto con le persone. Nel caso di Civitavecchia, dove l’Enel ha costruito una centrale a carbone pulito, abbiamo parlato per anni nella fase di progettazione e di autorizzazione dell’impianto direttamente ai cittadini, con newsletter, convegni, presentazioni del progetto, stand informativi, aree di “relazione” che non si sostituiscono al colloquio con le istituzioni, ma lo completano.


D. Cosa non ha funzionato in Campania, dove la costruzione dell’inceneritore è stata a lungo osteggiata?


R. Svolto in maniera professionale, il dialogo con le organizzazioni locali funziona, perché la prima esigenza del cittadino non è essere antagonista a tutti i costi, ma piuttosto essere informato e capire vantaggi e rischi di un’infrastruttura. A me sembra invece, che a Napoli questo lavoro non sia stato fatto. Le persone non sono state informate in modo adeguato sui rischi che correvano senza termovalorizzatori, continuando a usare le discariche anziché trasformare il rifiuto in un prodotto di qualità in grado di produrre energia. Impianti del genere sono funzionanti in tutta Europa, ne esiste addirittura uno nel centro di Vienna.


D. Esistono rischi concreti che la comunicazione possa finire per stravolgere il senso di ciò che si comunica?


R. Una comunicazione che strumentalizza le informazioni trasmesse può riuscire una volta, ma non si possono raggirare le persone all’infinito. Così si brucia la credibilità che è il patrimonio di un professionista o di un’impresa. Piuttosto mi sembra che il problema sia un altro: in Italia vi è poca fiducia nella comunicazione scientifica.
Nel caso del fenomeno denominato Nimby si è giunti a stravolgere il rapporto di credibilità tra esperti e cittadini, anche a causa di uno squilibrio di fiducia che dà più risalto alle opinioni personali piuttosto che alle posizione di scienziati ed esperti. Il fenomeno poi viene spesso amplificato dai media. È un problema legato alla prevalenza della cultura umanistica del nostro Paese e allo scarso investimento nelle materie scientifiche dell’Università.


D. Cosa si può fare per risolvere questo deficit di cultura scientifica?


R. Enel sta lavorando molto con le scuole, dalle elementari alle superiori, per spiegare cos’è l’energia, quali sono le tecniche per produrre elettricità, quali sono gli effetti sull’ambiente e quali gli strumenti per garantirne il rispetto.
Play Energy è il progetto scolastico più grande in Italia e tra i maggiori nel mondo, con oltre 500 mila studenti coinvolti in 11 Paese, dall’America Latina alla Russia. L’obiettivo del progetto è accrescere la consapevolezza dei cittadini, dando loro gli strumenti per capire il tema dell’energia partendo da basi scientifiche e non da posizioni ideologiche.


D. Che può fare la Ferpi per accrescere la professionalità dei comunicatori?


R. La Ferpi, che compirà quarant’anni nel 2010, ha avuto ed ha ancora il compito di legittimare il ruolo del comunicatore nella società e nelle organizzazioni. Ovviamente, lo facciamo in vari modi: attraverso la formazione e l’aggiornamento continuo dei nostri soci, confrontandoci con le altre organizzazioni di comunicatori, sia italiane che estere.


Tra l’altro, il riconoscimento alla Ferpi da parte del Ministero della Giustizia darà più forza a questo lavoro: alla conclusione del processo, Ferpi risulterà iscritta ad un elenco ufficiale, depositato appunto presso il Ministero, che certificherà il rispetto di una serie di requisiti all’interno dell’Associazione, convalidando dunque la professionalità degli iscritti. Il riconoscimento consentirà ai comunicatori di ricevere nello stesso tempo la legittimità istituzionale, oltre a quella derivante dalle proprie competenze, e obbligherà Ferpi ad intensificare le proprie attività.


D. Lei è stato eletto, per la seconda volta, presidente della Federazione. Su quali proposte ha ottenuto la rielezione?


R. Le proposte, formulate nell’assemblea di giugno, puntano a far diventare la Ferpi sempre più rappresentativa e presente nel settore, perché è vero che oggi è un riferimento per i comunicatori, è la prima associazione in Italia, ma rappresenta una percentuale ancora troppo bassa degli operatori. Vi è molto lavoro da fare per iscrivere e accreditare persone che lavorano nella comunicazione in vari ambiti e con competenze diverse.


E ancora: vogliamo moltiplicare gli sforzi nelle regioni, consentendo ai ostri rappresentanti di sviluppare incontri di aggiornamento per professionalizzare gli addetti di piccole aziende e delle istituzioni, consentendo di accrescerne il bagaglio culturale e le competenze. Lavoreremo infine per sostenere i giovani nell’inserimento nel modno della professione, e per anticipare, studiare e proporre ai nostri soci le evoluzioni della comunicazione in termini di strumenti e modalità operative.


D. Quale ruolo ha la Ferpi nelle organizzazioni internazionali del settore?


R. E’ tra le più attive nella rete di organizzazioni internazionali, con colleghi italiani che ricoprono incarichi di rilievo e garantiscono contatti con molte associazioni internazionali: dalle Cerp a Euprera, dalla Global Alliance all’Ipra. Anche se i comunicatori professionisti italiani non sono secondi a nessuno per qualità e esperienza, il confronto continuo con colleghi di altri Paesi rappresenta una risorsa importante per la crescita della nostra professione, attraverso l’apporto di esperienze concrete e best practices.


tratto da Specchio Economico – settembre 2009
Eventi