Giuseppe de Lucia
Una chiacchierata con Silvia Pucci, Public Affairs Manager di UTOPIA, ricca di spunti e riflessioni sul futuro della professione. Tra etica, competenza e servizio per la collettività. #FERPISideChat.
Qual è stata la tua motivazione principale nel diventare una lobbista?
Sono arrivata nel mondo del Public affairs – di cui il lobbying è una delle componenti – quasi per caso. Attirata dalla comunicazione politica decisi di frequentare un Master di specializzazione in Lobbying e Comunicazione. Da lì in poi è stato un colpo di fulmine. Ciò che più amo della mia professione è la possibilità di migliorare il processo democratico in termini di rappresentanza e di formulazione delle leggi. Offrire al decisore pubblico una visione di impatto più ampia e più tecnica, di uno specifico settore o di una particolare tematica, gli permette di avere molti più elementi prima di prendere una decisione e legiferare. Questo è ciò che mi motiva ogni giorno. Lo trovo un valore aggiunto al servizio della collettività.
Come gestisci le questioni etiche nel tuo lavoro di lobby?
Purtroppo, troppo spesso la parola Lobby viene accostata a qualcosa di negativo, ad atteggiamenti poco corretti. Siamo vittime di un pregiudizio più mediatico che sociale, lo posso dire? Ecco, l’ho detto. Sono fiera di essere una lobbista, così come tutti i miei colleghi. Siamo dei professionisti, l’etica e la correttezza sono alla base del nostro lavoro. Detto questo, sono convinta che tocchi a noi, giovani addetti ai lavori, impegnarci per contrastare ed eliminare questo bias. Come possiamo farlo? Lavorando bene, con professionalità, facendo informazione e formazione a chi vuole avvicinarsi a questo settore o a chi è lontano dalla cd. Bolla istituzionale, e, infine, iniziando a sdoganare la parola lobbista. Non dobbiamo avere remore nel definirci tali. Ci attende un lungo percorso.
In che modo garantisci la trasparenza delle tue attività e relazioni con i decisori politici?
Quando si rappresenta un interesse particolare bisogna sempre considerare qual è, se c’è, l’interesse contrapposto e informare in modo chiaro e trasparente l’interlocutore istituzionale delle posizioni di entrambi. Bisogna giocare a carte scoperte. La scelta se prendere o meno una determinata decisione rimane sempre alla Politica. È la Politica che decide.
Il nostro lavoro, poi, si basa su studi, approfondimenti e analisi. Utilizzare analisi di dati e proiezioni di scenari promossi da soggetti terzi, autorevoli, e basare le proprie proposte su di essi è di grande supporto nel garantire massima serietà e trasparenza nelle interlocuzioni. Sono due buone prassi, rilevanti, che cerco sempre si trasferire anche alle aziende che rappresento.
Quali sono le principali sfide che affronti nel tuo lavoro di lobbista e come le affronti?
Di sfide ce ne sono diverse, a partire dall’evoluzione continua del contesto in cui opero, non solo normativo e regolatorio, ma anche e soprattutto sociale, economico e politico (troppi governi in troppi pochi anni creano instabilità). In estrema sintesi e per importanza, però, direi che principalmente sono due: dire di no a proposte troppo ambizione dei clienti e far coincidere più interessi, quello che rappresento e quello del decisore che poi si riflette sulla collettività.
A volte capita di ricevere richieste ambiziose, talvolta irrealistiche o irrealizzabili. È fondamentale saper dire di no in questi casi e ciò richiede un delicato equilibrio tra assertività e diplomazia. Bisogna far capire al proprio cliente, o al proprio board, perché la strada indicata non è quella percorribile. Dire di no richiede una spiegazione dettagliata e costruttiva, vanno illustrate le ragioni per cui certe richieste non sono esaudibili ed il motivo può trovarsi in questioni legate a vincoli normativi, a contesti politici se per esempio abbiamo una posizione contrapposta o troppo lontana dalla compagine governativa, o semplicemente per le tempistiche, è troppo presto o troppo tardi per quella richiesta.
In questi casi bisogna evidenziare le potenziali difficoltà e suggerire alternative percorribili, rimodulando gli obiettivi di policy del cliente o della propria azienda. Non sempre è facile, ma questo approccio porta ad un rafforzamento della fiducia del cliente nelle competenze e nelle capacità del suo consulente o del suo direttore affari istituzionali nell’orientarlo verso obiettivi più raggiungibili, offrendo una chiave di lettura diversa da quella immaginata, ma che funziona.
