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La Green economy, una sfida per il Paese

30/11/2011

Quello dell'economia "verde" non è più un fenomeno ma un vero e proprio stile di governance trasversale. Lo ha dichiarato _Ermete Realacci,_ presidente della _Fondazione Symbola_ che annualmente pubblica il _Rapporto GreenItaly_ sullo stato dell’economia verde in Italia, in un'intervista esclusiva rilasciata a _Sergio Vazzoler,_ delegato Ferpi Ambiente.

di Sergio Vazzoler

Il Rapporto GreenItaly 2011 conferma la virata del sistema economico italiano verso la Green Economy. Partiamo proprio dalla definizione di “economia verde”: troppo spesso viene interpretata semplicemente come il settore delle energie da fonti rinnovabili e non come fenomeno trasversale. Da cosa deriva tanta confusione?
E’ un errore parlare di green economy come di un settore legato esclusivamente ai comparti tradizionalmente ambientali, come per esempio il risparmio energetico, le fonti rinnovabili o il riciclo dei rifiuti. Si tratta in realtà di un vero e proprio “filo verde”, che attraversa e innova anche i settori più maturi della nostra economia, perché la peculiarità della green economy italiana sta proprio nella riconversione in chiave ecosostenibile dei comparti tradizionali dell’industria italiana di punta. E’ una prospettiva vera in tutto il mondo, ma che nel nostro paese ha chance più che altrove di avere successo e che può rappresentare per la nostra economia del XXI secolo quello che l’elettrificazione, l’automobile, le telecomunicazioni prima e la rivoluzione informatica poi sono stati per il Novecento. Quando parliamo di green economy, infatti, pensiamo ad una sfida trasversale che comprende moltissimi settori e coinvolge decine di migliaia di imprese: dal settore dell’edilizia a quello dei trasporti, dagli elettrodomestici alle fonti rinnovabili, dal turismo all’agricoltura di qualità, dall’high tech al riciclo dei rifiuti, dalla diffusione di prodotti e di processi produttivi innovativi ed efficienti, nella creazione di nuova occupazione qualificata, in una forte spinta all’esportazione di processi e prodotti eco-efficienti. Si tratta, insomma di una straordinaria occasione per modernizzare e rendere più competitiva la nostra economia che ha il suo punto di forza in un sistema produttivo fatto prevalentemente da piccole e medie imprese fortemente legate al territorio, che si nutre di creatività, di innovazione, di coesione sociale, di diritti.
Veniamo all’ultimo rapporto: quali i principali segni di discontinuità rispetto allo scorso anno?
Assistiamo ad una vera e propria rivoluzione verde che già oggi interessa il 23,9% delle imprese che tra il 2008 e il 2011 hanno investito o investiranno in tecnologie e prodotti green, creando occupazione, il 38% delle assunzioni programmate per l’anno in corso è per figure professionali legate alla sostenibilità, e attraversa il Paese da nord a sud, tanto che le prime dieci posizioni della classifica regionale per diffusione delle imprese che investono in tecnologie green sono occupate equamente da cinque regioni settentrionali e cinque meridionali.
Quanto hanno influenzato le prestazioni “green” la crisi economica e la debolezza del quadro politico?
Il Rapporto GreenItaly evidenzia come la profondità degli effetti della crisi ha posto l’intero sistema di fronte alla necessità di un radicale ripensamento del proprio modello di sviluppo tanto che quasi un’impresa su quattro, ovvero circa 370mila imprese, 150mila industriali e quasi 220mila dei servizi, ha realizzato negli ultimi tre anni, o realizzerà entro quest’anno, investimenti in prodotti e tecnologie che assicurano un maggior risparmio energetico o un minor impatto ambientale. Una quota che rappresenta un segnale forte dell’effettiva diffusione di comportamenti aziendali orientati all’eco-efficienza e alla sostenibilità ambientale, considerando che in questo caso siamo di fronte a un universo che contempla sia