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Il disegno di legge anticorruzione: l'importanza della "reputazione"

04/03/2010

Uno stato che rispetta parametri reputazionali oggettivi compie un passo fondamentale verso uno Stato di diritto. Carlo Mochi Sismondi, Direttore Generale del Forum PA, dal suo osservatorio privilegiato approfondisce un aspetto specifico della nuova legge “anticorruzione”, la norma relativa alla _reputazione_.

di Carlo Mochi Sismondi
Se ho bisogno di un artigiano punto certo al prezzo migliore, ma molto più vale l’esperienza di qualche amico che lo abbia sperimentato; se cerco un albergo non manco di guardare su Internet i commenti di chi c’è stato; se voglio comprare qualcosa su ebay la prima cosa che faccio è leggere come si è comportato il fornitore con gli altri clienti.
Solo le amministrazioni pubbliche, adesso come adesso, sono costrette, nello scegliere i propri fornitori, a non tener conto di esperienze negative precedenti (a meno che non siano state oggetto di condanna giudiziaria), a non considerare se in appalti pregressi la ditta abbia o meno portato a termine l’impegno, se ci sono state o meno contestazioni. Insomma, per la PA la reputazione non vale, o meglio non valeva, perché oggi un’importante norma del disegno di legge anticorruzione pare porre rimedio a questa colpevole ingenuità.
La norma, innovativa e insieme di buon senso, andrà difesa con tenacia perché ho il sospetto che sarà presa di mira da lobby di ogni genere che proveranno a cancellarla, a stravolgerla, a depotenziarla. Si trova all’interno di un disegno di legge di cui molto si è parlato, ma che la stampa ha illustrato in maniera molto sommaria.
Proverò a raccontarvelo più in dettaglio quindi, prima di soffermarmi su questa novità che rimette la “reputazione” al centro della scelta.
Il Consiglio dei Ministri di ieri ha approvato, in via preliminare e salvo aggiustamenti tecnici, il disegno di legge anticorruzione di cui molto si era parlato nei giorni scorsi. Il testo non è ancora stabilizzato e quindi per ora il mio commento si basa solo sul dossier presentato sul sito del Governo, sulla conferenza stampa e sulle slides rese pubbliche dal Ministro Brunetta: ma in fondo non è poco.
Primo commento a caldo: mi sembra che ci sia bisogno ancora di amalgamare le varie parti di un ddl che nasce da autori diversi, per ora sono temi e esigenze giustapposte. In particolare ci sono alcune cose che mi sembrano più o meno efficaci, altre che mi sembrano inserite più per ragioni propagandistiche che per reale funzionalità, infine una almeno che mi pare di grande novità e rilievo e che andrà difesa nel lungo iter che il ddl avrà davanti.
Ma andiamo con ordine, descriviamo il documento e poi arriveremo anche alla reputazione.
Il provvedimento, come sapete dai giornali, consta di tre parti diverse (e, come dicevamo, forse ancora poco coese).
La prima riguarda tutte le PA e lavora su tre fronti: Piano nazionale anticorruzione; Osservatorio sulla corruzione; trasparenza negli appalti, nei contributi e nelle assunzioni. Si tratta, a mio parere, della parte più valida del ddl su cui ci soffermeremo ancora.
Una seconda parte, ancora molto fumosa e secondo me potenzialmente pericolosa, propone “nuovi e migliorati controlli sugli enti locali”: lodevole intenzione che a mio parere, però, continua ad aggiungere confusione in un campo, come quello della vita degli Enti locali, che ha già subito intrusioni di ogni sorta e che vede al palo l’unico provvedimento veramente necessario, ossia la Carta delle Autonomie.
Una terza parte, che io giudico di carattere eminentemente propagandistico, annuncia pene più severe (…ma magari avessimo irrogato quelle attuali!), parla di ineleggibilità di condannati (tema che dovrebbe essere in primo luogo politico), annuncia un “fallimento politico” del Presidente di Regione che sia stato rimosso (come previsto dall’art. 16 della Costituzione) per aver “compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge” impedendone la ricandidatura. In effetti mi sembra un caso di improbabile attuazione e comunque estremamente circoscritto.
Ma veniamo alla prima parte, che è quella più convincente. Essa parte da un principio guida del tutto condivisibile: una pubblica amministrazione che funziona meglio, che è più veloce, più semplice e più trasparente è il migliore strumento di lotta alla corruzione. Difficile non essere d’accordo.
Cosa fare allora? Tre cose sono proposte dal ddl:
1. il Piano Nazionale Anticorruzione prevede che le Amministrazioni pubbliche debbano:

valutare e ‘mappare’ il livello di rischio di corruzione dei diversi uffici;
definire misure idonee a presidiare il rischio corruzione e prevenire le potenziali minacce all’integrità del sistema (ad esempio, con la rotazione dei dipendenti nelle posizioni più esposte al rischio corruzione);
integrare i programmi di formazione continua con azioni informative dedicate.

