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Corporate Communication e Relazioni Pubbliche: 10 ragioni per leggerlo

26/11/2020

Giancarlo Panico

Dieci ragioni per cui leggere la nuova edizione del manuale dedicato alla Corporate Communication e Relazioni Pubbliche di Invernizzi e Romenti. L'opinione di Giancarlo Panico.

Cosa sono le relazioni pubbliche oggi in Italia? E soprattutto come sono cambiate nel corso dei terrible ten, i primi due decenni degli anni 2000? Se volete avere un quadro esaustivo, ma anche uno sguardo sul futuro, comprate subito la nuova edizione del manuale di Corporate Communication e Relazioni Pubbliche di Emanuele Invernizzi e Stefania Romenti (Mc Graw Hill, 2020) e mettetevi a leggerlo. È un documento di altissimo valore per chi fa il nostro lavoro per ben dieci ragioni. La prima e più importante è il framework in cui si collocano oggi le RP e la professione. Dal libro, infatti, emerge con chiarezza come la cornice di riferimento sia radicalmente cambiata ed è quella della corporate communication, dichiarata sin dal titolo. La prima grande novità del volume (non da poco) è nella copertina: non più relazioni pubbliche e corporate communication ma l’inverso.

La corporate communication (quella che in Italia chiamiamo comunicazione istituzionale) è ‘costituita’ dalle relazioni pubbliche! Come, peraltro, precisa sin dalle prime pagine Emanuele Invernizzi: “i termini relazioni pubbliche e corporate communication sono sinonimi” anche se in realtà “a livello teorico-concettuale esistono alcune specificità”.

Dal lavoro di Invernizzi e Romenti, che in apparenza sembra un aggiornamento della precedente edizione, emerge chiaramente che le relazioni pubbliche non sono (più) uno strumento tra gli altri ma sono diventate un elemento costitutivo dell’organizzazione al pari del capitale, delle risorse umane, delle macchine per la produzione. Una tesi avanzata per primo da Mervyn King nel suo 3° Report sulla governance (Codice Edizioni 2009) che nel nostro Paese ha faticato ad affermarsi ma su cui la Ferpi ha dato un contributo rilevante anche attraverso la voce e l’impegno di alcuni autorevoli professionisti.

Semmai qualcuno avesse ancora dubbi (in verità c’è ancora molta confusione e - purtroppo - non solo tra tantissimi professionisti ma anche a livello accademico) questo manuale chiarisce una volta e per tutte che senza le relazioni pubbliche non si va da nessuna parte!!! … e lo argomenta in modo esaustivo, rigoroso e scientifico con una bibliografia mai realizzata in Italia che per me è la seconda ragione per cui val la pena di acquistare e leggere il Manuale.

Inverizzi e Romenti supportati dai contributi di 12 autorevoli colleghi, tra professionisti e accademici, ci guidano, attraverso le quasi 400 pagine del testo, a comprendere l’evoluzione delle relazioni pubbliche e della corporate communication. Un volume immancabile nella biblioteca di qualsiasi professionista che si interessa di comunicazione. Attraverso la lettura dei 9 capitoli in cui è articolato il libro e degli argomenti trattati, gli autori e i curatori ci aiutato a comprendere perché le relazioni pubbliche sono il vero driver dell’agire organizzativo e, pagina dopo pagina, perché in questi anni si è compiuta quella rivoluzione della comunicazione di cui James Grunig è stato il precursore. A lui e ai tanti colleghi che in Italia gli hanno dato voce, anche attraverso l’azione e gli owen media di Ferpi,  dobbiamo molto se oggi la corporate communication e le relazioni pubbliche sono considerate una funzione strategica e manageriale e non più solo una funzione strumentale, e se i professionisti che ne sono responsabili nelle organizzazioni sono parte integrante della coalizione dominante (il board dei direttori). Così come dobbiamo essere grati a Ferpi e chi l’ha guidata negli ultimi vent’anni perché ha dato spazio alla cosiddetta tematizzazione e a un vivace dibattito e confronto professionale che ha consentito prima alle relazioni pubbliche e più recentemente alla corporate communication di avere una community di riferimento che ne promuovesse i contenuti e la professione, elemento indispensabile allo sviluppo della disciplina.

