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Comunicazione e politica: quando la forma prevale sulle idee

21/03/2006

Editoriale di Andrea Prandi, presidente FERPI.

La politica è come il calcio, la grande passione nazionale. L'impressione è che anche la comunicazione lo stia diventando. Come professionisti dovremmo esserne lieti. Un leader si giudica per come sa comunicare, un buon impiegato per le sua capacità di relazionarsi all'interno dell'organizzazione, un buon calciatore non solo per il dribbling ma anche per quello che dice fuori dal campo. Persino le miss non vengono più giudicate per le misure ma per come parlano. Si moltiplicano quindi i corsi e le Università si riempiono di futuri comunicatori.
Dovremmo esserne felici, ma anche un po' preoccupati. Sì perché quello che a noi dovrebbe interessare di più sono i contenuti e non la forma e invece quello che emerge è spesso una grande superficialità e una certa povertà di idee. Vediamo, soprattutto in TV, un grande desiderio di apparire, più che di comunicare, di piacere più che di spiegare, di parlare più che dire. Lo vediamo anche in politica: battutine, sorrisi studiati a tavolino, slogan di poco spessore, provocazioni, frasi fatte. A suon di studiare le strategie di comunicazione dei superesperti, esercitarsi e riesercitarsi a dire la cosa giusta per il "target", i leader politici finiscono per perdere la loro naturalezza e dire la cosa sbagliata nel modo sbagliato. 
Con questo non voglio dire che il nostro lavoro sia controproducente. Anzi. Sostengo che sia giusto che le Università insegnino le tecniche della comunicazione d'impresa, che i politici si preparino a parlare in modo comprensibile per il pubblico, che le aziende comprendano l'importanza del loro modo di comunicare con gli stakeholder e ritengo che sia utile che anche il pubblico impari i fondamenti della comunicazione per difendersi dalla cattiva informazione e far sentire di più la propria voce, anche attraverso i blog e le chat, sfruttando a pieno i vantaggi della tecnologia e della democrazia.
Dico solo che non si deve perdere il senso della misura. Siamo al punto in cui non ci sono più buoni cantanti perché le case discografiche prima costruiscono il personaggio e poi si preoccupano delle canzoni. E gli artisti bravi sono solo quelli che riescono a far parlare di sé e non quelli che fanno ricerca e dedicano la loro vita alla loro passione per l'arte senza avere una cerchia di amici giornalisti o galleristi. Chi se ne frega dei sondaggi e del fatto che si guardi nella telecamera giusta. Dove sono le idee, dov'è la passione, dove sono i valori?
Almeno quando si sceglie chi dovrà governare il Paese vorrei che si decidesse sulla sostanza e non sullo stile di comunicazione e invece i commenti degli esperti nel dopo faccia a faccia Berlusconi-Prodi erano tutti sulla superficie: "Berlusconi guardava la telecamera sbagliata, parlava con la penna, era nervoso; sulle donne poteva usare meglio le sue doti da seduttore; Prodi è partito lento, poi ha attaccato come doveva fare, e ha tentato di dare alla gente il sogno: una bella trovata quella della felicità; il suo sorriso era un po' finto però". Se questi commenti li avesse fatti un tecnico, che so, Toni Muzi Falconi, la cosa mi sarebbe parsa normale. La cosa incredibile, invece, è che Toni Muzi Falconi, sul nostro sito, invece di fare quello che forse avrebbe fatto bene a fare, cioè un commento tecnico su un sito specialistico (quello della nostra associazione), ha sprecato un'opportunità e si è lasciato andare a commenti politici di parte (che naturalmente sono poco opportuni su un sito specialistico che dovrebbe essere non schierato e che, finché io sarò Presidente, resterà non schierato).
Ma dai commentatori politici di professione mi sarei aspettato un'analisi meno superficiale, meno da bar. Invece in TV niente e sui quotidiani poco. Quanto sono distanti le lucide analisi di Indro Montanelli, quel suo stile pungente ma educato, deciso ma profondo, basato non sulle impressioni di un momento ma sulla approfondita conoscenza della storia. Ora qualcuno dirà che anche lui non era uno stinco di santo. Non credo che lui abbia mai professato di essere un santo, ma il suo stile era unico.
Oggi invece rischiamo che un politico non sia molto diverso da un cantante e persino che un giornalista sia bravo non perché scrive bene ma perché in tv parla più forte degli altri. Lo dico a noi comunicatori: non creiamo dei mostri o delle caricature. Usiamo la nostra tecnica per valorizzare ciò che ha valore. Aiutiamo chi ha cose da dire a farlo nel modo giusto, ma senza forzare troppo la personalità e i valori del politico o del capoazienda. Un avvocato difensore di successo accetta di difendere qualcuno solo se è convinto della strategia difensiva. Non costruiamo delle persone finte.
Mi auguro sempre che a prevalere, anche in questa campagna elettorale, sia chi ha il messaggio più credibile. Ma tra luci e lustrini dove è il messaggio? Per questo, le regole decise per il confronto tra i due leader mi sembrano funzionare, almeno togliendo un po' di lustrini per dare spazio ai contenuti. A Fiorello non piace il contatempo. Si dia pace: lo spettacolo tornerà presto e al bar continueremo a parlare per un po' di politica, calcio e belle donne.
Non di comunicazione, per favore!
Andrea Prandi
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