Da Il Sole 24 Ore del 24/02/2006Istituzioni come pivot per far giocare la societàdi Giuseppe De Rita e Luca DiotalleviDopo aver guardato con innegabile frustrazione le tante miserie dell'apparato istituzionale italiano, viene spontaneo invocare: " Ma c'è qualcosa da salvare, una qualche linea d'azione che non renda inevitabile la separazione fra istituzioni e cittadini? ".Negli anni recenti sono state due le linee che hanno creato in proposito qualche speranza. Da un lato, Tony Blair indicò nel suo primo discorso da premier la strada del rafforzamento delle "istituzioni pivotali", di quelle strutture cioè che fanno snodo di relazione fra cittadini e amministrazione, fra sfera pubblica e sfera privata, fra poteri di vertice e territorio, fra sedi decisionali e rappresentanze d'interessi.Dall'altro lato, c'è stata in Italia una promettente stagione delle cosiddette "autonomie funzionali", di quelle strutture cioè che si qualificano per la loro specifica operatività e non per la loro collocazione nella gerarchia della piramide statuale. Sono stati due percorsi innovativi che hanno ancora, pur con qualche ammaccatura, grande importanza. Non sfugge infatti a nessuno la forza dei concetti che stanno alla loro base: quello della " relazione", che innerva l'idea che le istituzioni devono promuovere e regolare le relazioni fra i soggetti sociali e non promuovere e regolare se stesse; e quello di "autonomie funzionali", dove si combinino una dimensione di autonomia, cioè di sganciamento dall'antica unitaria macchina dello Stato e una dimensione di funzione sociale, quasi che i poteri possano e debbano essere riconosciuti solo in quanto esercitino con efficienza ed efficacia ruoli che vengano incontro ai bisogni dei cittadini visti come utenti, come " customers".La strada per uscire dalla crisi è a nostro avviso proprio quella di esaltare il ruolo relazionale e quello funzionale delle istituzioni, addirittura di promuovere istituzioni relazionali (o pivotali per citare l'esperienza inglese) e istituzioni funzionali, più o meno autonome. Superando le ambiguità e resistenze che nel passato hanno certo lasciato segno negativo ma non sono riuscite a sotterrare la speranza. Non si può al riguardo dimenticare quanto siano stati compressi gli spazi di modernizzazione giocati sul potenziamento della "relazione".Si pensi alla crisi dei patti territoriali e comunque di tutte le esperienze locali di stampo concertativo e relazionale; si pensi al declino delle strutture di socializzazione sul territorio ( dalle comunità montane alle circoscrizioni urbane); si pensi al rapidissimo inaridirsi burocratico e/ o mediatico delle relazioni con l'associazionismo dei consumatori; si pensi al ripiombare in un antico nulla delle sedi istituzionali della rappresentanza degli interessi (Cnel, Crel, concertazione, eccetera).Ha con costanza operato un continuo risucchio verso il primato pubblicistico dell'amministrare e del decidere; ma non si può negare che altre esperienze di relazionalità hanno arricchito il panorama istituzionale italiano: hanno avuto successo sul sito Internet gli articoli del Censis; gli uffici per il rapporto con il pubblico, specialmente operanti a livello comunale; alcune autorità indipendenti hanno ben regolato le relazioni fra interessi aziendali e interessi pubblici; alcune fondazioni bancarie hanno con successo stabilito relazioni con i loro stakeholder di territorio o di settore; alcune strutture finanziarie e bancarie (dalla Borsa alle Bcc) hanno saputo coltivare una buona relazione con una galassia di operatori individuali. Luci e ombre, quindi, sul piano delle innovazioni relazionali e " pivotali".E la stessa situazione si ritrova nelle autonomie funzionali. Basta, sul versante delle ombre, ricordare la resistenza delle università a implementare coraggiosamente la loro autonomia (si sono rifugiate nella dipendenza dal "gestore" del "sistema universitario" e dei fondi relativi); basta pensare all'irrigidimento quasi burocratico delle Asl, ormai tutto meno che strutture autonome; basta pensare allo slittamento delle Camere di Commercio verso la gestione dei servizi alle imprese; basta pensare al blocco dell'esperienza dell'autonomia scolastica ai vari livelli; basta pensare alla grande difficoltà di trasformare gli enti museali o dello spettacolo in fondazioni a forte autonomia funzionale.Tuttavia, dell'esperienza di autonomia funzionale qualcosa resta: nelle università, visto che la riforma dei corsi di laurea e dei percorsi relativi è stata giocata in autonomia; nei più che funzionali enti fiera, porti, interporti, dove in alcuni casi c'è stata una forte presenza anche aziendalistica dei privati; nelle stesse Camere di Commercio dove si è avuta una grande espansione di strutture, agenzie, aziende speciali che coprono temi, spazi, problemi di vario tipo.Si può dire allora che nelle istituzioni italiane i germi della relazionalità e della funzionalità mantengono una loro valenza, anche contro la vecchia cultura dell'autoreferenzialità amministrativa. Ed è su tali germi che dobbiamo investire sul futuro: sia potenziando le istituzioni, fra quelle citate in precedenza, che più sono potenzialmente capaci di diventare istituzioni pivotali e che più possono operare come autonomie funzionali; sia potenziando il ruolo dei privati in ognuna di esse, perché solo la loro cultura relazionale e funzionale può compensarne la tentazione antica di chiudersi in logiche autoreferenziali; sia riconoscendo la loro capacità di essere attive nell'area del bene collettivo senza però essere " Stato".Se riuscissimo a coltivare un tale tipo di sviluppo istituzionale potremmo tranquillamente gestire una società a istituzionalizzazione distribuita. E potremmo forse mettere finalmente in dubbio la convinzione hegeliana che sia lo Stato a fare la società. Ricordando Amleto, crescon più cose in terra di quante ne prevedano i più nobili dei nostri pensieri.Da Il Sole 24 Ore di venerdì 24.02 un articolo di De Rita e Diotallevi sul tema della relazionalità come unica strada per recuperare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.