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La Public Diplomacy alla prova della (post)verità

20/01/2017

E' stata la parola del 2016 econdo l’Oxford English Dictionary. Post - truth, ripresa in Italia come post - verità è una circostanza in cui i fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare la pubblica opinione che gli appelli all’emotività e le convinzioni personali. Lo confermano la Brexit e l'elezione di Trump, per fare i due esempi più citati. Non si tratta però di nulla di nuovo. Allora perché oggi vi è maggiore enfasi sul tema rispetto al passato? Quali sfide per l’attività di public diplomacy? La riflessione di Luca Alfieri.

 

Coniato all’inizio degli anni Novanta, il termine “Post-Verità” è tornato alla ribalta lo scorso anno, guadagnandosi il titolo di parola del 2016 secondo l’Oxford English Dictionary. La definizione del termine data dall’OED è stata ripresa in Italia dall’Accademia della Crusca: “relativo a, o che denota, circostanze nelle quali fatti obiettivi sono meno influenti nell’orientare la pubblica opinione che gli appelli all’emotività e le convinzioni personali.”

La scelta dell’OED è condivisibile, dal momento che mai come l’anno scorso notizie non comprovate o addirittura false, hanno avuto una certa influenza nei dibattiti pubblici e nel corso delle campagne elettorali. Il referendum sulla Brexit e le elezioni presidenziali americane sono gli esempi più citati quando ci si riferisce a questo particolare fenomeno.

Tuttavia, orientare l’opinione pubblica facendo appello all’emotività non è una strategia del terzo millennio. Controinformazione, disinformazione, propaganda, uso di notizie non attendibili o addirittura false sono azioni sempre esistite.

Allora perché oggi vi è maggiore enfasi sulla post verità, rispetto al passato? Quali effetti può avere tutto questo sugli equilibri internazionali? E quali sfide rappresenta, di conseguenza, per l’attività di public diplomacy?

A differenza della diplomazia tradizionale, che è il dialogo diretto tra due Stati, la public diplomacy è il dialogo tra uno Stato e i cittadini di un altro Stato. Suo compito è comunicare e interagire con l’opinione pubblica di un Paese estero al fine di creare con essa un rapporto di fiducia. Questo rapporto è il corpo entro cui scorre, come una linfa vitale, il flusso di informazioni che costituisce tale dialogo. Se questa linfa si infetta, o smette di scorrere in modo fluido, l’intero rapporto di fiducia ne risente.

Con la creazione e la diffusione sempre più rapida di notizie che fanno appello all’emotività – diffusione accelerata dal volano dei social network, attraverso i quali ognuno può diventare portatore sano di disinformazione, – e con il successivo flusso di smentite, si va a formare un clima di incertezza che porta l’individuo a domandarsi cosa sia vero e cosa falso, a chi credere e a chi no. Alla fine di questo continuo processo distruttivo/costruttivo non resta quindi che rivolgersi alle proprie personali convinzioni. E in un ambiente fatto di realtà fragili e facilmente confutabili, anche la fonte più autorevole rischia di venire azzerata: l’unica cosa certa è quella che proviamo dentro di noi, quella che sperimentiamo in prima persona. Vi è, in altre parole, un crollo della fiducia in tutto ciò che ci circonda.

Un governo che decide di approntare una strategia di public diplomacy verso i cittadini di un Paese estero si trova quindi a muovere i propri passi in un ambiente fatto di strutture che si sgretolano e di punti di riferimento che scompaiono, dove fornire informazioni e comunicati stampa non è più sufficiente e la fiducia si conquista e si mantiene a fatica.

Ma non è tutto. La public diplomacy può essere (e in effetti è) anche uno strumento mediante il quale si combattono guerre di informazione. Per mezzo di strategie particolarmente aggressive (cyberwar, disinformazione, diffusione di fake news e smentite continue, che mantengono sempre alta la soglia d’attenzione emotiva), un Paese può in qualche modo interferire anche sulle scelte interne di un altro Paese, come un’elezione, semplicemente incidendo sulla percezione della realtà di quella particolare opinione pubblica.

La post-verità ha causato l’erosione del rapporto di fiducia che lega un Paese al suo pubblico estero. Onde evitare un crollo ancora maggiore di tale legame, e sterilizzare strategie comunicative aggressive di terze parti, i governi dovranno intensificare l’attività di engagement e, soprattutto, incrementare l’empatia e l’ascolto dei propri pubblici esteri e delle loro emozioni.
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