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A proposito di comunicazione e processi decisionali

21/03/2006

Un commento di Toni Muzi Falconi.

La scorsa settimana, il collega Giampietro Vecchiato ha ben commentato una notizia pubblicata dal Sole 24 Ore in merito al nuovo ruolo dell'Osservatorio Tav da poco traslocato in Val di Susa e sul programma, annunciato dal neo direttore bipartisan Mario Virano, che prevede modalità operative assai diverse dal solito che, almeno nelle intenzioni, sembrano avere percepito l'importanza reale che hanno i processi comunicativi con gli stakeholder nella realizzazione di progetti di trasformazione del territorio.E' sempre sorprendente notare come il ruolo dei processi comunicativi vengano valorizzati dalle organizzazioni quando ormai i buoi sono scappati. Anche nella grande ricerca sul campo ventennale guidata da Grunig fra il 1984 e il 1992 sulla comunicazione efficace delle organizzazioni, le best in class erano tutte aziende che avevano cambiato prospettiva a seguito di una grande crisi dovuta, soprattutto, ad una comunicazione inefficace.La stessa cosa, si può dire, è successo con l'Unione Europea, la cui Commissione ha deciso di riposizionare la comunicazione al livello di politica strategica istituzionale solo dopo il disastro di questi ultimi anni, in larga parta causata dall'assenza di dialogo con i cittadini europei.
In assenza di 'licenza di operare', la Commissione ha investito miliardi di euro senza successo in programmi di comunicazione push unidirezionali e asimmetrici per convincere gli europei della bontà dell'euro, della costituzione e dell'allargamento.Così anche l'amministrazione americana ha fatto in questi anni per convincere gli irakeni ad accettare il proprio modello di democrazia.Mentre la Commissione ha finalmente deciso un riposizionamento della comunicazione a livello di politica strategica, lo stesso purtroppo non è ancora avvenuto per la Casa Bianca.
La domanda che ci si fa è: ma perché sempre aspettare il disastro per muoversi nella direzione che la scienza indica ormai inequivocabilmente come quella giusta? 
Le ragioni sono tante, e fra queste c'è sicuramente anche il fatto che la nostra comunità professionale stenta essa stessa a convincersi delle proprie ragioni e continua a svendere le relazioni pubbliche come pratica persuasiva, unidirezionale e asimmetrica.La conseguenza è devastante, poiché capita anche che quando l'organizzazione finisce anche per scegliere la via più corretta può capitare nelle mani di qualche operatore che va per le spicce, con il risultato che non solo si ripercorrono le vecchie vie, ma si dimostra anche che la nuova via perseguita non produce risultato efficaci.
Insomma, speriamo che l'Osservatorio Tav di Val di Susa e la Commissione Europea non finiscano per ingannare i loro stakeholder.Spetta soprattutto alla nostra comunità professionale, monitorando, tematizzando e imparando, impedire che questo accada. (tmf)
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