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Dilemmi partecipativi nella vita della Ferpi

30/04/2009

Come coinvolgere gli indifferenti; come non demotivare gli attivisti. Appunti di Giampietro Vecchiato, Vice Presidente FERPI.

Stavo scrivendo questi appunti in vista di un mio intervento all’Assemblea del 12 giugno 2009. Dopo la presentazione dei due documenti elettorali – e la pubblicazione dei primi commenti – ho deciso di anticiparne la pubblicazione aggiungendovi delle note in corsivo “a caldo”. Il tutto a testimonianza del mio grande affetto e attaccamento alla FERPI e a tutti i colleghi che ne fanno parte.


1. La mobilitazione per il perseguimento di interessi comuni (creazione di una comunità professionale; attività di lobby) solleva diversi dilemmi partecipativi, soprattutto nelle associazioni professionali “non obbligatorie” (come FERPI) e, generalmente, nel mondo associativo.


2. Le persone fanno infatti fatica a convincersi del fatto che il contributo del singolo (o la sua astensione) può modificare lo stato delle cose in un senso o nell’altro.


3. Tale percezione è tanto più forte quanto più ampia e complessa è la questione da affrontare e quanto il cambiamento (da quanti anni cerchiamo il riconoscimento professionale?) richiede l’azione e la partecipazione di diversi attori.


4. Quanto più la questione è “ampia” tanto più insignificante e poco utile può apparire il contributo personale.


5. Va precisato che chi non partecipa (e sono la grande maggioranza!) non può comunque essere escluso dalla fruizione degli eventuali benefici ottenuti: per motivi di equità, per motivi di trasparenza, per democrazia interna, per il contributo di risorse (umane ed economiche) che ogni attore può portare.


6. Da un punto di vista logico-razionale si può sostenere che non c’è un buon motivo per partecipare alla vita di un associazione professionale, se si possono evitare costi e ottenere benefici attraverso il lavoro degli altri! Perché “pagare”, perché impegnare tempo e risorse, se si possono ottenere gli stessi obiettivi gratis e rimanendo concentrati sulla propria attività imprenditoriale e/o lavoro dipendente?


7. Il senso di sfruttamento (e/o la scarsa valorizzazione) provato dai volontari che si sobbarcano tutto il lavoro (penso al grande lavoro fatto in questi anni dai Responsabili delle Delegazioni Territoriali e, ne cito uno per tutti, dall’amico Giancarlo Panico) rappresenta un ulteriore disincentivo al coinvolgimento e alla partecipazione. Anche gli attivisti possono provare un senso di ingiustizia soprattutto quando si sobbarcano una quantità di lavoro sproporzionata senza poter ricevere maggiori benefici o addirittura si può essere accusati di ricercare “vantaggi personali” innominabili.


8. Tra le ragioni che spingono le persone a partecipare ad un’associazione professionale e quindi ad un’azione collettiva, troviamo:


a) ritenere che “il loro contributo aumenti le possibilità di raggiungere gli obiettivi del gruppo” (grazie Gianpaolo Pinton, grazie Alessandra Veronese);
b) credere di “poter fare la differenza” (e l’Oscar di Bilancio ottimamente gestito da Gherarda Guastalla Lucchini per conto di FERPI sicuramente la fa!);
c) essere convinti che “avranno più vantaggi dalla partecipazione alla vita associativa piuttosto che restando inattivi” (grazie Giorgio Opisso);
d) pensare che “se contribuiranno a migliorare le condizioni generali, queste non miglioreranno e potranno persino andare peggio”.


9. Le persone positive (e sono tanti i colleghi sparsi per l’Italia che hanno contribuito al lavoro comune) ed efficaci ritengono quindi di poter contribuire direttamente e personalmente all’azione collettiva e al cambiamento delle condizioni generali in cui le organizzazioni agiscono.


10. Altri elementi che favoriscono l’azione comune e la partecipazione (grazie per il tuo lavoro Giuliano Bianucci) sono la convergenza di interessi personali su obiettivi comuni e la convinzione che essere in molti aumenti la fiducia nella possibilità di ottenere benefici, con conseguente riduzione dei costi personali.


11. Le motivazioni alla partecipazione non sono solo di tipo “materiale”: anche l’autostima, il senso di giustizia, l’autoregolazione, svolgono un ruolo importante nella funzione motivazionale (giusto Mariapaola La Caria?)


12. Molte persone migliorano la propria autostima quando si battono per il cambiamento, per una causa che ritengono superiore, per i propri valori etici (sono certo della vostra condivisione, care Nicoletta Cerana e Rossella Sobrero). La passività rispetto agli eventi esterni può infatti mettere a repentaglio la propria autovalutazione.


13. Battersi per il prestigio e la professionalità di un’associazione professionale (penso al lavoro, tra gli altri, di Emanuele Invernizzi e di Stefania Romenti e al gruppo della Consulta Education) cercando di rafforzare il ruolo e la funzione dei volontari, dei riformatori e degli innovatori, porta quindi ad una migliore considerazione di sé.


14. In genere, le persone che si attivano per il cambiamento sviluppano stretti legami interpersonali, collaborano e si aiutano vicendevolmente (grazie amico Toni Muzi Falconi, per la Tua grande disponibilità e per tutto quello che hai fatto e farai per la Ferpi e la professione!). Anche questo aspetto può fornire un incentivo alla partecipazione e può agire come antidoto all’immobilismo e all’indifferenza.


15. Quanto più il benessere e il senso di identità di un professionista (penso all’ottimo lavoro di Fabio Bistoncinin per il riconoscimento professionale e di tutta la CASP per l’aggiornamento professionale) sono legati al successo del gruppo sociale di appartenenza, tanto più forte sarà l’impegno personale nell’associazione ma anche nella collaborazione reciproca (mutua assistenza).


