Ferpi > News > Giustizia: quando l'opinione pubblica influenza i giudici e viceversa

Giustizia: quando l'opinione pubblica influenza i giudici e viceversa

25/10/2012

Le Litigation Pr, le attività di relazioni pubbliche che accompagnano le fasi di un processo, sono da anni una disciplina molto diffusa all’estero. La collaborazione tra professionisti della giurisprudenza e della comunicazione sembra invece ancora molto lontana dalla realtà italiana. Anche se un’intesa comune sarebbe auspicabile per il bene del Paese, come sostiene _Toni Muzi Falconi._

di Toni Muzi Falconi
I fatti, quelli che accadono ogni giorno e producono conseguenze sulle persone, appaiono sempre meno rilevanti in sé rispetto alla forza della loro comunicazione (con l’avanzare dei “toni di voce” e delle “emozioni” che vedono i relatori pubblici impegnati in esercizi sempre più frequenti di spin…). Si parla infatti sempre di più di storytelling. Privi di senso del ridicolo, pensiamo davvero che “raccontare storie” sia il nostro lavoro. Ma un percorso parallelo si è avviato da tempo anche rispetto ai processi penali e civili di qualche rilievo pubblico, dove le procedure tendono a prevalere sui fatti, al punto che non è raro sentire avvocati e procuratori dire “chi se ne importa dei fatti in un processo? L’importante è intervenire e piegare le procedure agli interessi rappresentati”.
Per ogni processo di qualche rilievo pubblico si apre, più o meno in contemporanea – ma obbedendo a tempi, fasi e impatti decisamente diversi – un duplice percorso alla cosiddetta ricerca della verità. Da un lato il processo tradizionale: quello che vede coinvolti imputati, giudici, procuratori e avvocati delle diverse parti. Dall’altro il processo delle opinioni pubblicate. Uso questo termine poiché è difficile oggi continuare a definirla opinione pubblica, come fosse uniforme (ammesso che lo sia mai stata).
Siamo in un contesto sociale “liquido” dove i pubblici si formano, si disfano e si riformano in continuazione, e dove i comportamenti dei singoli si distanziano sempre più dalle loro opinioni in assenza di punti di riferimento degni di fiducia e in presenza di un “twitterismo” costante e dilagante che soprattutto confonde le idee.
Questo secondo “’processo”, vede coinvolti relatori pubblici, giornalisti mainstream e digitali, periti, guru vari, e non mancano ovviamente i più spericolati e ‘moderni’ fra avvocati e procuratori. Tutto ebbe inizio da noi, per quel che mi è dato sapere, con i processi di Mani Pulite a partire dal 1993, quando alcune imprese coinvolte, oltre che pagare le parcelle legali dei loro dirigenti sotto inchiesta, ingaggiavano anche relatori pubblici perché contribuissero a convincere i media a far trapelare le prese di distanza della aziende dai loro imputati, per salvaguardare la propria reputazione compromessa.
In altri Paesi Europei (oggi praticamente tutti) e negli Stati Uniti la pratica professionale della litigation public relations è consolidata da decenni. Negli Usa esiste anche da molto tempo un’ associazione di litigation pr che, fra l’altro, celebra ogni anno i casi e i professionisti di maggiore successo.
Ricordo che un anno fa, prendendo spunto dalle conclusioni del caso di Amanda Knox e Raffaele Sollecito – su iniziativa della rivista Reset, insieme a Ferpi e ANM (Associazione Nazionale Magistrati) – si svolse a Roma, al Centro Studi Americani, un dibattito in cui per la prima volta in Italia, magistrati (i vertici di allora dell’ANM, Palamara e Cascini), avvocati come Ennio Amodio, e relatori pubblici (Rosanna D’Antona e chi scrive) tentarono di porre le basi per un’ intesa comune fra i due processi nell’interesse pubblico. Il dibattito e il confronto fra le diverse posizioni fu molto interessante ma purtroppo non ebbe alcun seguito.
Sono evidentemente troppo lunghi anche i tempi attuativi di possibili provvedimenti e regole (tutti concordi nel non imporle per legge, ma come autoregolamentazione delle parti), in grado perlomeno di diluire l’impatto devastante sulla reputazione dei singoli e delle organizzazioni, nonché sulla serenità dei giudici, dello scontro fra i due processi.
Possibile che non si faccia nulla, di fronte alla crisi della giustizia divenuta ormai, nella percezione anche internazionale, il principale ostacolo agli investimenti nel nostro Paese (la cosa è oggettivamente immotivata, ma nessuno ha voluto neppure provare ad attutire l’impatto di questa campagna… ah, lo storytelling!) ?
Possibile che gli organismi che presiedono alle diverse professioni coinvolte non trovino un’intesa comune? Eppure, almeno alcune di queste, di altro non parlano che di responsabilità e di sostenibilità sociale…
Fonte: Huffington Post
Eventi