Dalla lettura del libro, dunque, sin dal primo capitolo, firmato proprio dai due curatori, si comprende che è cambiata completamente la prospettiva in cui si muovono le RP. Finalmente vengono riconosciute come funzione economica e organizzativa (tesi sostenuta per la prima volta in Italia proprio da Invernizzi nel 2000 col suo libro ‘La comunicazione organizzativa’) e non più solo sociologica - il peccato originale del mancato sviluppo delle RP e della Comunicazione istituzionale in Italia - e ancor di più una disciplina scientifica al pari di tutta l’area della comunicazione. Pensate, solo per fare un esempio, al valore della capitalizzazione di Facebook. Di cosa sono fatti i 630 miliardi a cui è arrivata la società fondata da Mark Zuckemberg? Relazioni! Ma la lista potrebbe essere veramente lunga. La network society teorizzata da Manuel Castells o la network economy se preferite, sono public relations based! Ma ciò può essere riconosciuto solo se si riconoscono le RP come una disciplina scientifica di natura economica, cosa che dal Manuale emerge con forza! E questa è la terza ragione per cui leggerlo.

La quarta ragione è l’importanza storica di questo testo. Giunto alla 4a edizione il Manuale in questi anni ha raccontato, precorso e – non esagero – indotto una riflessione sull’evoluzione delle relazioni pubbliche. Ricordo come fosse ieri l’uscita della prima edizione, nell’aprile 2001, che metteva ordine per la prima volta e con un approccio accademico nella disciplina, rappresentando per tutti noi il primo vero grande riferimento di una professione spesso ai più sconosciuta. Erano gli anni in cui la Ferpi era impegnata nella battaglia terminologica e di contenuto sulla vera natura delle RP che come purtroppo accade ancora oggi vengono indicate “pubbliche relazioni”.

Delle RP non se ne può più fare a meno! Altro che “strumento del marketing” o “cura dell’immagine” come hanno voluto farci credere per decenni i colleghi del marketing, i sociologi e i giornalisti più ortodossi! Il vero segreto del successo di un’organizzazione sta e starà sempre di più nel governo delle relazioni teorizzato in Italia proprio da Toni Muzi Falconi. Ma se le relazioni pubbliche oggi sono una disciplina scientifica lo dobbiamo a Emanuele Invernizzi e a tutti quei colleghi che si sono adoperati di portare tra non poche difficoltà le RP nelle università e nelle business school. E questo - non me ne vogliano altri colleghi docenti - è l’unico testo accademico (nell’accezione migliore di questo termine) sulle relazioni pubbliche (la quinta ragione).

La sesta ragione è l’aspetto editoriale: il linguaggio, l’organizzazione del contenuto, gli autori. Non è il solito manuale universitario perché è scritto in un linguaggio immediato e divulgativo, alla portata di tutti con esempi pratici sui contenuti presentati e con ampi rimandi all’evoluzione storica, al ruolo e al contesto professionale. Una caratteristica del Manuale di Invernizzi e Romenti è stata sin dalla prima edizione la coralità.  Un motivo per cui leggerlo è, senza dubbio, anche per questa edizione l’autorevolezza degli autori che hanno peraltro tutti la caratteristica di essere accademici con esperienza professionale o professionisti con esperienza accademica. Non voglio far torto a nessuno e quindi li cito tutti: Giampaolo Azzoni, Matteo Barone, Silvia Biraghi, Vittorio Cino, Daniele Comboni, Renato Fiocca, Rossella Gambetti, Alessandro Iozzia, Grazia Murtarelli, Mirko Olivieri, Chiara Valentini.

