Quelle lobbies europee...
22/12/2004
L'appello di organizzazioni non governative e associazioni per frenare i gruppi di pressione delle multinazionali in Europa. La replica di Fabio Bistoncini.
Comunicato Stampa Rete LilliputLa Commissione europea freni le lobbies di pressione delle multinazionaliLettera aperta della società civile europea al presidente della commissione Barroso
I gruppi firmatari, appartenenti alla società civile di vari paesi europei, vi chiedono di agire immediatamente per porre un freno all'eccessiva influenza dei gruppi di pressione delle grandi aziende nei confronti delle politiche dell' Unione Europea. Oltre 15 mila "lobbisti" lavorano a tempo pieno a Bruxelles, in gran maggioranza rappresentano interessi privati imprenditoriali. Questi gruppi di pressione ottengono continuamente successi nel rinviare o bloccare ogni progresso verso la protezione sociale e ambientale nell'ambito dell'U.E. La Commissione Europea deve agire immediatamente per evitare che l'Europa scivoli verso i livelli di controllo delle multinazionali, sulle politiche pubbliche, esistenti negli Stati Uniti.Accogliamo con favore la decisione di introdurre un "Codice di Condotta per i Commissari" (comprendente un dichiarazione sugli interessi finanziari) e l'impegno del commissario Neelie Kroes di non accettare posizioni dirigenziali nel business privato al termine del suo mandato di Commissario alla Concorrenza. Consideriamo questi come passi nella giusta direzione ma ancora insufficienti. Tutti i Commissari Europei e i membri ufficiali della Commissione dovrebbero essere obbligati ad accettare un sostanziale e ben definito periodo di "astensione" dal ricoprire posizioni dirigenziali in aziende private. Queste misure sono necessarie per prevenire casi di conflitto di interessi come quello del commissario al commercio Brittan che meno di un anno dopo aver lasciato la Commissione Europea divenne non solo consulente sui temi WTO per lo studio legale Herbert Smith, ma anche vice presidente della banca per gli investimenti USB Warlburg e consigliere d'amministrazione della Unilever. Subito dopo accettò la presidenza del Comitato per i Servizi Finanziari Londinesi LOTIS (IFSL), una lobby rappresentante degli interessi finanziari inglesi. Questi casi non aiutano a migliorare l'immagine della Commissione Europea.Migliaia di lobbisti, supportati da un esercito di consulenti, giocano un potente e sempre maggior ruolo antidemocratico nei processi politici dell'Unione Europea. Come primo passo per risolvere questi problemi l'Europa necessita di regolamenti etici più stringenti e trasparenti. Da tempo le risposte della Commissione sono profondamente inadeguate; limitate ai codici di condotta, estremamente laschi e completamente volontari, sviluppati dalla Società Europea per gli addetti agli Affari Pubblici (SEAP).Uno tra gli esempi che meglio testimoniano la necessità di migliorare e rinforzare le regole di etica e trasparenza è il caso del Broming Science and Environmental Forum (BSEF), una lobby che si oppone alla regolamentazione dei rischi alla salute e all'ambiente dovuti alle conseguenze tossiche dei composti a base di bromo. Sono stati necessari considerevoli sforzi di ricerca per scoprire che il BSEF - soggetto molto attivo nei processi decisionali dell' Unione Europea riguardanti le sostanze anti-incendio basate sul bromo - non è altro che un gruppo di pressione industriale che ha sede negli uffici di Bruxelles di una multinazionale, e che opera per conto dell'industria chimica.Senza una radicale revisione degli obblighi di registrazione e trasparenza per i lobbisti che influenzano le istituzioni europee, sarà vano ogni tentativo di limitare l'influenza delle multinazionali sulle politiche dell'Unione Europea. L'Unione Europea dovrebbe imparare dalle legislazioni USA e canadesi in materia di obblighi per le lobby e imporre alle organizzazioni e aziende, che interagiscono con le istituzioni del U.E. (con un budget consistente), la redazione di rapporti periodici che dettaglino i propri obbiettivi di lobbing, per quali clienti e con quali fondi. Questi rapporti dovrebbero essere pubblici ed accessibili a tutti tramite un data-base consultabile via internet.Chiediamo inoltre che la nuova Commissione Europea operi una chiara rottura con le pratiche antidemocratiche dei suoi predecessori, ad esempio l'"incestuosa" relazione con il TABD (Dialogo d'Affari Trans-Atlantico), co-fondato dal Commissario