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Il dibattito pubblico per superare la Sindrome di DAD

09/02/2018

Sergio Vazzoler

Un incontro a Torino, lo scorso 7 febbraio, si è focalizzato l'iter legislativo, avviato con il nuovo Codice dei contratti pubblici, che porterà all'introduzione anche in Italia del dibattito pubblico, strumento che apre al confronto con i cittadini sui progetti relativi alle grandi opere pubbliche. Il commento di Sergio Vazzoler.

 

Un passo fondamentale verso scelte più condivise e consapevoli: possiamo sintetizzare così i risultati del confronto avvenuto mercoledì scorso a Torino tra esperti, amministratori pubblici e manager d’impresa intorno al tema del “dibattito pubblico” e partendo dal doveroso ricordo della figura di Luigi Bobbio, esperto di partecipazione che “sapeva sporcarsi le mani”, come dimostra questa vecchia intervista pubblicata sul nostro sito tra il sottoscritto e lo stesso Bobbio all’epoca della sperimentazione del dibattito pubblico per la realizzazione della Gronda di Genova.

Al centro della giornata torinese l'iter legislativo, avviato con il nuovo Codice dei contratti pubblici, che (finalmente) porterà all'introduzione anche in Italia del dibattito pubblico, strumento che apre al confronto con i cittadini sui progetti relativi alle grandi opere pubbliche.

Tante le suggestioni emerse nella giornata di analisi e partecipazione (tramite 3 sessioni “aperte” di approfondimento): innanzitutto l’autocritica che il ministro delle infrastrutture Delrio ha voluto accollarsi come rappresentante delle istituzioni per tutti i decenni passati in cui “si pensava a realizzare le opere in fretta, senza porsi il problema se fossero utili o condivise".  Ora, con l’introduzione dello strumento del dibattito pubblico, si introduce uno strumento di dialogo che è pensato per superare la cosiddetta sindrome di DAD: Decidi (al chiuso tra esperti e tecnici), Annuncia (soltanto quando la decisione è definitiva), Difendi (rispetto all’assalto alla diligenza delle comunità espressione di territori che si sentono regolarmente bypassati).

Uno strumento, quello del dibattito pubblico, già utilizzato da molto tempo in altri Paesi. Tra questi la Francia che dopo 20 anni di esperienza, può consapevolmente trarre diverse conclusioni sull’impatto di tale strumento nelle decisioni pubbliche. Come ha ricordato Jean-Michel Fourniau, Presidente del Gruppo d’Interesse Scientifico “Democrazia e Partecipazione”, proprio grazie all’istituto del Dibattito Pubblico, la sindrome di DAD ha fatto posto ad una modalità basata sulla sequenza virtuosa “Concertare-Analizzare-Scegliere”.

Dunque tutto bene? Grazie al dibattito pubblico avremo meno contestazioni e tensioni nella perenne sfida tra sviluppo e ambiente che inchioda il nostro Paese da troppo tempo? A questo nessuno sembra crederci, nemmeno il Capo di Gabinetto del Ministero delle Infrastrutture, Mauro Bonaretti che, giustamente, rimanda alla prova sul campo l’efficacia dello strumento. Quello che è certo è che il dibattito pubblico rappresenta un’opportunità per tutti i soggetti in campo:

  • per la politica, in quanto sviluppa una cultura del confronto e della responsabilità condivisa incentrata su impegni a lungo termine;

  • per i progettisti, che cessano di essere gli unici portatori di verità e si dovranno aprire al confronto sulle alternative e sulle possibili migliorie all’opera;

  • per i tecnici e i funzionari pubblici, che dovranno adattarsi ai tempi, alle dinamiche e alle sollecitazioni di questo nuovo strumento;

  • per i cittadini, sperando che l’opportunità di poter contare di più nella fase iniziale dell’iter possa ridurre il sospetto e la cronica mancanza di fiducia verso le istituzioni.


E per i comunicatori? Beh, certamente, l’opportunità non riguarda strettamente lo strumento in sé ma semmai la svolta culturale che questo può aprire per tutti i progetti di sviluppo sul territorio: come l’esperienza francese dimostra occorrerà “allenare” i manager, i progettisti e i tecnici ad ascoltare e dialogare con i cittadini, ad avere una visione più ampia ed essere più ricettivi verso le istanze delle associazioni e dei gruppi di interesse. A partire dal giudicare legittime tanto le paure quanto le domande mal poste. Insomma, lo spazio per la comunicazione nel suo significato originale di “mettere in comune” c’è e va colto al meglio.

 
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