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Il Manager Interculturale

10/12/2008

Enzo Mario Napolitano propone una via italiana al diversity management, un approccio che dovrebbe proporre alle organizzazioni di assumere l’intercultura come elemento identitario, strumento, vantaggio competitivo e finalità.

L’intensificarsi del fenomeno migratorio ha portato all’attenzione degli accademici, degli imprenditori e dei manager italiani gli strumenti e le prassi di marca statunitense meglio noti come diversity management.


Si tratta di tecniche gestionali principalmente rivolte all’osservanza delle norme anti-discriminazione, alla tutela delle minoranze interne alle organizzazioni e alla loro valorizzazione attraverso azioni positive. Spesso il diversity management si estende alle relazioni pubbliche con le realtà politiche e sociali che sostengono le rivendicazioni di particolari gruppi di minoranza.


Il diversity management sta evolvendosi rapidamente negli Usa sino a diventare stile politico dopo la vittoriosa campagna elettorale di Barack Obama e la formazione di un dream team multipartitico, multireligioso e multietnico.


Il diversity management può fare riferimento in Italia ai decreti legislativi 215 e 216 del 9 luglio 2003 e all’attività dell’Unar-Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le Pari Opportunità che ha recentemente pubblicato il Rapporto 2007 (www.pariopportunita.gov.it).
Le esperienze italiane, peraltro poco diffuse, si sono sinora caratterizzate per l’approccio differenziato degli interventi. Ci si occupa principalmente della diversità di genere o della diversità etnica sospinti dalle urgenze o dalle convenienze ma quasi mai in funzione di una visione politica in grado di immaginare le organizzazioni come luogo di reale valorizzazione delle identità. Un approccio difensivo che si ispira alle prassi statunitensi degli anni settanta e ottanta.


L’approccio interculturale è quasi inesistente nella gestione delle risorse umane nelle organizzazioni italiane nonostante che, a livello europeo, il 2007 sia stato dedicato alle pari opportunità per tutti e il 2008 al dialogo interculturale e che le azioni comunitarie incentivino le strategie e le azioni in grado di gestire le identità nella loro pluralità e complessità (www.stop-discrimination.info).


Al diversity management si affianca spesso il marketing multiculturale che investe sulle diversità esterne all’organizzazione (etniche, religiose, sessuali, anagrafiche, psico-fisiche) quali target profittevoli. Profittevoli sino a quando e se restano rigorosamente separati.
Il diversity management, avviato in versione difensivistica e combinato al marketing multiculturale rischia di diventare occasione di ghettizzazione economica e sociale anche quando si traduce in occasione di tutela formale e di servizio.


Da tempo pensiamo sia necessario superare questa impostazione differenziata e pragmatica e proporre una via italiana al diversity management in grado di tradurre le migliori esperienze internazionali e di adattarle alla società italiana caratterizzata da elevata pluralità e, nonostante le ricorrenti campagne mediatiche, da ridotta conflittualità.


Un approccio olistico in grado di tutelare, servire, valorizzare e responsabilizzare le identità (e non più le diversità) e le appartenenze delle persone all’interno e all’esterno delle organizzazioni nella loro complessità e continua evoluzione.


Un approccio che abbiamo definito come management interculturale e che dovrebbe proporre alle organizzazioni di diventare luoghi interculturali in cui tutte le persone possano trovare riconoscimento, incontro, socialità, divertimento ma anche merito e competizione.
Imprese che assumono l’intercultura come elemento identitario, strumento, vantaggio competitivo e finalità. Non solo stile manageriale ma cultura d’impresa finalizzata alla valorizzazione e alla cooperazione dei talenti non convenzionali e quindi alla creazione di nuovo valore sociale, culturale ed economico.


Un approccio che necessita di nuovi competenze, strumenti e paradigmi di marketing, di comunicazione, di relazioni pubbliche e di rendicontazione aziendale. Competenze diffuse e non delegate a figure dedicate alle pari opportunità di genere, all’integrazione dei collaboratori migranti o all’esodo graduale dei senior.


In via transitoria può risultare utile immaginare una nuova figura organizzativa – il manager interculturale – in grado di pensare e gestire la politica aziendale sulla valorizzazione delle identità dei collaboratori, dei clienti e dei fornitori e di governare le relazioni con le comunità di minoranza interne ed esterne all’organizzazione. Ma soprattutto in grado di stimolare e governare il dialogo cooperativo tra le pluralità che costituiscono l’organizzazione.


L’intercultura non può diventare una funzione aziendale di facciata ma l’abito da lavoro indossato da tutte le persone che operano nella e con l’organizzazione.


Enzo Mario Napolitano, www.etnica.biz
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