Leon Brittan. Il TABD rappresenta un primo esempio di un'inappropriata influenza sulle politiche di regolamentazione e commercio dell'UE che la precedente Commissione Europea aveva garantito alle grandi aziende multinazionali.Vi ricordiamo che la Commissione Prodi nel 2003 prese la profondamente anti-democratica decisione di accelerare la richiesta del TABD di introdurre una "Struttura di distribuzione" e istituire un "Gruppo di Collegamento Orizzontale" di Commissari di alto livello al servizio del TABD. Domande su questo argomento sono state poste al nuovo commissario al commercio, Peter Mandelson durante la sua audizione del 4 ottobre al Parlamento Europeo, ma il Commissario designato ha evitato di rispondere. Il Forum Europeo dei Servizi (ESF) è un altro esempio di un gruppo d'aziende private che da tempo gode di privilegi straordinari da parte della Commissione Europea. Le politiche dell'Unione Europea dovrebbero essere al servizio del pubblico interesse e non strettamente legate alle agende commerciali delle grandi aziende, vi esortiamo a privare questi gruppi di affari dei loro inappropriati privilegi. Rimaniamo in attesa di una vostra risposta a queste proposte, che crediamo essere di grande importanza per migliorare la credibilità democratica della Commissione Europea.
In fede,i firmatari:Corporate Europe Observatory (CEO)Transnational Institute (TNI)SpinwatchAfrika Europa Netwerk, The NetherlandsAgir Ici, FranceAgrarbündnis, AustriaAlliance for Sustainable Development, LatviaA SEED EuropeAssociation of Farmers (ATB), MaltaATTAC España, SpainAttac FinlandATTAC Flanders, BelgiumATTAC FranceATTAC SwedenBaby Milk Action, United KingdomBerne Declaration, SwitzerlandBoth ENDS, The NetherlandsBUND / Friends of the Earth GermanyCampagna per la Riforma della Banca Mondiale, ItalyCentro Nuovo Modello di Sviluppo, ItalyCoalition Against Bayer Dangers, GermanyCornerHouse, United KingdomCrocevia, ItalyDefend Council Housing, United KingdomEcologistas en Acción, SpainEstonian Green MovementEU-AG ATTAC GermanyEuropean Farmers Coordination (CPE)For Mother Earth, BelgiumFriends of the Earth Czech RepublicFriends of the Earth England, Wales and Northern Ireland (FoE EWNI)Friends of the Earth FinlandFriends of the Earth FranceFriends of the Earth SlovakiaGreenpeace (European Unit)Ibfan ItaliaInformationsgruppe Lateinamerika, AustriaInstitute for Economic Relocalisation, FranceKairos Europa"Less beneficence, more rights" campaign - Italian coalition of NGOsMilieudefensie / Friends of the Earth NetherlandsNordBruk, SwedenObservatori del Deute en la Globalització, CataloniaÖsterreichische Bergbauern- und Bergbäuerinnenvereinigung, AustriaOxfam Solidarity, BelgiumProtect the Future, HungaryQuaker Council for European AffairsRete di Lilliput, ItalyRoba dell'Altro Mondo Fair Trade, ItalySmåbrukare i Sjuhärad, SwedenWomen in Development Europe (WIDE)World Development Movement, United KingdomUmanotera, Foundation for Sustainable Development, SloveniaURFIG, FranceVAK / Friends of the Earth LatviaWar on Want, United KingdomWorld Economy, Ecology & Development (WEED), GermanyXminusY Solidarity Fund, Netherlands
I lobbisti no global all'attaccoFabio Bistoncini
Come ogni lobbista sa bene, ogni qual volta vi è un cambiamento di un organo decisionale, uno dei primi atti da compiere consiste nel posizionare il proprio gruppo di interesse nei confronti del nuovo decisore pubblico al fine di avviare l'attività di accreditamento con l'obiettivo di essere riconosciuti quale interlocutori all'interno del nuovo contesto decisionale. L'appello veicolato dalla Rete Lilliput alla nuova Commissione Europea, pubblicato dal nostro sito, rientra in questo genere d'attività e merita alcune riflessioni di merito. Cominciamo con il dire che ci hanno lasciato alquanto perplessi alcune affermazioni poste nella parte iniziale del documento. Più in particolare la presunta "eccessiva influenza da parte dei gruppi di pressione delle grandi aziende nei confronti delle politiche dell'Unione Europea" e la segnalazione che a Bruxelles sono attivi "oltre 15.000 lobbisti in rappresentanza di interessi privati imprenditoriali
. che ottengono successi nel rinviare o bloccare ogni progresso verso la protezione sociale e ambientale nell'ambito UE". Si tratta di due affermazioni volutamente "ideologiche" che come tali rispettiamo ma che ci permettiamo di non condividere e cercare di contrastare con alcune "contro deduzioni".
