Alcuni recenti contributi apparsi sul nostro sito relativi alla misurazione e valutazione delle RP
08/08/2006
News già pubblicata il 10 ottobre 2005:Valutare e misurare la qualità delle relazioni e della reputazione: ecco il primo frutto dei dottorati Ferpi.
Era il gennaio di tre anni fa quando, alla Sapienza di Roma, la Ferpi annunciava il suo programma di dottorati universitari orientato a facilitare l'accesso di nuovi docenti di relazioni pubbliche nelle Università Italiane.Ed ecco, puntuale, il primo ottimo e concreto risultato di quel lavoro: un libro appena fresco di stampa per i tipi della Franco Angeli intitolato Valutare i risultati della comunicazione di Stefania Romenti con introduzione di Emanuele Invernizzi (da scaricare qui in .doc).Una bella soddisfazione per Ferpi e soprattutto un ottimo lavoro di Stefania, che ora si trova 'costretta' a partecipare come docente esperta e aggiornatissima nel tour de force di corsi di aggiornamento professionale che la Commissione presieduta da Gian Paolo Gironda avvierà per l'Italia nelle prossime settimane.Un lavoro che, in una materia in continua evoluzione e oggetto di studi comparati in molti Paesi del mondo, contribuisce a rafforzare la ragguardevole posizione acquisita dalla Ferpi a livello internazionale in merito a studi e ricerche sulle relazioni pubbliche.Il dottorato di Stefania è stato reso possibile grazie a un contributo della Fondazione Cariplo che la Ferpi sentitamente ringrazia e segnala all'attenzione di tutti i suoi soci affinché aumenti il loro rispetto verso una organizzazione così sensibile alla crescita della cultura della comunicazione nel nostro Paese.Per avere una rapida idea dei contenuti, ecco i titoli dei capitoli:
valutazione, comunicazione e relazioni pubbliche
approcci e tecniche di valutazione
la valutazione dei risultati immediati e intermedi: gli output, gli out-take e gli outcome
la valutazione dei risultati finali e complessivi: gli outgrowth
l'evoluzione dei modelli di valutazione.
(tmf)
News già pubblicata il 28 novembre 2005:Misurazione e ricerca dalla A alla Z, un dizionario sui termini usati dalle RP.A cura dell'Institute for Public Relations dell'Università della Florida.
Un documento prezioso, per gli studenti ma anche per i professionist, da scaricare e conservare.
E' un file datato 2002, ma sempre attuale e completo, allo scopo di uniformare la terminologia utilizzata dalle rp nei metodi di valutazione e di ricerca:
"Dictionary of public relations measurement and research" (.pdf)
News già pubblicata il 10 gennaio 2006:Valutare le relazioni? Ecco, dal sito dell'IPR, i due documenti fondamentali che ti aiutano a farlo (in inglese).
Da scaricare, leggere, conservare:
Guidelines for measuring relationships in public relations (.PDF)di Linda Childers Hon e James E. GrunigQualitative methods for assessing relationships between organizations and publics (.PDF)di James E. Grunig
News già pubblicata il 10 gennaio 2006:I quattro livelli di misurazione/valutazione... In italiano: una proposta. Che ne pensate?Di Toni Muzi Falconi.
Stando alle ricerche più recenti, un italiano su tre conosce la lingua inglese, e questa è finalmente una notizia confortante. Ma non è una buona ragione per indulgere e contribuire alla diffusione di quel vizio di usare termini inglesi quando è possibile, senza far torto al senso compiuto, usare termini italiani.Così, ad esempio, nella nascente semiotica italiana della valutazione e misurazione delle relazioni pubbliche avviata proprio su questo sito grazie ai contributi di alcuni soci - a partire da Stefania Romenti, autrice del primo libro italiano sul tema (link alla recensione) e da Fabio Ventoruzzo - ci è parso utile proporvi una terminologia italiana per definire i quattro livelli che, al pari dei quattro modelli di Grunig, descrivono le diverse fasi del processo, sia dal punto di vista storico che concettuale. Ricordate?
Si parla di out put, di out take, di out come e di out growth.Ecco il risultato provvisorio di questo esercizio comune.
Ve lo proponiamo esplicitando subito che siamo disposti a modificarlo se qualcuno di voi non fosse convinto e desiderasse proporre un approccio diverso.Nota per il lettore: non è un problema di esclusività, ma di integrazione. Da anni portiamo avanti la questione della legittimazione della nostra comunità professionale anche attraverso l'adozione di un linguaggio condiviso con i nostri stakeholder, datori di lavoro e clienti in primis. E non si tratta solo di credibilità della fonte (e quindi di reputazione professionale e personale): è un problema anche - se non soprattutto - di familiarità del linguaggio e del contesto. Quindi agevolare anche la loro comprensione di un aspetto fondamentale come quello della misurazione/valutazione è di supporto alla nostra reputazione.