le micro imprese al di sotto dei 20 dipendenti, dove chiaramente la propensione a investire è più contenuta, sia tutto il settore dei servizi privati, costituto da diverse attività che, per chiare ragioni di natura strutturale o legate al basso impatto ambientale, possono non essere particolarmente inclini alla realizzazione di investimenti green. Inoltre un terzo delle imprese che investono in tecnologie green vantano una presenza sui mercati esteri (34,8%), quota quasi doppia rispetto a quella rilevata per le imprese che non puntano sulla sostenibilità ambientale (meno di due su cinque, pari al 18,6%). Una proiezione internazionale sostenuta anche dalla capacità innovativa, indispensabile per anticipare la concorrenza o per crearsi originali nicchie di qualità all’interno della domanda mondiale.
Da pochi giorni c’è un nuovo Ministro dell’Ambiente. Tra le diverse questioni urgenti da affrontare, qual è il tema che a tuo parere necessita prioritariamente di un grande dibattito pubblico?
Il Ministro Clini è chiamato a un ruolo di primo piano e a caratterizzare le politiche ambientali e della sfida della green economy come uno dei punti chiave per affrontare la crisi, per dare competitività alla nostra economia e creare posti di lavoro. Sarà necessario costruire un asse con il Ministro per lo Sviluppo Economico Corrado Passera che per la sua autorevolezza e le sue qualità, può rendere questa prospettiva più concreta. Fra i temi metterei come priorità la prevenzione dal dissesto idrogeologico, la questione climatica, rendere stabile l’incentivo del 55% per le ristrutturazioni edilizie per l’efficienza e i il risparmio energetico, che è stata la misura anticiclica di gran lunga più importante che è stata attivata in questi anni. Ha contrastato gli effetti della crisi nel settore dell’edilizia, ha contribuito a ridurre le bollette energetiche degli italiani e le emissioni di CO2. E’ stata utilizzata da 1 milione e 360 mila famiglie, con investimenti pari a 16,5 miliardi, ha attivato ogni anno oltre 50.000 mila posti di lavoro nei settori coinvolti, soprattutto nelle migliaia di piccole e medie imprese nell’edilizia e nell’indotto e si è anche favorita un’importante innovazione e una spinta di tutto il comparto verso la qualità.
In questi ultimi tempi, chi si occupa di comunicazione ambientale vede l’imporsi di alcune parole-chiave. La prima che ti sottopongo è “smart”. Quale valore può avere il progetto smart city per sensibilizzare l’opinione pubblica ad assumere comportamenti virtuosi?
Quella delle smart city è un idea molto allettante e una prospettiva a cui guardare con grande interesse. Purtroppo l’Italia è ancora molto indietro su questo fronte. Mentre la maggior parte delle città italiane sfora costantemente i limiti dell’inquinamento, il traffico impazzito ci ruba la vita, le risorse per il trasporto pubblico sono drammaticamente tagliate, si fa fatica a pensare a delle città intelligenti. E’ un terreno su cui dobbiamo recuperare il tempo perso e su cui serve un forte impegno delle istituzioni per trovare soluzioni stabili. E’ anche sulla qualità della vita dei cittadini che si gioca il futuro del nostro paese.
Veniamo alle dolenti note. Per la prima volta, quest’anno il premio Pimby (che – in opposizione alla sindrome Nimby – porta all’attenzione le buone pratiche di opere realizzate senza conflittualità territoriale) non è stato assegnato, proprio a rimarcare il punto di non ritorno di un Paese bloccato dal punto di vista infrastrutturale. Come se ne esce? E quale ruolo potrebbe avere la comunicazione?
Ritengo che quest’anno il problema sia stato innanzitutto la mancanza di risorse. La drammatica crisi che stiamo attraversando, unita ad una mancanza di visione, ha fortemente penalizzato il settore delle infrastrutture. Serve un piano di rilancio del settore, soprattutto per le opere di piccola o media grandezza, cantierabili da subito.
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