Ferpi: oltre la marginalità
06/04/2011
Un’altra voce va ad aggiungersi al coro dei soci che intervengono sul futuro della federazione in vista dell’assemblea elettiva. Contenuti e valore della professione al centro dell’intervento (ma forse ai margini della discussione) di _Mauro Del Corpo._
di Mauro Del Corpo
Agli inizi degli anni ’80 la M&C, Marketing Comunicazione, per la propria promozione utilizzò lo slogan “Pubblicità? No, grazie”. In quel periodo eravamo associati a Otep (l’attuale Unicom) che ci pose il divieto all’uso di quell’espressione perché equiparavamo i colleghi pubblicitari al nucleare o alla droga.
La sostanza, in realtà, era abbastanza banale: non tutto può essere ricondotto a un’unica modalità di comunicazione anche se il senso comune dei clienti tende a richiedere principalmente interventi di advertising. Per quanto ci riguarda, quel monito servì solo a rafforzare le nostre convinzioni.
Oggi, in occasione del dibattito interno alla Federazione su come migliorare ruoli, funzioni, organismi e altro ancora, ho l’impressione che siano rimasti ai margini contenuti e valore della professione.
Si parla poco di questo come se, risolti e definiti gli aspetti organizzativi, il mestiere del comunicatore acquisisse improvvisamente nuova vita e nuovi profili.
La mia presenza in Ferpi è abbastanza recente anche se, attraverso l’impegno nella Delegazione lombarda, ho avuto modo di pensare, promuovere e partecipare da anni alle attività riservate a iscritti e non. E per questo mi considero un socio fortunato.
La scorsa settimana ho partecipato all’iniziativa di presentazione e di ascolto della collega Patrizia Rutigliano, candidata alla Presidenza per i prossimi due anni, che ha risposto all’invito dei colleghi lombardi. Confesso di aver ricevuto una buona impressione dalla candidata, che non conoscevo, soprattutto per i toni usati e per il suo piglio deciso nella voglia di assumersi le necessarie e future responsabilità. Ora aspetto di conoscere le sue linee programmatiche per una valutazione più completa.
Contestualmente, gli interventi, tutti molto sereni e densi di contenuto, hanno affrontato quasi esclusivamente le modalità operative e organizzative degli ultimi anni con l’obbiettivo di suggerirne un miglioramento in chiave partecipativa. Si è parlato di Delegazioni e territorio, di proselitismo e fondi, di deleghe assunte e riscontro delle attività realizzate, di strumenti di comunicazione per migliorare la visibilità di Ferpi, di scambio di esperienze e così via.
Completamente assente dal dibattito una riflessione sulla professione e sul rapporto tra essa e la nostra Associazione. Devo aggiungere che anche i recenti interventi di discussione precongressuale sul nostro sito non sembrano uscire da questi contenuti.
Allora, che dire? O meglio, cosa vorrei chiedere al mio candidato ideale? Per essere chiaro fin da subito con tutti presenterò un esempio dal valore particolarmente corporativo.
Mi occupo di comunicazione sociale da più di 30 anni e, credo, con il mio partner Giuliano Bianucci, di essere tra i pochi a vantare una così consolidata esperienza nel lavoro con le Amministrazioni pubbliche.
Da sempre noi, come i nostri colleghi impegnati nello stesso settore, ci troviamo nell’impossibilità a partecipare a buona parte delle gare pubbliche per caratteristiche interne legate al fatturato o alle dimensioni aziendali, non per capacità progettuale e professionale.
Quando lo facciamo, siamo solitamente marginali alle grosse agenzie di pubblicità che ci accolgono nel gruppo di lavoro per occuparci di aspetti di secondo piano. Noi siamo quelli degli uffici stampa, dell’organizzazione degli eventi di presentazione, e di poco altro ancora. Attività, queste, degne di valore ma di contenuto prevalentemente esecutivo. Siamo regolarmente estranei alle strategie di comunicazione, all’analisi e selezione dei target, alla progettazione dei contenuti, alla scelta di strumenti e canali di veicolazione degli stessi. Non si capisce perché quando si lavora a un nuovo disegno di un territorio, l’attività di progettazione sia preliminare e separata dalle opere realizzative, mentre quando si affrontano le strategie di comunicazione, in funzione di indirizzi e obbiettivi politico-amministrativi ben precisi, tutto vada annacquato nella cosiddetta pubblicità.
Qui le cose sono due: o pensiamo di essere sostanzialmente marginali professionalmente e, allora, ci sta bene che le cose procedano in questo modo, oppure siamo certi che il nostro ruolo precede quello degli altri, e non solo nel settore pubblico, ed è fortemente riconducibile alle strategie e alla progettazione.
Analoga riflessione credo vada fatta a vantaggio di chi, tra noi soci, opera all’interno di un Ente o di un’azienda. Non solo avrebbe la possibilità di confrontarsi su un piano più adeguato al ruolo che si è costruito e che ricopre, ma le stesse proposte che riceverebbe sarebbero maggiori e certamente più vicine agli obbiettivi che intende perseguire.
Ecco allora cosa chiedo al mio candidato. Di inserire nel programma elementi che aiutino i soci a veder riconosciuto dalle aziende, pubbliche e private, il ruolo centrale e strategico delle Relazioni pubbliche nel mondo dei professionisti della comunicazione e di adoperarsi perché il “nostro mestiere” venga utilizzato per il valore intrinseco che contiene.
Forse allora non sarà più necessaria l’espressione “Pubblicità? No, grazie”.