1. Dunque per il termine out put proponiamo quello di prodotto.Infatti, si tratta di misurare dal punto di vista quantitativo (ma non solo) e della sua efficienca la quantità di comunicazione prodotta dall'organizzazione.Quanti comunicati stampa, quanti eventi, quanti programmi, quanti contatti, quante relazioni. E ancora, quanti giornali hanno ripreso quel comunicato, quanti invitati hanno partecipato a quell'evento, quanti influenti sono stati raggiunti da quella lettera o da quelle telefonate... Ma si sta diffondendo anche la ricerca di indicatori più qualitativi: quali posizioni degli articoli, quali tipi di testata, quali commenti.La misurazione di queste poco o nulla ci dice della loro efficacia, ma molto ci dice sulla efficienza della funzione.Non è in questo caso affatto necessario ricorrere a risorse esterne poiché il tutto può benissimo essere realizzato all'interno della funzione, perfettamente in grado, se soltanto lo desidera, di fornire a chicchessia le fonti informative sufficienti.Ad esempio, può essere utilissimo sapere come le tradizionali unità di prodotto si distribuiscono, nell'arco di un anno, di un mese, di una giornata, per potere intervenire e ridistribuire il carico di lavoro onde evitare picchi comunicativi non sempre necessari, riallocando adeguatamente il lavoro e risparmiando così su contributi esterni oggi necessari soltanto perché le risorse interne sono in quel giorno, in quella settimana, in quel mese troppo occupate.
2. Il secondo termine out take può essere tradotto con il termine riscontri.In pratica: quanti dei nostri destinatari hanno ricevuto il messaggio, quanti gli hanno prestato attenzione, quanti lo hanno capito, quanti sono in grado di ricordarselo nel tempo.Anche in questo caso parliamo di un indicatore quantitativo (anche se evidentemente sono possibili sofisticazioni maggiormente qualitative in grado di misurare il 'come' il messaggio è stato ricevuto, compreso, ricordato), ma che però ci aiuta a transitare verso il concetto di efficacia: diciamo che si tratta di un indicatore ibrido, poiché se 10 destinatari su 100 ricordano un messaggio, sappiamo che l'indice di efficienza è del 10% ma che un minimo di efficacia lo abbiamo anche raggiunto, anche se ancora solo intuitivamente misurabile.Anche qui non c'è un gran bisogno di apporto dall'esterno e qualsiasi funzione interna è in grado di fare i suoi conti e di esprimere le proprie interpretazioni.
3. Il terzo termine out come ci porta invece fuori dal puro quantitativo e ci aiuta a transitare dalla misurazione alla valutazione. Il termine italiano che proponiamo è quello di conseguenze.
In effetti, ci proponiamo di valutare se i lettori di quei giornali sui quali è stato ripreso il comunicato hanno in effetti letto e recepito i suoi contenuti o se gli invitati che sono intervenuti a quell'evento hanno modificato le rispettive opinioni e, più specificamente, se quella determinata iniziativa comunicativa abbia prodotto conseguenze presso il pubblico specifico cui era rivolta.Come è facilmente intuibile, questo forma di valutazione di efficacia (non più misurazione di efficienza) non può essere fatta dall'interno della funzione poiché implica valutazioni qualitative ricavabili soltanto da un ascolto ex-post del segmento di pubblico coinvolto.Intendiamoci, si potrebbe fare anche dall'interno ma normalmente conviene lasciar fare a risorse esterne, comunque più oggettive... Almeno tendenzialmente.
4. Infine, al termine out growth proponiamo quello italiano di valore.
Infatti, se nelle prime tre fasi abbiamo misurato il prodotto, il riscontro e le conseguenze delle diverse attività di relazioni pubbliche, nessuna di queste però ci consente - e neppure il loro insieme- di affermare che abbiamo contribuito ad accrescere il valore della organizzazione: che è poi quello che vorremmo davvero riuscire a realizzare, al di là dei risultati indotti dalle singole iniziative e programmi che nel corso del tempo andiamo ad attivare.Il poter indicare con criteri verosimili e condivisi se, grazie a quei singoli e diversi programmi, siamo riusciti a migliorare la qualità delle relazioni dell'organizzazione con quel pubblico influente, oppure sia cresciuto il livello di reputazione dell'organizzazione presso quel segmento di pubblico influente, ci consente credibilmente di affermare che abbiamo prodotto un valore.
Che ne dite? Avete qualche proposta migliorativa o alternativa?Grazie.(tmf)