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L' opinione pubblica entra in scena. L'opinione pubblica diventa protagonista

02/08/2008

Il lettore diventa potere civile insieme al giornale, il lettore si trasforma in potere civile insieme al giornale. Vittorio Zambardino sul La Repubblica del 2 agosto partendo dalla teoria di Jeff Jarvis commenta il nuovo fenomeno dell’integrazione tra giornali di carta e online.

di Vittorio Zambardino
Capita sempre più di frequente una cosa molto significativa: che una dichiarazione fatta a Repubblica.it faccia girare la giornata politica in un certo verso. Oppure che si attribuisca a Repubblica.it un pezzo del giornale solo perché è apparso sul sito. Dite che non significa niente? Direi che significa tutto: nel vissuto di un numero molto grande di persone e nel vissuto degli altri media: Repubblica.it è il giornale di cui porta il nome. Nessuna differenza. Per anni si è detto: il sito, intendendo che fosse una cosa diversa dal giornale, ed era così per tutti. E invece oggi il sito di Repubblica, nel vissuto degli italiani che vivono nella rete, è Repubblica. Un lungo cammino: come quello da 30-40 mila lettori al giorno del 1997 agli 1,2 milioni di oggi. Ora se faceste un giro d’opinione nei blog e nei forum trovereste molta gente pronta a iscrivere i giornali, e anche questo giornale, al fronte della conservazione, della resistenza contro la rivoluzione digitale. Servirebbe a poco dire: guardate queste pagine, non vedete che abbiamo fatto i compiti, che seguiamo la trasformazione passo passo? Non ce lo concederebbero, viviamo un tempo di severità presso il pubblico digitale. Eppure noi, sulla rete, siamo nati insieme a Google, solo un po’ prima. Siamo cresciuti insieme. Loro sono il Gutenberg del tempo nostro e noi vecchi trascrittori di bibbie. Ma senza le bibbie da stampare Gutenberg avrebbe avuto meno successo e forse l’avrebbero bruciato come eretico. Volete la prova che è così? Se non lo fosse, perché, altrimenti, ci vorrebbero a tutti i costi? E’ scritto “ci vorrebbero”, si, e non è un errore.


Google raccoglie di già la pubblicità per i giornali, anche quelli di carta. Si offre ai giornali – lo teorizza in questi giorni Jeff Jarvis, il più estremo ma il più intelligente fra i blogger del tecnogiornalismo – come nuova tipografia, nuovo distributore,nuova concessionaria di pubblicità. Perfino avere un sito, secondo questa posizione, è una spesa inutile. L’argomento è semplice. Cari editori, cari giornalisti, liberatevi di tutti gli aspetti e i pesi materiali della produzione della notizia e concentratevi sulla sua unicità, nella radice e ragione del vostro lavoro: fare un giornalismo che soddisfi i suoi lettori.


Follia? Basta andare sul blog di Jeff Jarvis, si chiama Buzzmachine.com, per vedere questa teoria già all’opera, teoria che nel febbraio del 2009 sarà un libro. E ci sono operatori dell’editoria quotidiana che si dicono d’accordo. Cosa dice ai giornali la teoria Jarvis? Dice: accettate che il mondo, fra dieci anni, vivrà secondo una sensibilità e un approccio alla conoscenza che sarà così “liquido” da non poter più essere compatibile con la lettura sequenziale del giornale, con la sua chiave interpretativa del mondo e con le sue opinioni, che non accetterà le sue gerarchie culturali. Quella liquidità, quella conoscenza per frammenti ha la sede della sua sintesi nell’individuo (che magari la delega agli opinionisti/predicatori) e potrà anche avere manifestazioni discutibili ma è e sarà sempre pi la struttura e la forma dell’opinione pubblica dei prossimi anni. Il suo paradigma.


Conviene questa dissoluzione del giornale per passare alla puraessenza del giornalismo? Non conviene, anzi è un inganno mortale, perché la notizia non è un contenuto, è il nome e l’opera delgiornale. Ma per respingerlo, l’inganno, c’è bisogno di parlare la nuova lingua della trasformazione. E di parlarla da subito. Ai giornali il pubblico internet non chiede di diventare un bazar di trucchi e diavolerie tecnologiche, non chiede nemeno di destrutturarsi per lasciar posto al contenuto degli utenti . La tecnologia, quando non è piattaforma abilitante della comunicazione, non serve a niente. La forma tecnologica di oggi – come la carta 200 anni fa – è il simulacro di una relazione sociale nuova con il popolo che legge, giovani e meno giovani, gente che non si è mai avvicinata all’informazione, ma che gira il mondo o sta in un ufficio e ha dell’informazione un bisogno spasmodico, continuo, desiderante, prodotto dalle macchine della conoscenza che sono il suo nuovo strumento di lavoro. La tecnologia è la carta che permette di raggiungere il nuovo pubblico laddove questo vive e pensa. Dunque impossibile ignorarla. Eppure c’è una verità nella teoria Jarvis. C’è che questo pubblico non chiede snack-news in poche righe, pi la borsa pi il meteo e magari il traffico sulla tangenziale. Chiede l’informazione che fa vivere la democrazia, quella che controlla il potere, quella che svela gli arcani, chiede di identificarsi con un potere civile del giornalismo. Quando lo vede all’opera, spesso non lo riconosce e si accontenta di pessimi surrogati. Ma i surrogati – dicono i nostri vecchi – giravano durante la guerra, quando c’era pochissimo da mangiare.


tratto da La Repubblica del 2 agosto 2008
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