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La crisi Nestlé era prevedibile

20/12/2005

Un commento di Patrick Trancu e una breve risposta di Toni Muzi Falconi.

Un paio di settimane fa abbiamo aperto un dibattito sul caso Nestlé. Oggi la discussione prosegue con l'intervento di Patrick Trancu che prende lo spunto dal precedente articolo di Toni Muzi Falconi; a seguire, un breve commento dello stesso Muzi Falconi.Caro Toni su Nestlé hai preso un "granchio"Caro Toni, con tutto il rispetto dovuto, sul caso Nestlé hai preso un granchio. La crisi Nestlé non solo era perfettamente prevedibile ma era anche latente. Questo è quello che, al di là delle diverse considerazioni, analisi dei fatti e punti di vista, deve a mio avviso fare veramente riflettere.Prevedibile perché chiunque si occupa di crisis preparedness e ha lavorato a fianco di un'azienda del settore alimentare sa che uno scenario come quello dell'ITX non è solo possibile ma anche più che probabile (non più tardi di sei mesi fa ho condotto per conto di un cliente una formazione utilizzando uno scenario pressoché identico). Latente perché Nestlè, pienamente consapevole di avere per le mani una potenziale crisi, ha avuto circa 5 mesi di tempo per prepararsi a gestirla.La crisi Nestlé inizia tra la fine della primavera e l'inizio dell'estate quando la multinazionale elvetica scopre le tracce di ITX nel proprio prodotto (oppure il 29 giugno quando riceve notifica da parte dell'ARPAM del risultato dei testi condotti a campione). A questo punto si tratta di una crisi che in gergo definiamo "privata", ovvero una crisi che si sviluppa lontana dai riflettori mediatici e di cui sono a conoscenza in pochi addetti ai lavori. Una manna per chiunque è chiamato ad occuparsi di crisis management. In una situazione di crisi questa fase, nei rari casi in cui si verifica, dura poche ore, un tempo tuttavia sufficiente per sviluppare un'adeguata strategia di gestione e risposta (a patto evidentemente di essere pronti a gestire le emergenze). Tuttavia, nel caso dell'ITX Nestlé imbrocca un terno al lotto: la crisi privata resta praticamente tale per oltre 5 mesi. Un tempo enorme per prepararsi a gestirla adeguatamente. Diventa infatti pubblica solo il 22 novembre con i primi lanci di agenzia.Alla luce di questo semplice fatto, le domanda posta da Gian Paolo Pinton diventa ancora più inquietante. Perché Nestlé si è comportata così? Una linea interpretativa la fornisce indirettamente lo stesso Gian Paolo Pinton. Da una multinazionale con una storia non esattamente limpida, il cui track record di responsabilità sociale lascia a dir poco perplessi, e che negli anni ha dimostrato di non possedere nel proprio patrimonio genetico una cultura aziendale sensibile alla gestione di crisi, non ci si può probabilmente attendere un comportamento diverso da quello al quale abbiamo assistito. Pur convinto della validità di questa interpretazione, credo tuttavia che la risposta circa i comportamenti della multinazionale svizzera vada cercata altrove."Act Global, Think Local"Sono personalmente convinto che Nestlé abbia deciso di gestire la crisi dell'ITX "all'italiana". Per capirci, una gestione che privilegia le stanze del potere, gli accordi dietro le quinte e le strette di mano, e di conseguenza esclude una gestione responsabile, metodologica e trasparente. Una strategia perfettamente in linea con la cultura del nostro paese. Il ragionamento è stato semplice: "operiamo in Italia, gestiamo la cosa all'italiana".Una visita al Ministero della Salute, un bel accordo verbale a tavolino, una stretta di mano, una pacca sulla spalla: il prodotto non è tossico, non ci sono rischi per la salute dei consumatori, io smaltisco le scorte e sostituisco il packaging, tu sei la corrente, siamo d'accordo. In Italia le crisi si gestiscono così. Ha sempre funzionato e quindi si saranno detti al quartier