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Se l’Italia comunica una crisi senza l’ausilio dei professionisti

05/06/2020

Serena Bianchini

Cosa succede se si gestisce una crisi senza affidarsi ai professionisti? È quello che è successo nel nostro Paese durante l'emergenza sanitaria degli ultimi mesi. Ne ha parlato Gianluca Comin, lo scorso 25 maggio, durante l'evento organizzato dalla Delegazione Ferpi Lazio.

Nuovo talk, nuova indagine: lo scorso 25 maggio la Delegazione Ferpi Lazio ha provato ad allargare i confini di un’analisi, quella sulla gestione della crisi che stiamo tutt’ora vivendo, apparentemente già sviscerata dal mondo della comunicazione, ma certamente non risolta. A farci chiarezza il punto di vista di Gianluca Comin, Fondatore e Presidente di Comin & Partners. L’appuntamento, aperto e condotto da Giuseppe De Lucia, delegato Ferpi Lazio, ha visto innesti preziosi di Filippo Nani, Delegato Ferpi Triveneto.

Primo concetto che si richiede di analizzare è la consapevolezza: all’interno della comunicazione di crisi, per via di errori che le istituzioni e/o aziende commettono proprio per l’assenza di processi che non vengono immaginati preventivamente, si può parlare di mancanza di cultura nella gestione di crisi.

È d’accordo Gianluca Comin che buona parte del  qunostro lavoro si basa sulla consapevolezza dei nostri interlocutori (committenti, referenti) circa l’importanza della strategia da adottare che può garantire il successo di un’impresa.

Certamente questa consapevolezza non è chiara, altrimenti non saremmo chiamati ad intervenire in totale emergenza invece di prevedere per tempo i possibili rischi mettendo in atto azioni preventive pre-crisi e soluzioni ben ponderate.

C’è da dire che negli anni questa consapevolezza si è rafforzata perché si è presa coscienza che le crisi accadono, non ci si ritiene più immuni, i professionisti sono cresciuti e si sono promossi meglio, è cresciuta inoltre l’accademia. Certamente c’è ancora molta strada da fare, un esempio tra tutti è la diversità tra noi comunicatori e gli studi legali dove quest’ultimi, nelle aziende, nel lavoro quotidiano con i CEO, sono una presenza continua e costante per definire analisi e strategie preventive.

Ci si deve chiedere allora come possa svilupparsi la consapevolezza sul valore stesso del comunicatore: e molta responsabilità è nostra, afferma Comin. Come ci siamo presentati? Abbiamo saputo spiegare al meglio il nostro punto di vista, le nostre capacità? Molta strada dobbiamo fare anche noi nell’identificare la comunicazione di crisi come un ambito specifico della comunicazione. Chi ha bisogno di advertising chiama dei pubblicitari, mentre non sempre chi ha bisogno di una gestione del crisis management si orienta verso comunicatori di crisi.

Come fare? Di certo può essere utile scrivere, insegnare, portando questi temi all’ordine del giorno nel dibattito pubblico.

Comin ha appena consegnato la bozza di un libro che verrà pubblicato da “Guerini editore”. Ha provato ad analizzare punti di debolezza di una comunicazione che per un certo verso ha funzionato perché ha tenuto la gente a casa; di contro, ha aumentato l’ansia, la preoccupazione, creando così la reazione della movida che abbiamo visto tutti e lo spegnersi di quell’afflato inziale di collaborazione. Necessario osservare il linguaggio, i tempi e gli strumenti che sono stati utilizzati. Alcuni punti deboli della comunicazione di questo periodo:

  • la diversità delle voci, frutto del nostro sistema istituzionale. Una contraddizione costante tra la voce del Governo, le regioni, la protezione civile e i vari esperti chiamati ad intervenire;

  • la mancata puntualità degli orari: le conferenze stampa nella notte, orari non rispettati;

  • azioni annunciate che non avvenivano se non nei giorni successivi;

  • assenza totale di una voce femminile preparata. Né nelle regioni né nella protezione civile, né nel Governo;

  • centralizzazione di tutta la comunicazione sulla persona del premier, sottolineando l’assenza di una squadra di governo;

  • assenza di segmentazione del messaggio (anziani VS ragazzi; famiglie felici VS malati). Era palese una certa diversità di vissuto a cui non è stato corrisposto un adeguato messaggio. Il restate a casa era indubbiamente troppo generalizzato e semplicistico tale da aver dato il “via libera” non appena possibile;

  • smarrimento dell’opinione pubblica, perché non saprà che strada prendere: ora affrontiamo forse la più grande crisi economica dal dopoguerra e non sembra siano stati elaborati messaggi dedicati. Che Paese avremo dopo? Un messaggio di un approdo valoriale non è avvenuto e ciò determinerà grande incertezza.


Non poteva essere utile prevedere una task force di esperti di comunicazione? Si chiede Giuseppe De Lucia.

