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Il valore dei value network

10/05/2010

Per identificare il valore delle relazioni che compongono una rete, oppure di una rete rispetto alle altre, è necessario conoscere la distribuzione del potere fra i vari soggetti della rete, o fra le varie reti. Lo sostiene _Toni Muzi Falconi_ in un’interessante riflessione sul valore dei sistemi di relazioni. Due gli approcci per valutare le relazioni fra i componenti di una rete e per disegnarne una mappa.

di Toni Muzi Falconi
La discussione in corso sugli Accordi di Stoccolma fa emergere – come tutti i concetti relativamente nuovi – più domande che risposte.
Ammettiamo pure che in una società a rete il valore prodotto dall’organizzazione risieda più nella qualità delle relazioni fra i componenti delle reti (e fra le singole reti) che non nella filiera lineare e materiale della tradizionale catena di valore.
Ma, come Mario Unnia ha argutamente osservato a Milano a Fuori Orario (date una occhiata all’ottima sintesi filmata di Grazia Murtarelli in fondo a destra della home page del sito!), non è affatto detto che la simmetria di potere fra i singoli componenti di una rete, o fra reti diverse sia la stessa.
Una conseguenza di questa indiscutibile verità è che per identificare il valore delle relazioni che compongono una rete (oppure di una rete rispetto alle altre) è anche necessario conoscere la distribuzione del potere fra i vari soggetti della rete (o fra le varie reti).
Per Sven Hamrefors – lo studioso svedese cui gli Accordi di Stoccolma sono tanto debitori, e che lo scorso Novembre a Milano molti soci hanno avuto la possibilità di ascoltare – mentre nella organizzazione tradizionale la posizione gerarchica del singolo determina anche il valore delle sue relazioni, nella organizzazione comunicativa è il valore delle relazioni che determina la sua posizione.
In sostanza, la posizione di potere nella rete si spariglia e diviene assai più dinamica e fuzzy, poiché non è condizionata dalla inevitabile inerzia gerarchica, quanto dalla legittimazione relazionale che il singolo sviluppa all’interno della rete (o delle reti) di appartenenza.
E per analogia lo stesso discorso vale per le relazioni fra le reti.
Da questa prospettiva, l’organizzazione comunicativa è assai più spietata di quella tradizionale poiché l’espulsione dalla rete segue automaticamente all’assenza (o la caduta) di legittimazione relazionale dei singoli.
Bene.
Ma come faccio a valutare la qualità delle relazioni fra i singoli componenti di una rete e come faccio a disegnare una mappa delle relazioni?
Per esperienza, suggerisco due possibili approcci che aiutano.
Assumiamo che una rete si componga di una decina di soggetti: tecnici, manager, collaboratori interni ed esterni.
Il primo approccio valuta la qualità delle relazioni che esistono fra quei dieci soggetti in base a quattro indicatori:

la soddisfazione nella relazione di ciascuno nei confronti degli altri nove;
l’ impegno nella relazione di ciascuno nei confronti degli altri nove;
la fiducia nella relazione di ciascuno nei confronti degli altri nove;
l’ equilibrio di potere nella relazione di ciascuno nei confronti degli altri nove.

Posso procedere a fare questo:

per osservazione partecipata (in questo caso sono io che valuto);
posso chiedere ai dieci di rispondere ciascuno ad un questionario in cui indicano da 1 a 10 per ciascuna delle variabili riferite alla propria relazione con gli altri nove;
posso infine applicare il modello di co-orientamento, chiedendo a ciascuno di rispondere al questionario come prima, ma in più anche di ‘mettersi nei panni di ciascuno degli altri nove’ e dare la risposta che secondo la sua personale percezione riceverebbe dal singolo altro.(per capirci: se tu fossi lui che voto ti daresti rispetto a soddisfazione, impegno, fiducia ed equilibrio di potere nella relazione?).

Così facendo costruisco una mappa della qualità delle relazioni che esistono fra i soggetti della rete, a tre livelli di complessità.

Il primo, elementare ed altamente soggettivo, ma comunque utile.
Il secondo, meno elementare che però rappresenta i divari esistenti fra le diverse percezioni dei singoli componenti della rete, utilissimo.
Il terzo, un po’ complicato ma prezioso, che oltre a darmi le indicazioni sui divari di percezione, mi suggerisce anche i punti più deboli della rete dal punto di vista delle relazioni e mi dice dove intervenire con priorità prima che la rete allarghi le sue falle.

Il secondo approccio consiste nel disegnare una mappa relazionale del network (network analysis) ove osservo e annoto chi ha relazioni con chi, e soprattutto quali soggetti, o per funzione specifica o per qualità di relazione, svolgono una funzione primaria nella rete.
Mi spiego: se il soggetto a si relaziona solo con b, se b si relazione con a e con c, e se c si relaziona con d, con g e con h allora è chiaro che c svolge una funzione relazionale più rilevante degli altri, che b svolge una funzione abbastanza importante mentre a svolge una funzione minore.
Ricordiamoci però di evitare qualsiasi interpretazione integralista del ruolo delle relazioni, poiché potrebbe anche succedere che la funzione specifica di a nella rete, indipendentemente dalla qualità delle sue relazioni, sia determinante per il lavoro di b e di c.
Di certo non mi offendo se qualcuno mi chiedesse: ma cosa a che fare tutto ciò con il nostro lavoro?
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