Il Piano nazionale verrà aggiornato dalla Rete nazionale anticorruzione, formata dai referenti individuati dalle diverse Amministrazioni, che proporrà al Governo eventuali interventi normativi correttivi.
In verità, tutte le norme che rischiano di trasformarsi in nuovi adempimenti formali mi lasciano preoccupato e questa non fa eccezione. Non vorrei che le pubbliche amministrazioni (tutte? Anche le più piccole? Anche le autonomie funzionali come gli istituti scolastici? E se non tutti chi decide quali?), costrette solo dalle ultime riforme e stilare un “piano triennale per la trasparenza”, un “piano triennale per la performance”, una “relazione annuale sulla performance” e ora un “piano anticorruzione” con valutazione e mappatura dei rischi, alla fine costruiscano documenti tanto formalmente inappuntabili, quanto lontani dalla realtà e dalla vita dell’ente;
2. l’ Osservatorio sulla Corruzione e gli altri reati contro la PA mi sembra un’iniziativa lodevole, anche se certo in sé non incidente sulla delittuosità stessa. Risponde comunque alla necessità di fare chiarezza.
L’esempio dell’importante differenza nei dati presentati dalla Corte dei Conti durante l’apertura dell’anno giudiziario e dalla relazione annuale del SeAT (per il primo i fenomeni appaiono in deciso aumento, per il secondo in diminuzione) e il successivo chiarimento del SaET stesso, che spiega perché nella relazione della CdC la stampa abbia preso un dato parziale e l’abbia esploso come fosse universale, ci confermano nella convinzione che è importante avere dati ufficiali, certificati e indiscutibili che ci permettano di valutare i trend senza dubbi o forzature;
3. infine quello che è, a mio vedere, il vero cuore del provvedimento: la trasparenza come antidoto alla corruzione. Qui i provvedimenti sono tanti ed articolati, ma in fondo riconducibili a due obblighi di trasparenza: il primo riguarda tutte le amministrazioni che dovranno assicurare la trasparenza come livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili.
La trasparenza è assicurata attraverso la pubblicazione sui siti istituzionali delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, con particolare riferimento ai procedimenti di:
- autorizzazione o concessione;
- scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta;
- concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché di attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati;
- concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera.
Il secondo procedimento riguarda specificatamente gli appalti e si rivolge alle stazioni appaltanti e all’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP): le stazioni appaltanti dovranno rendere tempestivamente disponibili i dati relativi ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, attraverso forme di cooperazione applicativa, all’AVCP che li inserirà nelle proprie banche dati.
L’AVCP per ogni contratto pubblicherà:
- i bandi e gli avvisi di gara
- gli aggiudicatari e l’elenco dei partecipanti
- l’inizio dell’esecuzione del contratto
- le sospensioni e le varianti
- le imprese subappaltatrici
- la durata e gli importi finali del contratto
- i dati relativi al contenzioso ed al relativo esito, compresi gli eventuali arbitrati
L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, dovrà poi provvedere ad integrare l’attuale sistema di qualificazione, con parametri reputazionali oggettivi, basati sulla valutazione del comportamento tenuto dalle imprese nell’esecuzione del contratto e, sulla scorta di tali parametri, predisporre schemi di valutazione utilizzabili anche dalle altre amministrazioni appaltanti.
Ed ecco che vien fuori la reputazione. Certo non sarà uno scherzo mettersi d’accordo su quali siano i “parametri reputazionali oggettivi”, ma se la volontà politica sarà confermata, se non sarà stravolto l’impianto del disegno di legge, stralciando magari la parte degli appalti come se non fosse lì che si annida buona parte della corruzione, se sarà usata la tecnologia per la trasparenza e non per l’occultamento dei dati, se sarà data veramente la possibilità ai cittadini di conoscere e di giudicare, allora avremo fatto un passo avanti non da poco verso uno Stato di diritto.
Tratto dalla newsletter di Forum PA
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