Che cosa significa infatti "eccessiva influenza"? I gruppi di pressione, per loro natura, esplicano la loro attività nella relazione con il decisore pubblico. Il fatto che questa sia definita "eccessiva" è un giudizio di valore, a cui si potrebbe ribattere con un altro giudizio di valore di segno contrario: a causa dell'eccessiva attenzione che il legislatore europeo ha sempre posto alle istanze dei gruppi firmatari dell'appello (o similari), l'Europa si è dotata di un "corpus" normativo che penalizza la competitività nei mercati internazionali delle imprese del vecchio continente proprio perché impone loro costi "sociali" ed "ambientali" che non hanno eguali in altri sistemi economici. Parlare di "peso eccessivo" o "eccessiva influenza" senza fornire alcun dato che possa suffragare le proprie affermazioni lascia dunque il tempo che trova. Puro e semplice esercizio di stile, dunque. Ma la seconda parte dell'affermazione sopra riportata è ancora più drastica. Riaffermare infatti il trito assioma che l'attività di lobby condotta a sostegno di interessi imprenditoriali sia rivolta esclusivamente a bloccare o rinviare normative a sostegno della protezione sociale o ambientale è una affermazione di parte che tende a riproporre il vecchio stereotipo dell'ineludibilità del contrasto tra interessi particolari ed "interesse generale", di cui ovviamente sarebbero portatori i gruppi firmatari dell'appello in quanto espressione della cosiddetta "società civile" (1). Impostazione che non condividiamo anche perché, a nostro avviso, l'interesse generale è frutto della mediazione degli interessi particolari, a volte convergenti, altre volte confliggenti tra loro.
Compito del decisore pubblico è quello appunto di ascoltare e mediare tra le varie istanze, interessi e dei relativi gruppi di riferimento. Ecco perchè affermiamo, al contrario di quanto asserito nel documento ("migliaia di lobbisti ed un esercito di consulenti giocano un potente e sempre maggior ruolo antidemocratico nei processi politici dell'unione"), i lobbisti, i gruppi di interesse rivestono un ruolo importante proprio nel garantire la più ampia democraticità della decisione pubblica. L'arrogarsi il diritto di essere sempre e comunque dalla parte del giusto (come sottintendono gli estensori dell'appello) impedisce, di fatto, un confronto su come arrivare a condividere le "regole del gioco" e cioè della competizione tra i vari interessi di parte per influenzare il decisore pubblico. Il bello che proprio sull'individuazione e predisposizione di queste regole un accordo può essere trovato nell'interesse di tutti: dei gruppi che sostengono interessi imprenditoriali e di gruppi portatori di interessi "sociali". Alcune delle proposte (assai poche, in verità) contenute nell'appello sono da sottoscrivere senza esitazioni: la riformulazione degli elenchi dei lobbisti a Bruxelles, la previsione di un periodo di "moratoria" durante il quale è vietato il fenomeno delle "sliding doors" e cioè il passaggio di soggetti che hanno ricoperto incarichi decisionali presso organismi pubblici a funzioni di rappresentanza di interessi privati.
