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La selezione degli stakeholder nel 21° secolo

22/02/2013

Come individuare al meglio gli stakeholder group? Quali sono l'approccio e il metodo migliore per comunicare con efficacia? Un confronto a due voci tra _Toni Muzi Falconi_ e _Rachel Miller,_ esperta di comunicazione interna e curatrice del blog _Diary of Internal Communication,_ a partire da alcune novità emerse nello scenario internazionale.

La comunicazione interna ad un’organizzazione è sempre più determinante nella governance ed ha un ruolo strategico nella formazione del “carattere” dell’organizzazione, come emerso anche dal recente Mandato di Melbourne. Rachel Miller, esperta di comunicazione interna e curatrice del blog Diary of Internal Communication ha affrontato il tema con Toni Muzi Falconi sul sito PR Conversations.
Toni, mi piacerebbe saperne di più su ciò a cui stai lavorando attualmente.
Rachel, sto valutando possibili soluzioni alternative affinchè i comunicatori interni possano comprendere e comunicare in modo più efficace con propri stakeholder principali. In questa ricerca spero anche di identificare una visione “generale” del mondo professionale che sia adottabile e adattabile ad una governance efficace dei rapporti con gli altri stakeholder, come ad esempio i fornitori, gli investitori, i distributori, i media, i decisori pubblici, etc.
Sembra molto interessante. Quali sono gli approcci che stai esplorando?
Sto esaminando come segmentare gli stakeholder nel maggior numero possibile di gruppi, utilizzando indicatori di senso (per saperne di più, Karl Weick è una fonte preziosa). L’idea è quella di essere in grado di garantire che il contenuto possa essere adattato per soddisfare ed attrarre le aspettative di (e dialogo da) gruppi specifici. Le altre aree su cui sto riflettendo riguardano come è possibile migliorare i risultati? Ciò significa identificare ed esaminare la sempre più lunga lista di strumenti e canali flessibili. E questi devono essere applicati selettivamente sulla base di diverse variabili – che inevitabilmente cambieranno nel tempo.
Quali separazioni/gruppi ti aspetti di vedere?
Separazioni tradizionali, come tra operai, impiegati, dirigenti, etc. sono certamente necessarie. Ma queste separazioni non sono particolarmente utili se si sta cercando di coinvolgere le persone su questioni relative alla cultura generale, come ad esempio la motivazione, la partecipazione e la soddisfazione sul posto di lavoro.
Hai un modo di suddividere i singoli gruppi?
L’adozione di un approccio consolidato di segmentazione del mercato e l’adeguamento a quello specifico pubblico è utile. Tuttavia, molti adattamenti sono necessari non per giustificare ma per individuare un approccio diverso.
Quali sono le tue indicazioni per un approccio diverso?
Il crescente corpo di conoscenze in tema di influenza digitale è utile. Ed è anche la conferma che, per la maggior parte, gli approcci tradizionali delle Rp all’individuazione degli stakeholder possono fare luce tanto sui pubblici interni quanto esterni. Anche alcuni studi specifici (e molte applicazioni) sui concetti di “nicchia”, “tribù” o “cluster” sono molto validi in proposito.
Allora, qual è il fulcro della tua ricerca sulla comunicazione con gli stakeholder?
Il mio ragionamento – se si pensa ai dipendenti – è stato che possiedano i seguenti profili:

personale
professionale
territoriale (ossia che comprenda la storia, la cultura, i valori e le norme relative al vivere in un determinato territorio piuttosto che in un altro)

