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Alitalia? Non decolla neanche il brand

26/03/2008

Fiat ed Enel promosse in comunicazione. Che ora è one-to-one. L'intervista ad Antonio Romano brand designer e fondatore di Inarea

di Domenico Aliperto
Alitalia bocciata in comunicazione, Fiat ed Enel promosse. Perché ora comunicare significa condividere, mettere sullo stesso piano dei consumatori valori ed esperienze che non appartengono più solo ai brand, ma anche e soprattutto alle identità che i marchi hanno generato nel corso degli anni. «Anzi, è meglio mettersi in testa che in comunicazione nemmeno la verità assoluta esiste, e i migliori progetti in questo senso sono quelli che contemplano il destinatario del messaggio come coautore del messaggio stesso». Parola. di Antonio Romano, brand designer e fondatore di marea, network internazionale di consulenti dell'immagine per aziende, che spiega il suo punto di vista sullo stato della comunicazione nella Penisola. Citare i lavori curati da Romano è un po' come descrivere immagini e segni che appartengono alla vita di tutti i giorni: dai marchi di Tim e Stream passando per il logo a farfalla delle reti Rai, fino al restyling di brand come Renault, Lacoste e Sears. Molte di queste opere sono in mostra fino al 18 aprile in Danimarca, dove nella capitale, all'Istituto di cultura italiana, è stata allestita l'esposizione «To be or not to be in Copenhagen».
Domanda. In tutto il mondo i nuovi media stanno rivoluzionando l'approccio dei brand al consumatore. Qual è la situazione nel Belpaese?
Risposta. In Italia la comunicazione d'impresa è arrivata tardi, e la pubblicità ha acquisito importanza solo negli anni 80, con l'avvento delle tv commerciali. Il problema è che da allora da noi il piccolo schermo è diventato il destinatario quasi esclusivo degli investimenti in advertising. Basti pensare che solo nel 2007, per la prima volta, la quota della tv sul mercato nazionale della pubblicità è scesa al di sotto del 50% mentre nel resto del mondo si aggira stabilmente intorno al 35%. Le cose stanno cambiando anche qui, ma lentamente.
D. Quali sono i marchi virtuosi? R. Quelli che riescono a creare mondi possibili per il consumatore, che riescono a parlargli dicendo cose e usando parole che lui si aspetta di sentire, un po' come succede quando si scopre di essere innamorati. Trovo che ultimamente Fiat stia facendo un buon lavoro, confermando anche con il nuovo marchio, rivisto dopo soli otto anni dal precedente restyling, la volontà di lasciarsi alle spalle la stagione drammatica dell'ultimo decennio. Ma penso siano interessanti anche il caso di Enel, che è riuscita a scrollarsi di dosso l'immagine di ente energetico monopolista, riuscendo ad abbattere i luoghi comuni, e poi quello di una realtà assai più piccola, Sara assicurazioni, che ha costruito un repertorio interessante, con un sistema valoriale basato su una forte simpatia.
D. Passiamo al tasto dolente. L'immagine di Alitalia? R. Li occorre prima di tutto un nuovo piano industriale, e non è il mio campo. Ma posso dire che Alitalia ha bisogno di definire un nuovo standard, orientato verso una visione che si è persa anni fa. A cominciare dalla motivazione del personale, è necessario far capire ai dipendenti che la compagnia di bandiera è ambasciatrice dello stile italiano. Solo allora si può anche pensare di rivoluzionarne l'immagine, partendo dalla livrea degli aerei per arrivare alle divise, che a mio avviso sono del tutto inadeguate ai tempi che corrono.
D. E del lancio l'anno scorso del marchio Italia che cosa ne pensa? R. Se parla del logo It, quello temo sia stato più che altro lanciato dalla finestra. Non solo non è stata applicata ai prodotti del nostro export, ma nemmeno l'Enit (l'agenzia nazionale del turismo, ndr) l'ha mai utilizzato. Rispetto all'immagine del Belpaese all'estero, invece, penso che non sfruttiamo per nulla la simpatia di cui godiamo tra popoli. Non dobbiamo offrire un turismo da consumo: su quel fronte siamo perdenti rispetto a paesi come Spagna e Grecia e ultimamente persino nei confronti della Francia. No, noi dobbiamo proporre uno slow consumption, puntando sulle specificità locali e facendo leva sull'emozionalità per vincere il confronto con il villaggio globale
D. Progetti futuri? R. Ho dichiarato guerra ai termini militari in pubblicità. Non voglio più sentir parlare di target o di campagna. Questa è l'epoca della comunicazione one-to-one e la parola d'ordine deve essere integrazione.
D. Eppure fino a ora abbiamo parlato di strategie, non è anche quello un termine militare? R. Lo pensavo anch'io, ed era un bel dilemma. Poi ne ho studiato l'etimologia e mi sono reso conto che l'uso della parola deriva dall'osservazione del moto degli astri. Una parentela strepitosa.
tratto da Italia Oggi del 25 marzo 2008
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