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Preghiera di fine anno di un relatore pubblico miscredente

28/12/2009

Torna l’appuntamento annuale con la preghiera “laica” di Toni Muzi Falconi che fa il bilancio dell’anno appena concluso e prospetta alcuni scenari per il 2010.

Padre Nostro:


il 2009, per noi relatori pubblici, è stato assai migliore del temuto e possiamo anche sperare, con qualche ragione, che il 2010 sia anche migliore, sempre che ciascuno di noi adotti almeno una delle raccomandazioni finali di questa preghiera.


Intanto abbiamo fatto assai meglio, sia sul piano culturale che su quello economico, di qualsiasi altra professione comparabile.


A livello della governance delle organizzazioni, il King3 report afferma che le relazioni con gli stakeholder sono la primaria responsabilità dei consigli di amministrazione e che il management è dunque chiamato a identificarli, ad ascoltarli, a coinvolgerli, a ingaggiarli e a riferire di questo lavoro ad ogni riunione del consiglio di amministrazione segnalando le problematicità e suggerendo politiche e azioni volte a ridimensionarle. Chi può fare questo se non noi?


A livello del management, i nostri colleghi svedesi hanno rivelato che, per la pianificazione strategica, la tradizionale catena del valore porteriana sta lasciando il passo al valore prodotto all’interno dei network (della rete) e fra i network. Per meglio raggiungere le sue finalità deve sviluppare due ruoli comunicativi strategici: quello ideologico (corporate) e quello contestuale (all’interno dei network e fra i network).


Sempre a livello del management il ripensamento dei modelli di business e dei processi decisionali richiede una sempre maggiore collaborazione di tutti gli stakeholder le cui aspettative rispetto alle finalità e agli obiettivi specifici delle organizzazioni vanno sempre meglio ascoltate e interpretate prima dell’azione e, in questo, nessuno meglio dei relatori pubblici possiede le competenze di base di per farlo.


Inoltre, l’enorme sviluppo della società relazionale e dei social media ha indotto il management a prendere atto della caduta delle barriere fra comunicazione interna ed esterna e capita sempre più spesso che il direttore della comunicazione si occupi dell’insieme dei comportamenti comunicativi dell’organizzazione.


Nel marketing la pubblicità è crollata e, almeno in Italia, stenta a imboccare strade diverse da quelle già battute e in larga parte superate. Le direzioni marketing tendono a dare oggi sempre più fiducia alle relazioni pubbliche: costano di meno e rendono di più.


L’ultimo dato l’ha fornito Mark Weiner qualche settimana fa scrivendo che il ROI delle marketing pr va da 4 a 10 volte l’investimento mentre la pubblicità rende il 20%, le promozioni perdono altrettanto e il trade marketing rende il doppio.


Certo, il ruolo dei media tradizionali è anch’esso crollato, i giornalisti vengono messi in libertà dagli editori e affollano la nostra professione. Ma perché preoccuparsene? Chi sa scrivere bene e ha qualche relazione consolidata con altri giornalisti è sempre utile.


Naturalmente, visto che siamo al giro di boa dei 40 anni di Ferpi e alla vigilia del Forum Mondiale di Stoccolma urge che ciascuno di noi affini le sue conoscenze di quel che succede nel mondo e migliori le competenze in tutte le aree sopra descritte.


Naturalmente le raccomandazioni passate rimangono tutte valide. Le ricordate?



E’ un fatto confermato: la maggior parte dei lettori di questo sito non è associata alla Ferpi. Questo implica che, se in qualche modo pensate di fare il relatore pubblico, state producendo un danno a voi stessi e alla vostra professione. Perché non ci aiutate a migliorare e, tutti insieme, a contare di più?
E’ stato un altro anno in cui le pr negative (ho deciso di eliminare dal mio vocabolario la dizione black pr da quando un mio studente afroamericano mi ha fatto notare che proprio la dizione black pr ha contribuito a ritardare lo sviluppo della professione nella comunità afroamericana, ed ha proprio ragione) hanno fatto follie anche in Italia. Pensate soltanto a tutto quel che è avvenuto sopra, sotto e intorno al nostro primo ministro e a molti presidenti di regione, al ruolo svolto dalle relazioni pubbliche in alcuni nostri processi (da Garlasco a Perugia) e alle tante altre occasioni in cui si siamo vergognati di fare le relazioni pubbliche. Possibile che non riusciamo a evitare di usare le relazioni pubbliche per distruggere il concorrente o nemico di turno?
E quando è stata l’ultima volta che abbiamo aiutato uno studente di relazioni pubbliche offrendogli uno stage, sistemandogli una tesi, dandogli qualche buon consiglio? Pensiamo davvero che siano solo delle bestie da soma? Ma ci siamo fatti una idea dei corsi che seguono? O pensiamo che stiano li a fare degli studi inutili? In realtà, quegli studi sarebbero utili anche a ognuno di noi.
Pippe, pippe, pippe… ecco cosa molti di noi pensano della ricerca e della costruzione di un corpo di conoscenze delle relazioni pubbliche.



Ma possibile essere così coglioni e buttarsi a mare, quando invece sarebbe importante che le nostre riflessioni (e qualche volta ci capiterà pure di pensare…no?) entrassero a buon diritto a far parte di quel corpo di conoscenze?
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