16. Gli incentivi sociali e la stima di sé sembrano essere la fonte dell’impegno personale e il sostegno necessario nel cammino verso l’innovazione ed il cambiamento. A questi sentimenti va aggiunta una visione positiva della vita (condividi cara Celeste Bertolini?) e, soprattutto, dell’azione individuale e collettiva (giusto amico Antonio Riva?). La maggioranza delle persone rifuggono dall’azione collettiva e dall’impegno non perché possono fruire comunque dei vantaggi creati dagli innovatori senza farsi carico dei costi della partecipazione, ma perché dubitano (quanti sono i soci incerti e pieni di dubbi? Grazie Mario Rodriguez per il tuo continuo interrogarti e interrogarci su “che cosa vogliono i soci”) che il gruppo possa raggiungere risultati positivi.


17. Il rischio di insuccesso, il pessimismo, la fatica e lo stress per un impegno prolungato e spesso non riconosciuto (se non addirittura osteggiato) indeboliscono quindi il senso dell’efficacia collettiva (la velocità collettiva viene spesso determinata da chi rema contro!). Al contrario la fiducia (grazie a Roberto Antonucci e all’ottimo lavoro della CAV) nell’efficacia collettiva porta le persone a ritenere che sia sufficiente l’impegno di poche persone fortemente motivate per mettere in moto azioni di cambiamento atte a migliorare la situazione.


18. Gli innovatori (e penso al contributo portato dalle new entry Attilio De Pascalis, Paolo Iammatteo, Dina Zanieri, Simonetta Pattuglia, Fabio Ventoruzzo, Eva Jannotti, Patrizia Cavalletti, Alessandro Bertin, Filippo Bertacchini e tanti altri) sono la forza propulsiva del cambiamento e la fiducia di poter migliorare lo status quo e la collaborazione/sostegno reciproco li protegge dal virus dello scoraggiamento e dalla resa (grazie Gianluca, amico e Presidente!)


19. Il buon funzionamento del gruppo dirigente (sempre amorevolmente sostenuto da Florence Castiglioni e affiancato da Attilio Consonni) crea un potenziale che va oltre la semplice somma delle singole motivazioni e capacità individuali.


20. Considerazioni conclusive:



le sfide poste da un mercato sempre più complesso, globale e ipercompetitivo richiedono un forte impegno di tutti gli attori (quantomeno di tutti quelli che ne hanno voglia!) nella collaborazione;
la forza di FERPI sta nella fiducia condivisa di poter fare qualcosa per contribuire a migliorare la situazione generale e diffondere la cultura della comunicazione;
il perseguimento degli interessi comuni richiede l’azione di un gruppo volontario di innovatori, fortemente coeso e motivato;
questo gruppo non si impegna per altruismo, per masochismo, per ambizione personale, ma per un mix di fattori, personali e collettivi, che li porta ad agire per non subire passivamente l’evoluzione normativa, i cambiamenti nel contesto e nell’ambiente di riferimento (condividi caro Giancarlo Panico?);
le motivazioni individuali e del “gruppo trainante” non sono trasferibili automaticamente a tutti gli altri componenti: è improbabile incontrare una completa uniformità di interessi, di aspettative, di impegno personale;
è però necessario fare uno sforzo costante per rendere evidenti e comprensibili i benefici derivanti dall’appartenenza e dall’impegno personale;
le organizzazioni innovano più facilmente e più rapidamente se, invece di criticare l’inefficienza o l’inerzia di alcuni, premiano la partecipazione e si valorizza il contributo personale di ognuno;
in altre parole: i pionieri vanno valorizzati, i ritardatari vanno incoraggiati;
chi paga “solamente” la quota annuale di adesione non va né demonizzato né dimenticato: va incoraggiato e tenuto costantemente informato delle attività e dei successi dell’organizzazione;
valori morali (individuali) ed etici (di gruppo), espliciti e condivisi, favoriscono la partecipazione e l’assunzione di responsabilità;
più la nostra associazione sarà compatta, aperta al cambiamento e al contributo di tutti, maggiore sarà sia la partecipazione che il contributo personale dei singoli associati (intesa come possibilità di poter incidere sui processi decisionali e di governo);
è necessario – per una efficace comunicazione interna – individuare obiettivi chiari, espliciti, tangibili, raggiungibili, misurabili e condivisi per poter contare sulla massima partecipazione (in questa direzione credo che il programma che ha come primi firmatari Gianluca Comin ed il sottoscritto sia un’importante contributo);
l’accettazione del cambiamento e dell’innovazione è lenta perché le persone sono abitudinarie, diffidenti, apprensive;
è difficile mantenere alto l’impegno degli associati se lo statuto ed i regolamenti ostacolano il cambiamento o fanno passare in secondo piano il ruolo del singolo (caro Fabio Bistoncini perché non rendi pubblica fin da subito la tua mozione per la modifica dello statuto?);
ma nonostante l’organizzazione adotti e incentivi la partecipazione come stile della propria governance e per concretizzare la propria vision, una parte consistente dei suoi soci rimarrà inattiva o indifferente (è un peccato, ma dobbiamo rassegnarci!);
una buona comunicazione interna favorisce la fiducia, la relazione, la partecipazione e la condivisione di strategie e obiettivi;
è necessario far comprendere chiaramente a tutti i soci – sia attuali che potenziali – qual é lo svantaggio (o perdita) conseguente al mancato impegno e quali saranno invece i vantaggi futuri per aver aderito/contribuito oggi alla FERPI e al suo successo.
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