Federica Zar
Un'analisi, insieme a Dino Amenduni, socio di Proforma per la comunicazione politica e la pianificazione strategica e componente del Comitato scientifico di InspiringPR, sulle recenti elezioni regionali.
Sebbene l’esito delle recenti elezioni regionali fosse da tempo scontato a vantaggio del centrodestra, sono le proporzioni, i numeri, gli ordini di grandezza a sorprendere, ma anche a restituire alcuni messaggi inequivocabili. Vediamo quali.
L’assenza di contendibilità fa diminuire l’interesse dei cittadini e dei media nei confronti delle elezioni, e dunque favorisce l’astensione?
Il calo dell’affluenza, in verità, è pressoché inesorabile da almeno un paio di decenni nelle elezioni di ogni livello e collegare il proprio esercizio di voto in modo così forte a dinamiche competitive e non rappresentative (cioè considerare il proprio voto utile solo se si può battere il proprio avversario e non per eleggere i propri rappresentanti locali e nazionali) è la dimostrazione eclatante della rottura della cinghia di trasmissione tra partiti (nessuno escluso) e cittadini e dell’abdicazione degli stessi partiti al ruolo, definito dalla Costituzione, di collettori di istanze diffuse nella società.
La tanto annunciata "Opa ostile" di Conte, Calenda e Renzi al Partito Democratico non c’è stata. Ciò mette in evidenza elementi che potrebbero avere un valore anche al di là delle specifiche dinamiche politiche relative alle regioni in cui si è votato?
Due sono gli elementi da considerare.
M5S e Terzo Polo sono "partiti-ologramma", in cui il consenso coincide con le capacità comunicative e in subordine politiche dei loro leader e in cui le dinamiche di voto d’opinione sono dunque tanto più determinanti quanto più l’esito del voto è scollegato dalle capacità (molto modeste) di radicamento di questi partiti sul territorio. Tradotto in soldoni: Conte, Calenda e Renzi hanno un problema di scarsa rappresentatività in termini di classe dirigente a livello locale. Per questo motivo il M5S va molto meglio alle elezioni politiche rispetto a quelle amministrative e regionali; lo stesso discorso sembra valere anche per Azione/Italia Viva.
Il PD invece si trova nella situazione opposta. Se M5S e Terzo Polo hanno la testa ma non il resto del corpo, il PD non ha una testa (almeno per il momento) ma ha un radicamento territoriale ancora sufficiente, e questo gli consente di non solo di reggere l’impatto elettorale anche in tornate disastrose per il centrosinistra come quest’ultima, ma anche di non soccombere alle spinte competitive molto forti rappresentate dai "vicini di opposizione". Fino a quando il PD continuerà ad avere classe dirigente di buon livello sul territorio e fino a quando Conte, Calenda e Renzi non riusciranno a fare passi in avanti su questo aspetto, il PD potrebbe riuscire a sopravvivere anche alla crisi più grave della sua storia, o quantomeno a reggere almeno fino al prossimo appuntamento politico nazionale, rappresentato dalle elezioni Europee del 2024.
Se questa analisi fosse confermata, il PD farebbe bene ad abbandonare quanto prima la sempiterna discussione sulle alleanze (che porta risultati risibili in termini di voti e disastrosi in termini di dibattito interno, autoreferenzialità e conseguente disinteresse da parte degli elettori) e a concentrarsi sulla più profonda auto-riforma possibile, nella speranza di riuscire a risalire la china.