In parallelo, le organizzazioni hanno almeno due profili:

aziendale
settoriale

Una volta che si riconosce l’appartenenza ad uno specifico profilo, la progressione naturale del pensiero è che probabilmente sia una causa persa riuscire a sviluppare un approccio “generico” alla comunicazione, e che invece, sia più utile dedicare tempo ad approcci “specifici” (situazionali).
Questo significa che, poiché i dipendenti hanno più di un profilo, potrebbero essere inseriti in più segmenti?
Sì, in uno spazio operativo astratto e teorico, una data popolazione di dipendenti di una determinata organizzazione può essere “suddivisa” in almeno cinque “profili”, come sopra elencati. Ciascuno dei quali, ovviamente, si interseca anche con gli altri. Poi, secondo l’obiettivo specifico che i professionisti di comunicazione interna intendono raggiungere, i contenuti, gli strumenti e i canali disponibili possono essere mescolati e distribuiti in modo diverso in ogni situazione.
È un’idea interessante quella di segmentare la comunicazione sulla base del profilo cui i pubblici appartengono.
Sì. Questo non significa – come qualcuno potrebbe pensare – una “via d’uscita più facile”, perchè comporta un impiego di professionalità e competenze che normalmente non appartengono ai comunicatori. Alcune aree (cluster) che dovrebbero essere mappate e ascoltate sono:

la cultura organizzativa dominante (con le sue sottoculture e anti-culture), e
le culture settoriali o industriali

E, naturalmente le caratteristiche

legali
politiche
economiche
socio-culturali
di cittadinanza attiva e
mediali

di un dato territorio. Questo significherebbe anche la mappatura e la comprensione dei profili personali e professionali e la creazione di contenuti legati all’obiettivo specifico che si sta cercando di raggiungere. Questo avrebbe quindi bisogno di essere adattato ad ognuno di questi gruppi, oltre che individuare gli strumenti e i canali più idonei – una fatica all’ultimo sangue! A meno che, naturalmente, questo " generico approccio situazionale" (un ossimoro?) non diventi il metodo di base adottato per ogni programma.
Come vedi questo tipo lavoro, in pratica, per i comunicatori interni?
Non sono affatto sicuro di dove sto andando con questo lavoro perché sono ancora in fase esplorativa. È per questo che mi piacerebbe davvero ricevere commenti, suggerimenti, consigli da parte tua, Rachel, così come dai lettori di PR Conversations. Detto questo, immagino che, di fronte ad un progetto chiaro e determinato di change management (per fare un esempio comune) – il comunicatore interno sia molto competente per quanto concerne il settore dell’organizzazione e le culture aziendali e si concentri su mission e valori. Cioè sull’impatto sullo specifico obiettivo perseguito. Il comunicatore identifica quindi i dipendenti coinvolti nell’obiettivo (tutti, in questo caso) e ascolta i loro pareri e aspettative, integrando questi risultati nei profili personali, professionali e territoriali. Questa conoscenza, a sua volta, crea una infrastruttura comunicativa complessiva che permette un adattamento flessibile dei molteplici contenuti che possono essere distribuiti attraverso un numero sempre crescente di strumenti e canali selezionati sulla base di indicatori prioritari. Per esempio, interattività, flessibilità, impatto temporale, credibilità, portata e così via.
Grazie, Toni. È certamente vero che i comunicatori sono esperti nella segmentazione della comunicazione per poter raggiungere gli obiettivi organizzativi. La mia opinione sul tuo approccio è che ci sarebbero molti vantaggi nella suddivisione dei dipendenti in pubblici e nel realizzare una comunicazione ad hoc, in base alle variabili che hai precedentemente menzionato. Tuttavia, la mia preoccupazione riguarda come classificare con precisione i “dipendenti”. E forse, ancora più importante, come “tenere traccia” di eventuali modifiche nel settore, nella geografia, etc. Se si aggiunge una quantità enorme di sfide analitiche per i professionisti della comunicazione, mi chiedo quanti lo farebbero? L’inclinazione ci sarebbe anche ma forse non altrettanta disponibilità di risorse (di tempo e denaro). Si tratta certamente di cibo per la mente. E mi piace come può piacere a chiunque abbia studiato le idee creatrici di senso di Weick. La nozione di Weick di creatore di senso – letteralmente dare un senso a ciò che vediamo e sentiamo – ha un ruolo cruciale in questo contesto. Ad esempio, il frame di comunicazioni di riferimento. Per esempio, ai dipendenti vengono presentate le informazioni in un modo che essi siano in grado di riconoscere (framework) che ha senso in base alla loro comprensione (ad esempio, alcuni spunti) e che porta a una comunicazione efficace (ad esempio, una connessione). L’idea di Weick è che quando le persone cominciano ad agire generano risultati in un determinato contesto, e questo li aiuta a scoprire quello che sta accadendo, ciò che deve essere spiegato e ciò che dovrebbe essere fatto in seguito. In breve, una buona storia. La costruzione di senso riguarda la plausibilità, la coerenza e la ragionevolezza. È noto che i dipendenti comprendono a fondo le cose se hanno un indizio/recettore. Facendo un ulteriore passo in questa riflessione, penso che i profili che hai citato giochino un ruolo fondamentale e mi pare che questa segmentazione possa funzionare.
Chiaramente, l’approccio che suggerisco comporta per il comunicatore interno un maggiore investimento in termini di sforzo intellettivo e di tempo per preparare un programma prima di implementarlo. È naturale che un professionista sia incline ad applicare metodi utilizzati da sempre piuttosto che optare per un percorso diverso. Tuttavia, la razionalità suggerisce che un approccio più “riflessivo” oggi sia necessario perché la comunicazione interna è diventata estremamente rilevante. Inoltre, il recente (2010) sforzo collettivo globale di Global Alliance per definire la necessità di un allineamento tra la comunicazione interna ed esterna di un’organizzazione (mi riferisco agli Accordi di Stoccolma) indica che:
Per l’organizzazione comunicativa, la comunicazione interna è fondamentale per lo sviluppo e il sostegno dell’organizzazione, promuovendo la fiducia, l’impegno, le finalità e gli obiettivi condivisi tra tutti gli stakeholder interni, inclusi i dipendenti di tutti i livelli, i collaboratori esterni, i consulenti, i fornitori, i volontari e tutte le altre figure necessarie per l’adempimento dello scopo dell’organizzazione.
E questo certamente richiede un approccio più sofisticato e consapevole.
Ma come fai a sapere quando i gruppi sono soddisfatti? Quale misura sarebbe opportuno mettere in atto?
L’obiettivo finale, a mio avviso, non è quello di soddisfare (comunque) i gruppi identificati, ma raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione. Da questa premessa, il comunicatore interno assume che ridurre le frustrazioni e la resistenza nella forza lavoro e stimolare le idee, la motivazione e la partecipazione, migliora le possibilità di raggiungere l’obiettivo specificato. La metodologia di valutazione che suggerisco è che, una volta che l’intero e i gruppi specifici sono stati identificati (vedi domanda precedente), la qualità delle relazioni esistenti e i contenuti siano pre-collaudati con campioni di ogni gruppo. Il test di qualità sarebbe sulla base di:
• fiducia
• soddisfazione
• impegno
• equilibrio di potere o mutualità di controllo all’interno del rapporto.
Nonché:

credibilità della fonte
credibilità dei contenuti, e
familiarità dei contenuti

per la qualità della comunicazione. Un simile test preventivo permette di impostare e condividere con il top management gli obiettivi specifici di comunicazione da raggiungere in un determinato periodo di tempo con le risorse date. Un test a posteriori, a seguito dell’attuazione del programma, fornirà una buona idea di cosa sia andato storto nel processo. Inoltre, questo metodo consente al comunicatore di negoziare in anticipo rispetto alla effettiva attuazione; ad esempio, un bonus se e quando i risultati superano gli obiettivi stabiliti. Ho adottato questo metodo (in continuo aggiornamento e flessibile) per molti progetti di Rp nel corso degli ultimi 20 anni e sono sempre stato soddisfatto.
Toni, grazie per aver condiviso con noi i tuoi pensieri. Mi piace molto l’idea di un test di misurazione preventivo e di uno a posteriori. Dalla rilettura della nostra conversazione sulla tua nuova area di studio, quello che risulta evidente per me è che chi si occupa di comunicazione interna debba essere flessibile ed in grado di adattare ed evolvere il proprio modo di lavorare, per poter soddisfare tanto le esigenze in continua evoluzione dei dipendenti e che gli obiettivi dei datori di lavoro. Mi chiedo, cosa pensano gli altri lettori?
Fonte: PR Conversations
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