A fine febbraio Comin aveva suggerito di fare una task force con comunicatori, sondaggisti, direttori di giornali, per tradurre i fatti in messaggi… ma è possibile che la decisione del premier fosse governare da sé per far crescere una base di consensi autonoma e indipendente. Lo vediamo infatti cresciuto nei sondaggi, nel consenso, nei follower.

Le task force non sono mancate, Comin e i suoi hanno contato ben 473 persone coinvolte, con pochi risultati. Ad esempio, la task force sull’infodemia ha prodotto un documento ed ha poi concluso il suo lavoro.

De Lucia cita Edelman e il suo Trust Barometer Special report su Covid-19 che sarà presentato in un webinar Ferpi Lazio dedicato: dai brand ci si aspetta un supporto anche negli atteggiamenti in ambito aziendale o, ancor meglio, ragionare a delle partership con il Governo.

Abbiamo visto pubblicità speculative che “straparlavano” del tema, altre campagne sociali come Poste che invece hanno prodotto una campagna di informazione dedicata gli italiani, aggiunge Comin: da un primo smarrimento iniziale a una stretta connessione con il reale, con una comunicazione valoriale o di vicinanza verso il consumatore. Ma il dato più drammatico è stato il budget, che si è ridotto rinviando all’autunno o cancellando del tutto uscite e programmazioni, con conseguente crisi all’editoria.

Sull’approccio comunicativo e pubblicitario nei prossimi mesi, i valori non si perderanno. Unire offerta commerciale del brand con l’approccio valoriale della propria offerta è un modus operandi che rimarrà.

Le campagne però dovranno lasciare qualcosa, non solo essere estetiche ma anche utili, cambierà lo storytelling con il servizio.

Infine abbiamo visto il forte utilizzo del gancio charity, generosità delle aziende premiate con ottima visibilità; un meccanismo di valorizzazione le aziende utilizzavano per rafforzare appartenenza e fiducia verso il brand, la vicinanza al territorio, la trasmissione dei valori positivi.

Filippo Nani fa notare che durante il periodo più buio sono mancati gli investimenti pubblicitari, è mancata la voce delle imprese. Probabilmente perché la comunicazione era molto legata all’aspetto commerciale e quindi con i consumatori chiusi in casa anche le imprese, disorientate, preferivano tacere perdendo un’occasione. Casi differenti ci sono stati come le cartiere Fedrigoni, che hanno distribuito 80 mila blocchi da disegno aiutando bambini ad avere la carta da disegnare e aiutando, di conseguenza, anche i loro genitori. Hanno probabilmente “vinto” le aziende che si sono dedicate alle loro comunità, al loro territorio allargando il rapporto di fiducia tra azienda - stakeholder - ambiente.

Risulta fondamentale ora, che ci stiamo accingendo a vivere una crisi “stabile”, riadattare il ruolo di noi comunicatori nei confronti delle aziende in cui operiamo. Concentrarci nel lavoro sottolineando il valore della comunicazione interna e facendo attenzione alle PMI, nostra ricchezza italiana che necessita di ascolto.

Anche per Comin piccole e medie imprese sono la spina dorsale del Paese e sono sofferenti perché hanno meno strumenti e meno cultura della comunicazione. Ma sono un bacino interessante su cui investire, perché hanno una gran voglia di farsi sentire.

Fondamentale poi un buon approccio alla comunicazione interna anche se oggi risulta quasi assurdo parlare di comunicazione interna ed esterna, soprattutto nelle grandi aziende. I dipendenti e i collaboratori sono un asset prezioso. Essi sono i primi terminali della comunicazione, specialmente in un periodo di crisi e pertanto è necessario dare la nostra più completa attenzione.

In Comin & Partners gli staff meeting sono stati più frequenti, utili per capire come affrontare il presente e anticipare il futuro. Nell’ultimo mese c’è stato un incremento del numero di clienti con contratti spot e non a lungo termine, non sono stati varcati territori inesplorati ma hanno spinto su ciò che in Comin &Partners è il reale valore, ovvero 4 aree: comunicazione strategica, media relations, digital engagement e lobby. Gianluca ci ricorda che: “nelle crisi concentrati su ciò che sai fare molto bene”. Molta attività e lavoro verranno dalla gestione della reputazione e del personal branding di manager e imprenditori e pertanto è utile rafforzare il monitoraggio e il recovery reputazionale oltre alla comunicazione strategica, rimanendo concentrati sul proprio core business e valorizzando le proprie competenze piuttosto che cercare strade esterne dove si potrebbe fare più difficoltà.

Ultimo solco tracciato in una discussione ricca di spunti è stato sul mondo del Pro Bono: è bene concedersi ma sempre verso qualcosa che dia veramente valore, visibilità, presenza. Deve essere uno scambio di ore di lavoro, di professionalità con la possibilità di far parte di un team, in una partnership su un tema che davvero ci possa interessare. Nel momento in cui si mette in gioco la propria azienda un ritorno ci deve essere anche nel Pro Bono: ma con posizionamento strategico e visibilità. È il momento anche di investire in queste attività.

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