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La sostenibilità in un abito

24/07/2013

Scegliere un vestito o comprare un libro sono gesti, che nella loro semplicità, possono fare la differenza per il pianeta. E sono sempre più le aziende ad esserne consapevoli anche se molto resta da fare perché le organizzazioni compiano passi concreti.

di Elena Rossi
La scelta della sostenibilità è sempre più radicata nel nostro quotidiano. Anche comprare un vestito o scegliere un libro sullo scaffale di una libreria può fare la differenza per l’ambiente che ci circonda.
Lo sa bene Valentino, l’unica casa di alta moda ad essere promossa dalla classifica The fashion duel di Greenpeace come riportato da Adnkronos. L’associazione ambientalista ha inviato a 15 aziende di haute couture, 11 italiane e 4 francesi, un questionario con 25 domande per scoprire se i loro prodotti di lusso sono contaminati dalla deforestazione e da sostanze tossiche.
La campagna, partita a febbraio di quest’anno, ha portato a risultati poco incoraggianti. La metà delle aziende ha risposto, ma soltanto una, ossia Valentino, ha assunto delle responsabilità formali. L’azienda, infatti, si è impegnata a seguire politiche di acquisto e produzione ‘deforestazione zero’ per la pelle e il packaging e ‘scarichi zero’ nella propria filiera tessile e ad eliminare dai tessuti le sostanze tossiche che quando finiscono in acqua hanno un effetto diretto sulla fauna e avvelenano le risorse idriche.
Sulla buona strada Gucci che da tempo si è impegnata in politiche di acquisto della pelle e della carta che garantiscono la sostenibilità di questi prodotti e dal 2009 ha attivamente sostenuto la moratoria sull’espansione dell’allevamento bovino in Amazzonia.
Armani e Versace, invece, si sono impegnate solo sulle politiche di acquisto, ma ci si aspetta che prendano posizione anche sull’utilizzo sulle sostanze tossiche. Tra i grandi assenti: Prada, Dolce & Gabbana, Alberta Ferretti, Cavalli, Chanel e Hermès che non hanno risposto al questionario.
In fatto di sensibilità green risultano più attente le case editrici italiane: sono sempre di più quelle che decidono di stampare su carta riciclata, permettendo così ai lettori di compiere un piccolo gesto che ha il suo peso in termini di tutela delle foreste. La carta utilizzata per i libri del mercato italiano, infatti, potrebbe provenire da attività di deforestazione in Indonesia dove alcune multinazionali sono responsabili del taglio a raso delle foreste per l’espansione delle proprie piantagioni industriali di acacia per produrre polpa di cellulosa.
Un’altra classifica di Greenpeace, Salvaforeste conta ben 17 editori ”Amici delle Foreste”, che utilizzano alte percentuali di fibre riciclate a fibre vergini certificate Fsc (Forest Stewardship Council), che garantisce la tutela delle foreste. Si va da Altraeconomia a Edizioni Ambiente, da Fandango a Gaffi. C’è poi un nutrito numero di editori ‘sulla buona strada’, che stampano prevalentemente su carta certificata Fsc, ma che devono impegnarsi ad aumentare la percentuale di fibre riciclate. Tra questi: Feltrinelli, Laterza, Giunti, Il Castoro, Baldini Castoldi Dalai, Il Mulino, Rizzoli e Zanichelli.
La scelta della carte riciclata non solo fa bene all’ambiente, ma sembra non creare alcun fastidio ai lettori. Dai primi risultati di un sondaggio online lanciato da Greenpeace e raccontato da Ansa, al quale hanno già partecipato oltre 12 mila persone, risulta che il 90% di loro non nota differenze di leggibilità tra i libri stampati in carta riciclata e quelli in carta prodotta con fibra vergine. Non troverebbero conferme, dunque, i timori di molti editori italiani che rifiutano ancora la carta riciclata per questa ragione.
Una tonnellata di carta riciclata consente di risparmiare, rispetto alla carta vergine, il taglio di 24 alberi, il consumo di 4.100 kWh di energia e di 26 metri cubi di acqua, e le emissioni di 27 chili di Co2.
Fonte: Amapola
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