È, poi, importantissimo – e sono convinta che questo faccia la differenza – riuscire a trovare un punto di incontro tra l’interesse particolare che rappresentiamo e quelli del decision maker. Il successo di una campagna di lobbying non si misura solo nella realizzazione degli obiettivi del soggetto richiedente, ma anche nella capacità di allineare questi obiettivi con il bene pubblico e con le priorità politiche dei decisori.
È essenziale sviluppare una profonda comprensione delle esigenze e delle motivazioni dei vari stakeholders coinvolti. La chiave sta nel creare narrazioni convincenti e fondate su dati che evidenzino gli impatti positivi delle proposte e nel dimostrare una genuina attenzione per il bene comune. Così si facilita la costruzione di coalizioni e il raggiungimento di obiettivi condivisi da tutte le parti coinvolte.
Insomma, ci si diverte. È una professione dinamica e molto challenging, caratterizzata dalla ricerca continua di un delicato equilibrio tra soddisfare le aspettative e navigare il complesso panorama politico e sociale. Affrontare queste sfide con trasparenza, competenza e un approccio orientato al dialogo è fondamentale per ottenere risultati duraturi e positivi, per essere credibili e riconosciuti come professionisti tanto dai clienti quanto dalle istituzioni.
Come vedi il futuro del settore della lobby e quali sfide o opportunità prevedi?
Vedo il futuro di questo settore come un campo in continua evoluzione. Da una parte vi sono crescenti sollecitazione per una maggiore trasparenza e responsabilità, per la sua regolamentazione, dall’altra il ruolo della lobby continua ad essere sempre più cruciale nel processo decisionale politico ed economico. Questo perché senza dubbio è aumentata la domanda. Le organizzazioni hanno compreso che la mediazione di un professionista - analista, problem solver, abile comunicatore - diventa uno strumento fondamentale per sensibilizzare le istituzioni e le politiche pubbliche nei settori di interesse. Così come anche le istituzioni riconoscono la professione come utile al processo.
Proprio per tale ragione, si presenta una grande opportunità, quella di riscrivere il framework intorno alla parola Lobby, intorno a questa professione, al fine di eliminare quello scetticismo mediatico che confonde i professionisti con altri soggetti con cui non abbiamo nulla in comune. Il lobbista svolge un lavoro estremamente professionale e nobile all’interno del processo decisionale e questo va valorizzato. E perché no, anche regolamentato.
Quali competenze e qualità ritieni fondamentali per avere successo come lobbista nel futuro?
Parto dal presupposto che senza metodo non si arriva lontano. Bisogna costruire la propria metodologia lavorativa e seguirla. Darsi un metodo e porsi delle responsabilità di processo aiuta a crescere e a non lasciare sbavature in quello che si fa. Aiuta a prestare attenzione anche ai dettagli minimi che sono quelli che possono fare la differenza.
E poi, l’ascolto, la capacità di analisi, la curiosità e la formazione continua, costruire la propria rete relazionale e darle valore. Ci vuole anche un po’ di astuzia intellettuale: saper creare, partendo dai dati a disposizione, la mappa concettuale da mettere a fattor comune per poi costruire le proprie strategie. Ciò è possibile creando collegamenti non tangibili tra i fattori e i fenomeni conosciuti.
Dobbiamo considerare che ci troviamo difronte ad una transizione tecnologica che investe anche questo settore. Se fino a ieri le soft skill erano le abilità più richieste nel CV, oggi a queste bisogna aggiungere anche quello che è - o potenzialmente può essere - il contributo dell’innovazione alla professione. Pensiamo all’Intelligenza artificiale o a come cambiano rapidamente gli algoritmi dei Social media. Nuove tecnologie e strumenti per la ricerca, l'analisi dei dati e la comunicazione efficace che possono offrire opportunità per innovare il proprio background, essere più performanti e al passo con il mondo che cambia.
È importante, poi, dare valore alle peculiarità di ciascun soggetto per cui lavoriamo. Differenziare e modellare il nostro approccio in base a temi, interlocutori ed obiettivi. Il public affairs è lontano – o meglio, dovrebbe esserlo - dall’omologazione dei servizi. Credo che questa sia la vera sfida, quello che può determinare il successo di un professionista: avere con sé una cassetta degli attrezzi ricolma e costruire ogni volta una diversa strategia vincente.