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INPGI: allargamento ai Comunicatori, una previsione inutile, dannosa per l’erario e anticostituzionale

15/11/2020

Redazione

Ferpi, insieme ai comunicatori, riuniti con le principali sigle nell’associazione Retecom, ribadisce fermamente la propria posizione contraria al passaggio contributivo all'INPGI, la cassa previdenziale dei giornalisti, ai fini del risanamento dell’Istituto. Un passaggio inutile, dannoso per l’erario e finanche anticostituzionale.

“L’ingresso dei comunicatori nell’INPGI per il risanamento dell’Istituto sarebbe inutile, dannoso per l’erario e finanche anticostituzionale”.

È questa la ferma posizione di FERPI già espressa a dicembre dello scorso anno e ribadita dal Segretario Generale Rita Palumbo, anche a nome di ReteCoM, la Rete delle Associazioni per la Comunicazione e il Management.

La presa di posizione, che ha portato FERPI e le associazioni di ReteCoM a chiedere un intervento urgente al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, si è resa necessaria dopo la diffusione di un take dell’ANSA che ha riportato la dichiarazione del Sottosegretario con Delega all’Editoria, Andrea Martella, nel corso dell’incontro con il sindacato dei giornalisti (FNSI, Federazione Nazionale della Stampa Italiana) avvenuto lo scorso 12 novembre.

Nel suo intervento, stando al take ANSA, il Sottosegretario auspica e promuove l’inserimento nella legge di bilancio di un emendamento finalizzato all’ingresso dei comunicatori nel sistema previdenziale dell’INPGI - Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani - ai fini del risanamento dell’Istituto. Un Istituto dal modello contributivo divenuto insostenibile, in grave dissesto finanziario, con una previsione di bilancio 2020 in passivo di ben 253 milioni. L’intento del Sottosegretario Martella sarebbe quello di lavorare ad una estensione di uno scudo normativo anti- commissariamento e ad un risanamento che passerebbe, appunto, anche per l’allargamento della platea degli iscritti ai comunicatori. Senza averli convocati come promesso nell’incontro con i rappresentanti di ReteCoM, avvenuto a Roma lo scorso 21 gennaio.

Una platea numerosa

Il numero dei comunicatori, comprendendovi all’interno anche coloro che si occupano di comunicazione digitale e management della comunicazione, supera le 350 mila unità. Un numero quindi sicuramente notevole di professionisti, i quali tuttavia non hanno un unico contratto di lavoro, ma sono inquadrati nei CCNL di settore e, in percentuali altissime, non sono dipendenti assunti, ma professionisti titolari di Partita Iva.

“Non esiste un contratto di lavoro di riferimento – ha sottolineato il Segretario Generale FERPI - i professionisti che svolgono le mansioni nell’ambito della comunicazione sono assunti in aziende che applicano il  CCNL  di settore. Gli  interlocutori  non sarebbero i  Comunicatori,  ma i Sindacati, Confcommercio e Confindustria. L’istituto di previdenza dei giornalisti ha una voragine di bilancio nella Cassa INPGI 1, ovvero quella dei dipendenti. Quindi la partita è non solo con chi allargare la platea dei contribuenti, ma come intervenire sui CCNL”.

Le ragioni di un NO

Le ragioni della contrarietà dei Comunicatori alla contribuzione in INPGI sono diverse:

  • Due professioni diverse - Il giornalismo e la comunicazione sono professioni profondamente differenti per scopo e modalità di produzione. Unificarle a livello previdenziale prima e magari poi con un ipotetico contratto di lavoro giornalisti-comunicatori è illogico e inaccettabile sia sul piano professionale sia sul piano lavoristico-contrattuale.

  • Contributo comunque insufficiente - Il passaggio dei contributi dei comunicatori dall’INPS all’INPGI non sarebbe comunque in alcun modo sufficiente a colmare il buco di bilancio e risanare le casse dell’Istituto privato dei giornalisti, e quindi inutile oltre che dannoso per l’INPS.

  • Difficoltà ad individuare chi sia tenuto al versamento - Quali sarebbero gli strumenti per individuare quei professionisti che svolgono attività pertinenti alla Comunicazione con contratti di subordinazione afferenti ai CCNL di settore? E perché tali professionisti dovrebbero essere obbligati a versare contributi ad una Cassa privata in dissesto che non riguarda il proprio lavoro? La questione quindi riguarda anche la legittimità costituzionale dell’eventuale provvedimento legislativo.

  • Danno per l’erario e precarietà contributiva - L’INPS, già in difficoltà per la pressione delle politiche assistenziali in atto per far fronte alla durissima crisi sanitari, economica e sociale, ne subirebbe un danno enorme. Sarebbero distolti contributi certi dall’Istituto di previdenza pubblico per dirottarle in un Istituto di previdenza privato. Senza riuscire a risolvere la situazione.


L’ineludibilità di un confronto trasparente

Quello che è certo è che “la platea dei contributori” si opporrà ad una “deportazione contributiva” ex lege, di natura puramente contabile, che finirebbe con il privilegiare una categoria di lavoratori piuttosto che un’altra, senza un piano strategico di lungo periodo di salvaguardia di tutte le pensioni – e non solo di quelle dei giornalisti – e senza che il Governo si confronti con tutti i soggetti interessati non solo per fare chiarezza ma per rispettare il fulcro della nostra Costituzione: l’uguaglianza sociale e lo stato di diritto.

Una libera stampa riveste un’importanza fondamentale e fondante per uno Stato democratico e pertanto tutti hanno a cuore sia le difficoltà attuali dell’editoria giornalistica - che sconta una crisi organica e strutturale annosa, aggravata dalla competizione digitale e come per tutti dalla diffusione della pandemia COVID-19, sia il futuro dei giornalisti e del loro ente previdenziale, ma questa necessaria tutela non può passare per misure che vadano a scapito di altri professionisti e in questo caso dei comunicatori.

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