Le relazioni pubbliche hanno iniziato ad essere riconosciute come disciplina scientifica quando si è capito che si potevano misurare e valutarne gli effetti. E questo lo dobbiamo a Stefania Romenti e chi l’ha sostenuta, non solo in ambito accademico, come Ferpi che istituì una borsa di ricerca sul tema. Nel capitolo sulla valutazione e misurazione dei risultati, che è la settima ragione per cui leggere il libro, troverete le motivazioni che danno valore alle relazioni pubbliche e al nostro lavoro. Il capitolo – un piccolo libro nel libro – è un viaggio nell’evoluzione delle RP che fa comprendere la portata dell’impatto sociale di quello che facciamo quando progettiamo, sviluppiamo e governiamo relazioni e quanto sia importante, oggi più che mai, poter valutare e misurare le attività di comunicazione con i pubblici. La recente elezione di Stefania al vertice di Euprera è l’indicatore di quanto il lavoro sviluppato in Italia sulla misurazione delle RP sia importante e di quanto abbia contribuito all’affermarsi della scuola italiana a livello internazionale.

L’ottava ragione è una scelta di fondo del Manuale e cioè quella di dedicare ampio spazio all’etica nella professione e porla come base di tutto l’impianto editoriale. Istintivamente, a una prima veloce visione dell’articolazione dei contenuti, l’avrei messa come ultimo capitolo, quasi a sigillo del percorso di lettura. Ma poi, pensandoci bene, credo che debba essere collocata proprio all’inizio, per inquadrare meglio il senso ultimo delle relazioni pubbliche. Mai come in questo periodo storico in cui abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a un uso distorto delle RP (valgano per tutti il caso Cambridge Analitica o il più recente caso Becciu) protagoniste di una battaglia senza campo tra organizzazioni per quel potere che Castells (ancora lui) indica come il “processo più fondamentale nella società”. Quell’etica di cui la Ferpi fu la prima a porre la questione nel 2005 con un testo di Florence Castiglioni che è e sarà sempre di più la issue dominante del nostro lavoro, come emerge chiaramente dal capitolo firmato da Giampaolo Azzoni che ci porta a comprenderne la portata prendendoci per mano.

La nona ragione ha a che fare con un tema divenuto centrale per il nostro lavoro quotidiano e la nostra professione: la creazione e cura dei contenuti! Non me ne vogliano autorevoli amici e colleghi che per primi e con ottimi testi hanno dato un contributo importante a questo tema, ma il capitolo firmato da Grazia Murtarelli e Mirko Olivieri è un piccolo capolavoro. Le relazioni pubbliche, che contribuiscono in maniera determinante alla narrazione, hanno poco senso se, a loro volta, non sono inserite in una narrazione complessiva. Usciamo da un’epoca fortemente caratterizzata dallo storytelling in cui molti degli sforzi messi in campo dai comunicatori sono stati nella direzione di concorrere alla narrazione di un’organizzazione, un brand, un prodotto, un servizio o un politico per aumentarne il consenso e rafforzarne la reputazione che ha generato quelle che Andrea Fontana ha chiamato story wars. Oggi questo aspetto è diventato discriminante per il successo delle RP, anche grazie ai potenti strumenti di monitoraggio del web e delle conversazioni che ci forniscono elementi e dati fondamentali per la creazione e la cura dei contenuti.

L’ultima ragione, collegata alla precedente, ha a che fare con la sfida delle sfide dei nostri giorni: l’acquisizione, la gestione e l’uso delle informazioni e dei dati che veicolano le relazioni pubbliche. E, dunque, anche con la loro sostenibilità. Si, perché anche le RP devono essere sostenibili! Le nostre attività, infatti, partono dall’acquisizione e sono finalizzate a generare dati e informazioni che hanno degli effetti sui comportamenti. Secondo il fisico americano Alex Pentland “Una delle trasformazioni speculative più profonde sarà il passaggio dalla domanda ‘Quali fatti?’ alla domanda ‘Quali le conseguenze?’”. Ci aspetta una rivoluzione copernicana della nostra professione di cui già iniziamo a vedere i primi segnali. Se vogliamo farci trovare pronti all’appuntamento con il futuro il manuale Corporate Communication e Relazioni Pubbliche di Invernizzi e Romenti è un buon punto di partenza.

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