Attenzione però! Questo deve valere per tutti i gruppi di interessi "privati". Se deve essere vietato che il Commissario Antitrust (per semplicità lo definiamo così) una volta scaduto il suo mandato possa ricoprire, se non dopo un certo periodo (uno o due anni), incarichi direttivi all'interno di una multinazionale, la stessa regola deve applicarsi, ad esempio, al Commissario all'Ambiente che non potrà, a sua volta, ricoprire incarichi presso Greenpeace international! Regole chiare, dunque, ma per tutti. Tutto ciò per conseguire l'obiettivo comune di una maggiore trasparenza del processo decisionale. Avviandoci verso la conclusione non possiamo non sorridere di fronte a quella che ci pare una grave contraddizione in cui sono caduti, nella loro pur apprezzabile foga ideologica, gli estensori dell'appello. All'inizio infatti i firmatari temono che l'Europa scivoli "verso i livelli di controllo delle multinazionali, sulle politiche pubbliche, esistenti negli Stati Uniti"; qualche paragrafo più sotto dichiarano che l'Unione Europea, "dovrebbe imparare dalle legislazioni USA e Canadesi in materia di obblighi per le lobby
."
Delle due l'una: o le regole americane non funzionano, dal momento che hanno permesso ai grandi gruppi multinazionali di condizionare la politica statunitense, e quindi non possono essere prese come modello normativo per regolare le lobby in Europa; oppure sono un modello di riferimento
. ma allora lo diventano anche gli effetti che derivano dall'applicazione di quelle regole, effetti contro i quali, al contrario, si scagliano le associazioni non governative. Un bel rebus, dunque.
Tra l'altro proprio negli Stati Uniti, è in corso da anni un acceso dibattito su come rinnovare il vecchio "Lobbyinc Act" e le sue successive modificazioni. Prenderlo come il solo modello di riferimento ci pare sia frutto di un atteggiamento superficiale e poco informato. Un'ultima annotazione in materia di trasparenza. Abbiamo molto apprezzato il passaggio dell'appello in cui si puntualizza la necessità di migliorare e rinforzare le regole di etica e di trasparenza. Ci ha anche convinto la necessità quindi di dotarsi di regole chiare ed efficaci per verificare la reale rappresentatività di sigle, centri studi, centri di ricerca ecc. dietro le quali possono nascondersi interessi di parte difficilmente individuabili. Il problema è antico, sempre lo stesso: quello appunto della reale rappresentatività dei gruppi di interesse che deve essere verificata dal decisore pubblico. Su questo punto molto deve essere ancora fatto e un dialogo appare possibile anzi auspicabile. Se tutti i soggetti si pongono, senza preconcetti, sullo stesso piano, però!
L'appello è infatti firmato da circa sessanta associazioni. Senza voler assolutamente entrare in polemica sui numeri (non possiamo non notare però che l'associazione ATTAC ha di fatto firmato sei volte l'appello facendolo sottoscrivere dai propri gruppi attivi in sei diversi paesi europei; lo stesso l'associazione "Friends of the Earth"), maggiori informazioni sui soggetti firmatari e sui loro finanziatori non avrebbero guastato. Chi si professa paladino dell'etica e della trasparenza dovrebbe essere il primo a fornire tutte le informazioni possibili per verificare la sua reale rappresentatività senza costringere i propri interlocutori a faticose ricerche o, al contrario, a veri e propri "atti di fede". Dispiace constatare che, in questo caso, non sia stato fatto. Sarà stato sicuramente un errore in buona fede e non invece un atteggiamento frutto della supponenza di chi si ritiene al di sopra delle regole che invoca a gran voce per gli altri.
Anche se, come diceva uno vecchio saggio della prima repubblica "a pensar male si compie peccato, ma spesso ci si indovina".--------------------------------------------------------------------------([1]) Ci scuseranno i nostri lettori ma ancora, dopo tanti anni, non abbiamo capito il reale significato della locuzione verbale "società civile". Per questo ci ostiniamo a riportarla tra virgolette anche se è ormai entrata nel linguaggio comune. Eterna sarà la nostra riconoscenza nei confronti di chi riuscirà a fornirci una convincente delucidazione socio politica.