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La prima volta della Global Alliance all'ONU

13/09/2005

Toni Muzi Falconi e John Paluszek (PRSA) rappresentano la Global Alliance alle Nazioni Unite, quando si parla della relazione fra Onu e le Ong e lo status degli otto obiettivi del millennio (Millennium Developments Goals). Il racconto di Toni Muzi Falconi.

Per la prima volta nella mia vita personale e professionale ho potuto partecipare ad un summit delle Nazioni Unite.Con John Paluszek della PRSA e Senior Counsel di Ketchum, che qualcuno ricorderà come relatore fra i più apprezzati a Trieste, rappresento la Global Alliance, appena ammessa come organizzazione non governativa osservatrice, in collegamento con il Dipartimento Comunicazione e Informazione Pubblica, guidato dal Sottosegretario Sashi Tharoor, eccellente professionista e relatore davvero carismatico.L'occasione è il vertice DPI-NGO, preliminare all'Assemblea Generale che si svolge la prossima settimana. Il tema: la relazione fra Onu e le Ong e lo status degli otto obiettivi del millennio (si veda l'articolo della scorsa settimana) a cinque anni dal loro lancio e a dieci dal programmato raggiungimento del primo.Più di tremila i partecipanti, di ogni parte del mondo, cultura, religione, ideologia, paese e lingua. Davvero impressionante, anche per la qualità organizzativa. Ottimo il sito web del summit: www.UNdpiNGOconference.org. Mentre ascolto i relatori penso che, dopo la recentissima pubblicazione del rapporto Volcker sullo scandalo Oil for Food e le tante polemiche di questi anni sul non funzionamento dell'organismo, le Nazioni Unite sono malgrado tutto una cosa straordinaria e che soltanto le diplomazie degli Stati stanno riuscendo a ridurre il sogno di un mondo migliore allo stato di debilitazione in cui ora si trova.Certo - come abbiamo anche visto in Italia grazie alla bella inchiesta dei mesi scorsi di Claudio Gatti sul Sole24Ore e come lo stesso Kofi Annan ha ampiamente riconosciuto - la corruzione c'è stata e l'organizzazione necessita di profondi cambiamenti organizzativi, capaci di metterla nelle condizioni di esercitare il suo triplice ruolo di assicurare lo sviluppo, la sicurezza e i diritti umani.Ma, come ha detto con grande sincerità e forza persuasiva ai partecipanti Mark Malloch Brown, il nuovo capo di gabinetto di Annan chiamato nel gennaio scorso per guidare il ripulisti, la corruzione è anche figlia degenere della disperata, e per molti aspetti dissennata, nevrotica ricerca di scorciatoie dell'apparato per rispondere, anche se sommariamente, alle elevate e crescenti aspettative dei suoi stakeholder, mentre diversi governi fanno di tutto per ostacolare l'arrivo dei flussi finanziari già stanziati e programmati.Insomma una situazione paradossale che ha toccato il suo apice durante la sessione di chiusura con il duro, appassionato e tagliente intervento di chiusura della iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel per la Pace nel quale, dopo aver denunciato che molti governi stanno all'Onu per impedirgli di perseguire i suoi obiettivi, che molte ong di quei paesi sono consapevoli e ben finanziati strumenti operativi di confusione nella società civile, ha anche richiamato i Paesi democratici a svolgere un ruolo di pieno supporto alla promozione dei diritti umani proponendo che ad organizzazioni come Amnesty  e altre venga riservato un ruolo pieno di partecipazione attiva alle decisioni e ai programmi delle Nazioni Unite al posto dei rappresentanti dei Paesi che invece violano ogni giorni quei diritti. Una ovazione, tutti in piedi commossi e lunghi e appassionati minuti di applausi.A tutti gli effetti, pur scontando il cosiddetto ardore del neofitismo tipico di chi si trova per la prima volta a contatto con una organizzazione mitica anche se un po' ammaccata, è apparso evidente, chiaro ed esplicito come le politiche di comunicazione delle Nazioni Unite declinino operativamente quel modello di comunicazione - con di cui andiamo parlando, basato anche su un approccio strategico bilaterale e tendenzialmente simmetrico.A partire dalla stessa idea del summit: gli obiettivi del millennio vennero lanciati da Kofi Annan nel 2000 dopo ampia consultazione con i governi e i parlamenti, con le organizzazioni non governative e con il settore privato. La definizione degli obiettivi operativi è intervenuta dopo l'ascolto delle aspettative e il dialogo con gli stakeholder è ora di carattere permanente e continuativo.Ma non basta, molto interessante è che una gran parte delle centinaia di grandi imprese che hanno aderito al Global Compact (ho finalmente scoperto come si scrive, visto che fino ad oggi credevo fosse Compaq) hanno anche loro accettato di adottare un analogo approccio al dialogo con gli stakeholder, così come altrettanto hanno fatto le stesse ong che vanno per la maggiore.Insomma James Grunig e molti di noi dovrebbero essere contenti mentre la reputation school, imperniata anch'essa - è vero - sulla comunicazione dei comportamenti, ma troppo legata alla messaggistica, all'unilateralità e alla persuasione, esce a pezzi da questo confronto. (tmf)
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