generale di Vevey, "Pourquoi pas?". D'altro canto non era stato il presidente della Nestlé a svelare lo scorso 24 novembre (Corriere della Sera) l'esistenza di un accordo con il Ministero della Salute (e con la Ue), per poi rimangiarsi il tutto a distanza di poche ore?Quello che trovo stupefacente, a differenza di quanto ha scritto Franco Guzzi su Italia Oggi, non è la scelta strategica di gestire il problema all'italiana attraverso presunti accordo con il Ministero. Ma dal punto di vista della metodologia è l'apparente mancanza di valutazione, o la completa sottovalutazione, dello scenario italiano (e della sua evoluzione) e dei rischi ad esso associati. Pur avendo identificato una strategia di gestione la cui validità resta da diversi punti di vista molto opinabile -  Nestlé ha commesso un clamoroso errore: a monte del processo decisionale - pur avendone tutto il tempo la multinazionale non ha adeguatamente e correttamente analizzato il "worst case scenario", l'unico punto di partenza per una corretta gestione di qualsiasi crisi.Quali erano i principali elementi di scenario da valutare? Eccoli in rapida sequenza: l'avvio della campagna elettorale, la crisi di leadership di Berlusconi e i sussulti nella CDL, la presenza di due Ministri Storace e Alemanno strettamente legati tra loro e provenienti da un partito politico (AN) e da una base sociale che ha una visione delle multinazionali non dissimile da quella dei gruppi no-global, procure della repubblica alla continua ricerca dei riflettori mediatici, media votati all'iperspettacolarizzazione. Pensare in questo contesto di gestire il problema dell'ITX così come ha fatto Nestlé rappresenta, questo sì, uno stupefacente errore di valutazione. Frutto della mancanza di cultura di comunicazione dell'impresa? Frutto della mancanza di sensibilità nei confronti dei consumatori? Frutto dell'assenza di una funzione influente nell'ambito dell'organigramma aziendale? Frutto di un'assenza di cultura di gestione di crisi? Frutto, probabilmente, un pò di tutto.Ma frutto soprattutto anche di un paese, il nostro, dove le crisi si gestiscono tra "amici", dietro porte chiuse, nell'ambito del circolo del "chi conosci" e del chi "ti protegge" e a volte anche "del chi o del quanto paghi". In un paese in cui il Governatore della Banca d'Italia non si è ancora dimesso si sarebbe trattato di un comportamento etico e socialmente responsabile - perché dovremmo pretendere o aspettarci che le Nestlé di questo mondo si comportino in maniera diversa?Patrick TrancuAmministratore DelegatoTT&A - Theodore Trancu & Associates

La replica di Toni Muzi Falconi:Patrick Trancu ci fornisce la sua interpretazione della vicenda Nestlè e, se sono vere le premesse (e cioè che la crisi fosse ampiamente prevedibile... ma perché soltanto cinque mesi prima e non prima ancora, non è da molti anni che viene usato quell'inchiostro sulle confezioni?), le conseguenze del suo ragionamento sono condivisibili.Intendiamoci, quando si progetta un piano di crisis management l'impresa ipotizza tutte le situazioni possibili e sono sicuro che anche lo spillover di inchiostro dalla confezione al contenuto fosse nella lista inziale. Ma, perché si passi ad una vera e propria preparazione di crisi, è necessario che il potenziale evento venga collocato dagli analisti nella parte alta della classifica dove si incrociano e si integrano valori attribuiti di possibilità di accadimento e gravità delle conseguenze.A me non risulta che l'inchiostro nel latte fosse in quella classifica.Se a Patrick risulta invece il contrario, sarebbe una notizia di notevole rilevanza, poiché entrerebbe di corsa nelle fattispecie previste dalla legge 231 sulla responsabilità dell'impresa, con conseguenze dirette con solo sui singoli, ma sull'impresa.Grazie comunque per le tue osservazioni.(tmf)
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